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Italia rinascimentale

Italia rinascimentale

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il fenomeno culturale, vedi Rinascimento italiano.

Con l’espressione Italia rinascimentale si indica convenzionalmente l’insieme delle vicende politiche, sociali, economiche e culturali che interessarono la penisola italiana tra XV e XVI secolo, periodo definito col termine Rinascimento.[1]

Il Quattrocento[modifica | modifica wikitesto]

L’Italia nel 1494

Nel corso del Quattrocento, fase di passaggio dall’età medievale all’età moderna, l’Italia era politicamente frammentata in un complesso di Stati diversi. Tale assestamento politico, sancito dalla Pace di Lodi del 1454 e garantito per tutta la seconda metà del secolo dalla personalità autorevole di Lorenzo il Magnifico, fu rimesso in discussione con la discesa in Italia (1494) del re di Francia Carlo VIII, che diede avvio a quel periodo di conflitti ricordati dalla storiografia come Guerre d’Italia.

Italia settentrionale[modifica | modifica wikitesto]

L’area settentrionale della penisola era frazionata fra il Ducato di Savoia, il Ducato di Milano, i domini di terraferma della Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, con annessa la Corsica. A queste maggiori formazioni territoriali si aggiungevano Stati di più piccole dimensioni: , il Marchesato di Saluzzo, il Marchesato del Monferrato, il Principato vescovile di Trento, il Marchesato di Mantova, i Ducati di Modena e Ferrara.

Italia centrale[modifica | modifica wikitesto]

In Italia centrale c’erano le repubbliche di Firenze e di Lucca e di Siena, corrispondenti nell’insieme all’attuale Toscana, e i domini dello Stato pontificio, costituiti grosso modo dalle attuali LazioUmbriaMarche e Romagna. All’interno dello Stato Pontificio, si trovavano entità politiche con un alto grado di indipendenza, come il Ducato di Urbinoquello di Camerino, le signorie di PerugiaSenigalliaPesaroFolignoRiminiBolognaFaenzaImolaForlìCesena e la Repubblica di Ancona. Completamente indipendente era la Repubblica di San Marino.

Italia meridionale[modifica | modifica wikitesto]

Il Meridione della penisola (odierni AbruzzoMoliseCampaniaPugliaBasilicata e Calabria) era unificato sotto il Regno di Napoli, mentre Sicilia e Sardegna facevano parte della Corona d’Aragona.

I conflitti quattrocenteschi[modifica | modifica wikitesto]

Alla Pace di Lodi si pervenne dopo un lungo periodo di guerre che interessò l’intera penisola e fu segnato dai ripetuti tentativi degli Stati più forti di estendere la propria egemonia. Nell’area centro-settentrionale i maggiori contendenti furono il Ducato di Milano e le Repubbliche di Venezia e Firenze, impegnati in una politica di espansione territoriale avviata già nel Trecento col progressivo assoggettamento del contado da parte delle città.

Il regno di Napoli fu scosso da una lunga crisi dinastica iniziata nel 1435 con la morte dell’ultima regina angioinaGiovanna II, e conclusasi solo nel 1442 con la vittoria di Alfonso V d’Aragona, che ebbe la meglio sul rivale Renato d’Angiò. L’avvento della dinastia aragonese dei Trastámara segnò anche la riunificazione de facto dei regni di Napoli e Sicilia e l’avvio di un periodo di stabilità dinastica destinato a durare fino alla fine del secolo.

Il dominio sui mari fu invece l’obiettivo che contrappose gli interessi delle antiche repubbliche marinare: estromessa Amalfi già nel XII secolo, lo scontro proseguì tra PisaGenova e Venezia. Genovesi e Pisani combatterono ripetutamente per il controllo del Tirreno e nel 1406 Pisa fu conquistata da Firenze, perdendo definitivamente la propria autonomia politica. Agli inizi del secolo la contesa era dunque ridotta a un duello fra Genovesi e Veneziani. Resistevano intanto allo strapotere veneziano in adriatico le due repubbliche marinare di Ancona e di Ragusa. Per tutto il Quattrocento perdurò uno stato di conflittualità tra le Genova e Venezia ma non si ebbero battaglie decisive. La potenza di Genova andò affievolendosi nel corso del secolo e Venezia si affermò come padrona dei mari, raggiungendo il culmine della propria ascesa agli inizi del XVI secolo.

Col progressivo declino dell’Impero bizantino, l’altro grande rivale di Venezia – la caduta di Costantinopoli data al 1453 – la Serenissima poté interessarsi ad una politica di espansione territoriale sulla terraferma che prese avvio proprio agli inizi del XV secolo. Le iniziative militari veneziane entrarono in conflitto con gli interessi del Ducato di Milano, impegnato a sua volta in una politica espansionistica guidata della famiglia Visconti. Nello scontro si inserì anche la repubblica di Firenze, minacciata dall’aggressività viscontea e alleatasi con i Veneziani. La Serenissima riportò una vittoria decisiva nella battaglia di Maclodio del 1427, assumendo una posizione egemone che allarmò i Fiorentini, i quali preferirono rompere l’alleanza e schierarsi dalla parte di Milano. La guerra si protrasse con operazioni di minore portata fino al 1454, quando le due rivali siglarono a Lodi una pace destinata a stabilizzare l’assetto politico della Penisola per quarant’anni: Venezia e Milano fissavano sull’Adda il confine fra i rispettivi territori e rinunciavano ad ulteriori tentativi di espansione, mantenendo in una condizione di equilibrio la frammentata realtà politica italiana.

Le compagnie di ventura[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Compagnia di ventura.

Le campagne militari furono dominate dalle cosiddette compagnie di ventura, formazioni di mercenari guidate da condottieri esperti che mettevano le proprie armi al servizio dei regnanti e delle città. Tali compagnie, attive in Italia fin dalla fine del XIII secolo, combattevano sotto le insegne del miglior offerente, che poteva cambiare più volte nel corso di un conflitto, determinando frequenti ribaltamenti di alleanze ed esiti militari imprevisti. I soldati di ventura non avevano legami di fedeltà e obbedienza, né erano animati da sentimenti patriottici o da interessi di difesa delle proprie terre e dei propri beni, ma agivano sulla base di un vincolo contrattuale fondato sul denaro. Per questo motivo tendevano generalmente ad evitare di mettere a rischio la propria vita durante i combattimenti e le battaglie finivano spesso col trasformarsi in lunghe operazioni d’assedio o in scontri non risolutivi, più simili a tornei che a vere e proprie guerre.

Il massiccio impiego di compagnie di mercenari fu stigmatizzato da molti politici e trattatisti dell’epoca. Niccolò Machiavelli additò questa pratica come una delle cause dell’inferiorità militare dei principi italiani, che di fronte all’arrivo di un esercito organizzato e fedele al proprio sovrano come quello francese avevano finito col soccombere.

Il Cinquecento[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre d’Italia del XVI secolo.

Il 1494 segna la fine della politica dell’equilibrio e l’inizio di quel lungo periodo di conflitti che va sotto il nome di guerre d’Italia. Secondo una fortunata formula storiografica, questa data coincide con la fine della libertà italiana: la Penisola cade sotto l’egemonia delle potenze straniere (la Francia, la Spagna e l’Austria), una soggezione dalla quale si libererà solo nel 1866 con gli esiti vittoriosi della terza guerra di indipendenza.

La discesa di Carlo VIII in Italia[modifica | modifica wikitesto]

La riapertura delle ostilità dopo il quarantennio di pace seguito agli accordi di Lodi scaturì dall’iniziativa del re di Francia Carlo VIII, che discese in Italia alla testa di un esercito di venticinquemila uomini, nobili francesi e mercenari svizzeri con l’obiettivo di riconquistare il regno di Napoli, sul quale vantava diritti in virtù del legame dinastico con gli Angioini. La conquista del reame napoletano rappresentava per Carlo la premessa indispensabile per estendere il proprio controllo all’intera penisola e per affrontare direttamente la minaccia turca.

La spedizione del re francese incontrò il favore di molti principi italiani, che intendevano approfittare della sua potenza per conseguire obiettivi propri: il duca di Milano Ludovico il Moro ottenne grazie all’appoggio di Carlo VIII la cacciata del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza, che insidiava il suo potere; a Firenze gli avversari dei Medici aprirono le porte della città ai francesi costringendo alla fuga Piero il Fatuo e restaurando la repubblica sotto la guida di Savonarola. Anche i cardinali romani ostili ad Alessandro VI Borgia puntavano alla sua deposizione, ma il papa spagnolo scongiurò colpi di mano garantendo al re il passaggio attraverso i territori pontifici e offrendo suo figlio Cesare come guida in cambio del giuramento di fedeltà.

Il 22 febbraio 1495 Carlo VIII entrò a Napoli, sostenuto da buona parte dei baroni del regno che si erano schierati dalla sua parte contro Ferdinando II d’Aragona. Ma la conquista non poté essere consolidata, vista l’avversione che la sua impresa aveva suscitato anche da parte di coloro che inizialmente l’avevano favorita: Milano, Venezia e il papa costituirono una lega antifrancese, alla quale diedero il proprio appoggio anche l’imperatore Massimiliano e la Spagna dei Re Cattolici. Carlo fu costretto a risalire la penisola e a incontrare le truppe della lega a Fornovo sul Taro nel luglio del 1495. Anche se non sconfitto, il sovrano dovette riparare in Francia.

Le ostilità ripresero nel 1499 con la discesa in Italia di Luigi XII, successore di Carlo. Il nuovo sovrano conquistò il Ducato di Milano in forza dei diritti ereditati dalla nonna Valentina Visconti e nel 1501 i francesi occuparono Napoli, ma furono sconfitti dai rivali spagnoli nella battaglia sul Garigliano del 1503.

Fra il 1499 e il 1503 si colloca anche la folgorante carriera militare di Cesare Borgia, il figlio del papa Alessandro VI. Con l’appoggio della Francia e grazie ad una politica violenta e spregiudicata, il Duca Valentino (così soprannominato in quanto investito del ducato di Valentinois) conquistò un dominio a cavallo fra le Marche e la Romagna che non gli riuscì di consolidare ed espandere a causa della morte del pontefice nell’agosto del 1503: la rovina dei Borgia travolse anche il fragile regno del Valentino, che morì sotto le mura della città di Viana, in Navarra, nel 1507, combattendo a difesa del cognato Giovanni III d’Albret.

Carlo V e Francesco I[modifica | modifica wikitesto]

Carlo V in un ritratto di Tiziano

Con la formazione della Lega di Cambrai (1508), voluta da papa Giulio II della Rovere in funzione antiveneziana, i francesi fecero ritorno in Italia, destando le preoccupazioni dei principi della penisola. Il pontefice costituì allora una Lega Santa che nel 1513 costrinse gli ingombranti vicini alla ritirata. Le mire francesi sull’Italia furono ereditate nel 1515 da Francesco I di Valois, che sarà protagonista insieme al rivale Carlo V di una lunga lotta per l’egemonia continentale che avrà in Italia il suo principale teatro. Col trattato di Noyon del 1516 le due grandi contendenti riconoscevano le rispettive conquiste: alla Francia veniva confermato il possesso del Ducato di Milano, alla Spagna quello del Regno di Napoli. Ma l’accordo non bastò a spegnere le rivalità, che esplosero nuovamente nel 1519 con l’elezione a imperatore di Carlo V, già Arciduca d’Austria e re di Spagna. Nel 1521 le armate francesi scesero nuovamente in Italia con l’obiettivo di riconquistare il reame napoletano, ma furono sconfitte nelle battaglie della Bicocca, di Romagnano e di Pavia, durante la quale lo stesso Francesco I fu fatto prigioniero e condotto a Madrid per poi essere rilasciato solo dopo la cessione di Milano agli Spagnoli (1525).

Francesco I di Valois

L’allarme per la crescente potenza degli Asburgo portò alla costituzione della Lega di Cognac, promossa da papa Clemente VII de’ Medici e siglata dal sovrano francese insieme alle repubbliche di Venezia e Firenze. Un’alleanza fragile che non fu in grado di evitare il terribile sacco di Roma del maggio 1527, episodio che suscitò orrore e costernazione in tutto il mondo cattolico: i Lanzichenecchi, soldati imperiali di origine prevalentemente tedesca e fede luterana, misero sotto assedio la Città Eterna, che fu espugnata e saccheggiata per giorni. Il papa, asserragliato in Castel Sant’Angelo, fu costretto alla pace con l’imperatore. Il papa Clemente VII, nell’intento di consolidare proprio potere indebolito dopo il sacco di Roma, ottenne però dall’imperatore la restaurazione della propria famiglia, i Medici, a Firenze, dove si era costituita una repubblica (15271530); riuscì poi a consolidare ulteriormente il proprio dominio impadronendosi di Perugia e di Ancona. Il 5 agosto 1529 venne stipulata la pace di Cambrai, con la quale la Francia rinunciava alle mire sull’Italia mentre la Spagna vedeva riconosciuto il possesso di Napoli e Milano.

L’equilibrio fu nuovamente infranto nel 1542, con l’inizio di una nuova fase di conflitti franco-spagnoli in territorio italiano. Gli scontri ebbero esiti alterni, sanciti da deboli trattati di pace (come la pace di Crépy del 1544) e continuarono anche dopo la morte di Francesco I e l’ascesa al trono del suo successore Enrico II nel 1547. Ma lo scenario internazionale mutò di colpo nel 1556, quando Carlo V abdicò dopo aver diviso i suoi possedimenti fra il figlio Filippo II e il fratello Ferdinando I. Furono proprio Enrico e Filippo a stipulare nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis, che mise fine definitivamente allo scontro tra Francia ed Asburgo per l’egemonia europea. La Spagna consolidò i propri domini in Italia, che tenne fino al 1714, anno della conclusione della guerra di Successione spagnola e del loro passaggio all’Austria. La pace chiuse un sessantennio di guerre continue e sancì quella fine della libertà italiana avviata dalla spedizione di Carlo VIII nel 1494.

Da questo momento si può considerare esaurita la parabola del Rinascimento: l’Italia è quasi interamente soggetta alla potenza asburgica ed è interessata da quel processo di reazione della Chiesa cattolica al luteranesimo che va sotto il nome di Controriforma. Il periodo che seguì la fine delle guerre d’Italia – dalla seconda metà del XVI a tutto il XVII secolo – è stato a lungo etichettato come Età della decadenza, una formula per molti versi semplicistica che è stata fatta oggetto di profonda revisione da molti storici del XX secolo[2].

L’Italia ed i nuovi mondi[modifica | modifica wikitesto]

Esploratori Italiani giocarono un ruolo importante durante le scoperte geografiche. Il genovese Cristoforo Colombo, al servizio della Spagna, raggiunse il nuovo mondo nel 1492. Il fiorentino Amerigo Vespucci, al servizio del Portogallo, teorizzò nel 1501 che il Brasile fosse parte di un continente sconosciuto: in suo onore quelle terre furono poi dette Americhe. Anche i re di Inghilterra e Francia si affidarono a Italiani, rispettivamente al veneziano Giovanni Caboto ed al fiorentino Giovanni da Verrazzano, per le loro prime navigazioni verso il Nord America. In oriente, dove erano giunti il Portogallo prima e la Spagna poi, Antonio Pigafetta prese parte alla spedizione di Magellano ed i suoi scritti costituiscono la principale fonte di informazioni in merito a quel viaggio. Nell’attività corsara di Francia e Inghilterra nell’Atlantico, gli Italiani non giocarono invece un ruolo particolare, preferendo concentrare queste pratiche nel Mediterraneo. Grazie alle imprese di Colombo, Caboto, Verrazzano e Vespucci, l’Italia guadagnò la nomea di “paese di navigatori”.

Colombo, Caboto, Verrazzano, e Vespucci.

«…io ho trovato un continente abitato da animali e popoli più numerosi [che] nella nostra Europa o in Asia o in Africa e di clima più temperato e ameno che in qualsiasi altra regione da noi conosciuta[…]gettammo le ancore sulle spiagge di quei paesi, rendendo grazie a Dio nostro signore con solenni preghiere e celebrando una messa cantata. Lì ci rendemmo conto che quella terra non era un’isola ma un continente, poiché si estendeva per lunghissimi lidi che non la circondavano ed era piena di infiniti abitanti. E qui scoprimmo innumerevoli genti e popolazioni e animali selvatici di tutti i tipi, che non si incontrano nei nostri paesi, e molti altri da noi mai visti dei quali sarebbe lungo parlarne dettagliatamente.»
(Amerigo Vespucci nel Mundus Novus indirizzato a Lorenzo il Popolano ‘de Medici.)

Il Papato manifestò grande interesse nelle terre scoperte, ed in particolare nella possibilità di convertire al cattolicesimo i popoli pagani sottomessi da Spagna e Portogallo. A tal fine, Papa Giulio II ratificò nel 1506 il Trattato di Tordesillas (1494) che spartiva i nuovi mondi tra Spagna e Portogallo e fece istituire i primi vescovati e diocesi nelle “Indie”. Leone X giustificò le successive conquiste di Portogallo (1514, bolla Praecelsae Dominus) e di Spagna (1521, bolla Alias Felicis) concedendo il diritto a schiavizzare gli indigeni e teorizzando il dovere di convertirli. Clemente VII continuò su questa strada, gestendo le prime legazioni e missioni religiose nei nuovi mondi, e concesse simili diritti e poteri anche a Francesco I di Francia, il quale si era lamentato del fatto che le monarchie di Spagna e Portogallo si erano spartite il mondo con l’approvazione dei Papi, quasi come se esistesse “una clausola del testamento di Adamo” che avesse dato loro questo diritto.

A mutare la politica dei Papi Medicei fu Paolo III con la bolla Veritas Ipsa del 1537. In questa bolla il Pontefice condanna le tesi razziste, riconosce ai nativi americani, cristiani e non, la dignità di persona umana, vieta di ridurli in schiavitù e giudica nullo ogni contratto redatto in tal senso. Il Papa, tenendo conto della dottrina teologica e della documentazione a lui pervenuta, volle porre fine alle dispute ed emanò il verdetto: «Indios veros homines esse».

La Veritas Ipsa di Paolo III

Queste le disposizioni principali assunte dal Pontefice:

«Noi, sebbene indegni, … consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all’autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo»
(Paolo IIIVeritas Ipsa)

Sotto Papa Gregorio XIII, il gesuita Matteo Ricci si recò in Cina dove risiedette ed operò alla corte dell’Imperatore Wanli. Giunse contestualmente nella Roma gregoriana un’ambasciata proveniente dal Giappone e guidata dal gesuita nipponico Ito Mancio. Il 20 dicembre 1585, mediante la costituzione apostolica Romanus pontifexPapa Sisto V stabilì che i vescovi di Asia e America erano tenuti a visitare Roma ogni dieci anni per rendere conto personalmente al papa della loro azione pastorale e ricevere le istruzioni da eseguire poi in diocesi.

Relazioni con l’Impero Ottomano[modifica | modifica wikitesto]

Costantinopoli, le cui mura Teodosiane, bombardate dai cannoni turchi, furono invano difese da un contingente Italiano al comando di Giovanni Giustiniani Longo, cadde in mano ai Turchi Ottomani il 29 Maggio 1453. Papa Niccolò V indisse quindi la crociata contro il Sultano Maometto II, richiamando tutti i sovrani cristiani a difendere l’Europa dal Turco, accusato di voler passare in Italia per conquistare Roma e l’occidente, ed ordinava una pace generale al fine di compiere l’impresa. Al di fuori della Pace di Lodi, concepita anche in ottica difensiva anti-turca, a poco servirono le parole di Niccolò V, e pertanto l’obiettivo di realizzare la chiamata alle armi ricadde sui suoi successori. Papa Pio II, dotto umanista che aveva parlato della caduta di Costantinopoli come di una seconda morte per Omero e anche per Platone, cercò dapprima una soluzione pacifica e compose la celebre lettera al sultano Maometto II. In essa, egli propose al Turco di convertirsi ed, in cambio, di ricevere dalla santa sede il titolo legittimo di imperatore cristiano d’Oriente.

«Una piccolezza insignificante può fare di te il più grande, il più potente e il più famoso dei mortali ora viventi. Tu chiedi che cosa sia? Non è difficile trovarla, non occorre andare lontano per cercarla. Si può averla dappertutto: è un po’ d’acqua per farti battezzare…Ti nomineremo imperatore dei Greci e dell’Oriente, e ciò che ora tu hai occupato con la forza, e ingiustamente detieni, sarà allora tuo possedimento di diritto.»
(Lettera di Papa Pio II al Sultano Maometto II.)

Fallita questa prospettiva, Pio II si recò al porto di Ancona, seppur malato, e lì si accingeva a guidare verso oriente una piccola flotta di navi Italiane, quando la morte lo colse durante i preparativi. Incapace di portare avanti un’offensiva, la Cristianità continuava a subire l’espansione Ottomana. Particolarmente esposta era la Repubblica di Venezia, che, oltre allo Stato da Tera (Tre Venezie), possedeva uno Stato da Mar comprensivo di CiproCretaAlbaniaMontenegro, e Dalmazia, tutti territori oggetto di mire Turche. Ciononostante, Venezia riuscì a mantenere grandi investimenti in Turchia ed il permesso di ottenere un ambasciatore a Costantinopoli: segno sia della potenza Veneta, sia dell’interesse Turco a commerciare con i Veneziani, esportatori di vetro, occhiali, orologi, oreficeria, panni di qualità, ed importatori di spezie, seta, e carta. Questo aprì ad un’epoca di guerre e di commerci, che si sarebbe protratta per tre secoli. Prima tregua Turco-Veneziana fu il Trattato di Costantinopoli (1479), con cui la Serenissima dovette rinunciare a riprendere Negroponte (perduta nel 1470) ed ottenne in cambio accesso al commercio con l’impero ottomano. Strappata buona parte dell’Albania a Venezia (1478), i Turchi erano proiettati verso l’Italia. La presa di Otranto nel 1479 generò gran timore tra gli Italiani, con la curia Romana pronta ad evacuare la città eterna, ma un intervento multinazionale richiesto da Papa Sisto IV, unito alla morte di Maometto II nel 1481 dopo trent’anni di regno, forzò la ritirata degli Ottomani dalla penisola.

Il sultano Solimano il Magnifico cinto dal celebre elmo con quatto corone, opera dei Veneziani suoi nemici.

Sotto Bayezid II e Selim I, gli Ottomani si concentrarono sul Medio-Oriente, conquistando Egitto e Siria. Ma il sultano Solimano (1520-1566), detto il magnifico dai Veneziani, virò la politica Turca nuovamente verso il Mediterraneo e l’Europa. Sottomise Belgrado (1521), il Dodecaneso (1522), Tunisia ed Algeria (1532), il sud dell’Ungheria (1526), e giunse quasi a prendere Vienna (1529) e Malta (1565), feudo di Sicilia che Papa Clemente VII aveva assegnato ai cavalieri di Rodi per compensarli della perdita dell’isola. A poco servirono i tentativi delle potenze cristiane di spingere la Persia sciita, sconfitta in tre campagne da Solimano, ad attaccare il fronte orientale Turco. L’Italia subiva indirettamente gli effetti di tale espansione. I corsari berberi Aruj Barbarossa e Dragut, comandanti della flotta Turco-Ottomana, infestavano le coste Italiane, e ritornava il terrore dei tempi di Maometto II.

«Donna: “Credete voi che ’l Turco passi questo anno in Italia?

Frate: “Se voi non fate orazione, si

Donna: “Dio ci aiuti con queste diavolerie! Io ho una gran paura di quello impalare.“»

(Passo della Mandragola di Niccolò Machiavelli)

Il principe corsaro Andrea Doria, qui rappresentato dal Bronzino nelle vesti del Dio Nettuno, fu uno dei più grandi ammiragli del Rinascimento e protagonista di un’intensa rivalità con i pirati Barbarossa e Dragut, sfociata in numerosi scontri e tentativi reciproci di cattura.

Se nell’area mitteleuropea l’avanzata Ottomana sembrava inarrestabile, con gli Austriaci ed i commissari pontifici costretti a cedere anche l’Ungheria centrale nel 1541, pure complicata era la situazione in mare. Spina nel fianco di Solimano nel contesto Mediterraneo fu il condottiero genovese Andrea Doria, ammiraglio al servizio di Francesco I di Francia, di Carlo V d’Asburgo, e di Papa Paolo III. Doria prese Corone e Patras (1532), assediò Tunisi (1535) e la pose sotto la Spagna, ma perse a Preveza (1538), e fallì nel tentativo di catturare Algieri (1541). Ultima sua impresa, di successo, fu la difesa della Corsica genovese dall’invasione Turca tra 1551 e 1559. E tuttavia l’equilibrio mediterraneo tendeva a favore di Solimano; fu ancora una volta la morte del Sultano a far respirare per qualche anno il Papato e l’Italia.

Nel 1570, i Turchi si impossessarono di Tunisia e Cipro, strappando la prima agli Spagnoli e la seconda ai Veneziani. Particolarmente cruenta fu la conquista di Cipro. Per dissuadere ogni resistenza il comandante ottomano fece recapitare la testa tagliata del governatore di Nicosia Niccolò Dandolo al comandante venziano Marcantonio Bragadin che rifiutò la resa. Durante l’Assedio di Famagosta 6.000 Veneziani resisterono contro 100.000 Turchi (che dopo due mesi di insuccessi divennero 250.000) armati di 150 navi e 1.500 cannoni per ben 10 mesi. Alla fine, data la sproporzione numerica, il comandante ottomano Lala Kara Mustafa Pascià riuscì a prendere prigioniero Marcantonio Bragadin al quale, nonostante le condizioni pattuite per la resa, vennero inflitte le più feroci torture.

Papa Pio V formò quindi la Lega Santa, composta dagli stati italiani (compresa Genova, la Toscana, Venezia, e Parma) assieme alla Spagna, e costituita da una flotta di 204 galee, di cui più della metà Veneziane, il cui comando era affidato al tedesco Giovanni d’Austria. Il 7 ottobre 1571 nel mare Egeo tale flotta multinazionale si scontrò con quella Ottomana nella Battaglia di Lepanto, il più grande scontro navale del Rinascimento, con la conseguente vittoria cattolica. Per celebrare il successo, Pio V istituì la festa della Madonna del Rosario il 7 di Ottobre. Tuttavia Cipro e Tunisia rimasero saldamente in mani Turche; Veneziani e Spagnoli avevano vinto la battaglia, ma perso la guerra. Ciononostante, in Italia e nel mondo, cadeva per sempre il mito dell’invincibilità Turca e finiva la loro inarrestabile espansione sui mari (per la fine dell’espansione terrestre, bisognerà attendere la Battaglia di Vienna del 1683).

Le condizioni economiche e sociali[modifica | modifica wikitesto]

Durante l’epoca rinascimentale emergono già in maniera evidente i differenti livelli di sviluppo economico raggiunti dalle diverse parti della Penisola. Il Nord conobbe una fase di prosperità che lo inserì fra le regioni più ricche d’Europa. Le Crociate avevano consentito di costruire legami commerciali duraturi con l’Asia e in particolar modo la Quarta Crociata aveva permesso a Veneziani e Genovesi di estromettere i rivali bizantini dai traffici nel Mediterraneo orientale. Le principali rotte commerciali passavano infatti attraverso i territori bizantini e arabi e avevano come snodo proprio VeneziaGenova e Pisa. Prodotti di lusso acquistati nel Levante, come spezie, coloranti e sete, venivano importati in Italia e da qui rivenduti in tutto il continente, mentre le merci provenienti dall’Europa continentale quali lana, frumento e metalli preziosi raggiungevano la Penisola attraverso le fiere della Champagne. I traffici lungo l’asse dall’Egitto al Baltico fruttavano ai mercanti italiani ingenti guadagni, che venivano reinvestiti nel settore agricolo e nell’estrazione mineraria.

In questo modo le regioni settentrionali dell’Italia, che non vantavano risorse superiori a quelle di altre aree europee, raggiunsero elevati livelli di sviluppo grazie all’impulso dato dai commerci. Firenze in particolare si affermò come uno dei centri più prosperi grazie soprattutto alla produzione di panni di lana, gestita dall’Arte della Lana, una delle più importanti corporazioni cittadine. La materia prima era importata dal Nord Europa (nel XVI secolo dalla Spagna[3]) mentre i coloranti importati dall’Est erano utilizzati per la fabbricazione di tessuti di alta qualità.

Il Sud invece, nonostante l’unità territoriale realizzata fin dal XII secolo, non era venuta a formandosi una borghesia dinamica ma perduravano le antiche strutture feudali fondate sul privilegio e una tendenza alla concentrazione fondiaria nelle mani di un forte ceto baronale. Inoltre le attività commerciali e finanziarie erano gestite quasi interamente da banchieri stranieri, soprattutto fiorentini e catalani, che concedevano prestiti alla Corona e realizzavano profitti destinati ad essere reinvestiti altrove. L’età rinascimentale fu inoltre interessata da un processo di costante incremento della popolazione seguito al crollo demografico del Trecento, dovuto al flagello della peste bubbonica. L’aumento si verificò in maniera piuttosto generalizzata in tutta Europa e vide l’Italia settentrionale al secondo posto per densità abitativa (40 abitanti per km²) dopo i Paesi Bassi[4]. Nel 1550, nella fase conclusiva del periodo rinascimentale, la città più popolosa d’Italia era Napoli, con circa 210.000 abitanti, seguita da Venezia (160.000), Milano e Palermo (entrambe 70.000)[5].

Nel settore economico dell’Italia rinascimentale assunse invece una certa rilevanza il settore della produzione dei tessuti di seta: tra l’altro nel 1465 veniva istituito a Napoli da Ferdinando I d’Aragona il Consolato dell’Arte della Seta[6]. La corporazione ebbe sede in Napoli, nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. Il tribunale era composto da tre consoli eletti ogni anno i quali nominavano un assessore, un coadiutore fiscale, un avvocato dei poveri ed un procuratore. Il consolato decideva le questioni riguardanti l’esercizio del mestiere e le controversie che insorgevano tra i membri dell’Arte. Il sovrano aragonese cercò di attirare a Napoli i più abili artigiani da Venezia, Genova e Firenze con esenzioni doganali per le materie prime e macchinari e concedendo loro diritti di cittadinanza e privilegi giurisdizionali. Anche se si tramandava delle origini arabe della produzione della seta alla fine dell’XI secolo a Catanzaro

«Hora godendo Catanzaro una perfettissima quiete diedesi alla coltura delle piante sudette, appellate Celsi, o come altri dicono Mori, e col beneficio dell’acque, che l’irrigavan, crebbero in breve con le foglie poi delle quali comincionsi a nutrir il Verme; indi da gusci del detto a cavar nell’acqua bollente la seta; con la pratica d’alcuni Orienteli nella Città commoranti imparando molti la testura di quella, ne fecero drappi di varie sorti; onde in modo vi si stabilì l’Arte[7]»

risulta accertato che le stesse strutture adottate a Napoli si misero in atto con successo nella città calabrese il 30 marzo 1519 per volontà dell’imperatore Carlo V d’Asburgo[8].

E ancora ricordiamo lo sviluppo nell’età del Rinascimento del settore postale: fu infatti Francesco I de Tassis a fondare le moderne poste d’Europa[9].

Inoltre, nel campo della linguistica, venne istituita a Firenze nel 1583 l’Accademia della Crusca, per lo studio e la diffusione della lingua italiana e, nel 1593, per elevare il lavoro degli artisti fu istituita l’Accademia nazionale di San Luca.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Il Quattrocento è passato alla storia come epoca dell’Umanesimo Rinascimentale, mentre il Cinquecento come secolo del Pieno Rinascimento. Secondo Nicola Abbagnano una “Rinascita” in Italia è già chiaramente percepibile nella seconda metà del XIV secolo. Cfr. Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, vol. II, Ed. speciale realizzata per il Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, da Iniziative Speciali De Agostini, Novara, 2005, p. 409
  2. ^ AA. VV. Storia moderna, Donzelli editore, Roma 1998 – Cap. XIV, saggio di Marcello Verga Gli antichi Stati italiani pp. 355-357
  3. ^ Jensen, De Lamar, Renaissance Europe, p. 95.
  4. ^ Giardina, Sabbatucci, Vidotto, Profili storici vol. 1, Editori Laterza, Roma-Bari 1997, p. 408
  5. ^ ibid. p. 409
  6. ^ Archivio di Stato Napoli
  7. ^ (Vincenzo D’Amato, Memorie historiche dell’illustrissima, famosissima, e fedelissima città di Catanzaro, 1670
  8. ^ Calabria focus
  9. ^ https://cosedibergamo.com/2017/11/13/francesco-tasso-e-il-suo-francobollo/

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA. VV., Storia moderna, Roma, Donzelli editore, 1998.
  • Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci; Vittorio Vidotto, Profili storici vol.1, Roma-Bari, Editori Laterza, 1997.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Signoria di Milano

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Signoria di Milano
Signoria di Milano – Bandiera Signoria di Milano - Stemma
(dettagli) (dettagli)
Motto: ‘Vipereos Mores Non Violabo
Visconti XIV century.svg

I domini dei Visconti nel XIV secolo

Dati amministrativi
Lingue parlate Latinolingua volgare
Capitale Milano
Dipendente da Banner of the Holy Roman Emperor (after 1400).svg Sacro Romano Impero
Politica
Forma di governo Signoria
Signore Signori di Milano
Organi deliberativi Credenza di Sant’Ambrogio
Nascita 1259 con Martino della Torre
Causa Martino della Torre viene eletto signore di Milano
Fine 5 settembre 1395 con Gian Galeazzo Visconti
Causa L’imperatore Venceslao di Lussemburgo consegna il titolo di duca a Gian Galeazzo Visconti
Territorio e popolazione
Bacino geografico Lombardia
Popolazione 150.000 (per la sola città di Milano) nel XIV secolo
Economia
Valuta ambrosinogrossosesinodenarosoldo, ottavo di soldo
Produzioni metalli, tessuti, prodotti agricoli, bestiame
Commerci con Repubblica di VeneziaFrancia
Religione e società
Religioni preminenti Cattolicesimo
Religioni minoritarie Ebraismo
Classi sociali nobiliclero, borghesia, contadini
Evoluzione storica
Preceduto da Flag of Milan (1171).svg Comune di Milano
Succeduto da Flag of Milan.svg Ducato di Milano
Ora parte di Italia Italia
Svizzera Svizzera

La Signoria di Milano fu un antico Stato italiano nato nel maggio del 1259 a seguito dell’elezione di Martino della Torre a signore di Milano. Dal 1259 al 1277 fu governata dalla famiglia guelfa dei Della Torre fin tanto che, a seguito della battaglia di DesioNapo della Torre fu costretto a cedere la sua carica a Ottone Visconti. Il dominio della famiglia ghibellina dei Visconti portò ad una serie di conquiste che portarono la famiglia al raggiungimento del titolo ducale nel 1395.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La crisi del Comune[modifica | modifica wikitesto]

Come molti comuni italiani a partire dal XII secolo anche Milano si dotò di un governo consolare. I consoli costituivano di fatto un governo oligarchico nel quale avevano voce le più importanti famiglie del milanese, nel 1130 Milano era governata da ventitré consoli e già in quell’epoca erano rappresentate la famiglia dei della Torre e quella dei Visconti. I consoli erano suddivisi in due ordini principali: quello dei capitanei, ovvero la classe più nobile, e quello dei valvassori, che già nel 1035 si era organizzata nella corporazione della Motta. A seguito di una protesta nel 1198 ai capitanei e alla Motta si affiancò la Credenza di Sant’Ambrogio, un’assemblea composta dai membri delle dalle classi borghesi e popolari[1]. In seguito alla formazione della Credenza le tre fazioni iniziarono a diventare sempre più litigiose e dando inizio una lunga serie di battaglie che culminarono nel 1225 con la vittoria della Credenza e il decisivo ridimensionamento del potere dei capitanei[2].

L’ascesa dei della Torre[modifica | modifica wikitesto]

Ormai in crisi nel 1240 la fazione nobiliare subì una scissione guidata da Pagano della Torre, il quale decise di confluire nella Credenza di Sant’Ambrogio che lo nominò podestà. Già proveniente da un’importante famiglia il della Torre assunse maggiore popolarità quando nel 1237 diede rifugio nei suoi possedimenti in Valsassina a ciò che restava dell’esercito milanese che era sconfitto nella battaglia di Cortenuova. Il della Torre governò la città fino alla sua morte avvenuta il 6 gennaio 1241. In questo breve periodo di governo fu in grado di stringere alleanze con le repubbliche marinare di Venezia e Genova, inoltre estese il catasto milanese riuscendo ad abbassare le tasse e placare il costante malcontento cittadino[3].

L’omonima basilica in cui fu firmata la Pace di Sant’Ambrogio nel 1258

Nel 1246 gli scontri tra la fazione popolare e quella dei capitanei ripresero rendendo così impossibile l’amministrazione regolare del comune. A seguito dei disordini il 26 maggio 1247 il legato pontificio Gregorio da Montelongo conferì la carica di Anziano della Credenza al nipote di Pagano, Martino della Torre, il quale riordinò i poteri comunali[4]. In breve tempo le lotte tra la Credenza e gli aristocratici ripresero e nel 1253 fu chiamato al governo della città Manfredo II Lancia che dopo tre anni decise di passare al partito ghibellino lasciando Milano. Con il vuoto di potere la guerra riprese e il 5 aprile 1257 prima di giungere ad un nuovo scontro i capitanei e la Motta, alleati contro la Credenza ancora guidata da Martino della Torre, si accordarono con la tregua di Parabiago alla quale succedette la Pace di Sant’Ambrogio il 4 aprile 1258. Nel frattempo anche a Como riprese la lotta tra la classe popolare, rappresentata dai Vittani, e quella nobiliare, guidata dai Rusconi. Così nel giugno del 1258, solamente tre mesi dopo la Pace di Sant’Ambrogio, i capitanei di Milano corsero in aiuto dei Rusconi e questo intervento provocò la pronta reazione della Credenza che mandando le sue truppe portò i Vittani alla vittoria i quali nominarono podestà di como Martino della Torre, a seguito di questi avvenimenti a luglio si ruppe l’accordo di pace. Per evitare ulteriori disordini il 30 marzo 1259 nella Basilica di Santa Tecla si propose l’elezione di un capo: dalla parte della Credenza si candidò Martino della Torre, per la Motta Azzolino Marcellino e infine per i nobili Guglielmo da Soresina. Numericamente vinse il candidato della Credenza, ma la Motta insorta contro la scelta decise di allearsi con i capitanei e sostenere il da Soresina. Nonostante l’elezione del dalla Torre la Motta si allea con i nobili e acclama come capo Guglielmo da Soresina. A quel punto lo stallo venne rotto dal legato pontificio, l’arcivescovo di Embrun Enrico da Susa, il quale invitò il Soresina e il della Torre a uscire dalla città per trovare un accordo. Il della Torre recatosi a Como dove era podestà radunò un esercito ed entrò a Milano e in seguito a ciò la Credenza lo nominò signore di Milano istituendo così la Signoria di Milano.

Nasce la Signoria[modifica | modifica wikitesto]

L’abbazia di Chiaravalle, luogo di sepoltura di Martino e Filippo della Torre, i primi due signori di Milano

Martino della Torre diventò così il primo signore di Milano nel maggio del 1259, come primo provvedimento decise di bandire i da Soresina dalla città in modo da non avere alcuna opposizione al governo. Pochi giorni dopo, il 17 settembre, decise di allearsi con lo Stato Pontificio per sconfiggere il maggiore sostenitore del Soresina, il ghibellino Ezzelino III da Romano che fu ucciso l’8 ottobre 1259 a seguito della battaglia di Cassano d’Adda. Dopo l’eliminazione dei nemici il della Torre pensò a trovare nuovi alleati così l’11 novembre Oberto II Pallavicino fu nominato capitano generale di Milano per cinque anni nonostante la scomunica papale e a seguito di ciò, l’anno seguente papa Alessandro IV decise di scomunicare anche Martino della Torre. Nonostante l’accentramento dei poteri il della Torre non riuscì a far eleggere a vescovo il cugino Raimondo, diretto discendente di Pagano, che invece fu assegnato alla diocesi di Como. All’arcivescovato di Milano prese posto il 22 luglio 1262 Ottone Visconti provocando l’ira del signore di Milano, il quale obbligò il Visconti, con l’aiuto del Pallavicino, a rifugiarsi a Montefiscone nello Stato Pontificio. Pochi mesi dopo la ritirata del Visconti, il 20 novembre 1263 morì a Lodi Martino della Torre a causa della scomunica fu sepolto nei pressi a dell’abbazia di Chiaravalle e non al suo interno.

La Credenza di Sant’Ambrogio elesse a signore di Milano Filippo della Torre, fratello di Martino[5]. Nel dicembre del 1263 Filippo annesse Como alla signoria di Milano grazie al sostegno dalla famiglia locale dei Vittiani, e l’11 dicembre 1264, in seguito alla scadenza del mandato, Oberto II Pallavicino fu cacciato da Milano diventando di fatto nemico dei della Torre. Nel 1265 il della Torre offrì aiuto militare allo Stato Pontificio in cambio dell’elezione del cugino Raimondo e della deposizione di Ottone Visconti, ma la proposta fu nuovamente rifiutata da papa Clemente IV da poco insediatosi al trono papale. Il 24 settembre 1265 Filippo della Torre morì lasciando irrisolti i conflitti con la chiesa. Nonostante ciò Filippo Visconti riuscì a formare un fronte guelfo unito capeggiato da Milano e al seguito le città di: BergamoComoLeccoLodiMonzaNovaraVarese e Vercelli e Brescia, grazie anche alle alleanze e agli intrecci parentali con la potente famiglia dei Maggi[6].

Napoleone della Torre[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1265 in seguito alla morte di Filippo la Signoria di Milano passò a Napo della Torre, figlio di Pagano, il quale fu affiancato dai fratelli Francesco e Paganino. Francesco fu nominato signore del Seprio, mentre e Paganino divenne podestà di Vercelli. La vendetta del Pallavicino non si fece attendere e il 29 gennaio 1266 Paganino fu assassinato da una banda di nobili milanesi proscritti aiutati da alcuni pavesi alle dipendenze del Pallavicino. A seguito dell’uccisione del fratello Napo della Torre fece decapitare i tredici nobili congiurati e inoltre diede l’ordine di decapitare dodici nobili rinchiusi nella carceri Milanesi a seguito della battaglia di Tabiago e altri ventotto nobili rinchiusi nelle carceri di Trezzo. Per evitare altre intrusioni dell’ormai ex alleato Oberto II Pallavicino il 23 marzo 1266 Napo decise di convocare i rappresentanti delle città della lega lombarda. Risolto il problema del Pallavicino Napo dovette affrontare anche l’annoso diverbio riguardante l’arcivescovato di Milano iniziato nel 1259. Su pressione del papa il 7 dicembre 1266 Milano decise di accettare la nomina di Ottone Visconti, a seguito di ciò tutti i milanesi furono assolti dalla scomunica, ma per precauzione Ottone rimase ancora a Viterbo.

Dal 1267 al 1274 si affermò la signoria dei della Torre, il 4 aprile 1267 Napo e il fratello Francesco assunsero formalmente il compito di guidare la lega guelfa, e per gli anni seguenti Napo e il fratello Francesco riuscirono a governare la Signoria in relativa tranquillità. In questo periodo si ebbe il miglioramento dei rapporti con i francesi, i quali stipularono con Milano migliori accordi riguardanti il commercio della lana. Nell’aprile del 1270 Milano muove guerra a Lodi che cadrà 3 mesi dopo sotto l’assedio di Napo che diventa signore della città. Nel 1271 a causa delle continue guerre e dell’aumento delle tasse seguirono innumerevoli rivolte: prima Brescia e poi Lodi abbandonarono la Lega guelfa e passarono ai ghibellini, quest’ultima venne però riconquistata da Napoleone. Dopo Lodi si rivoltò anche Como e perfino a Milano iniziavano a nascere opposizioni. Successivamente, anche CremaCremona e Novara insorsero. Nel 1272 vene indetto il consiglio degli ottocento che finalmente riconobbe ufficialmente napoleone come signore di milano, sancendo così la nascita ufficiale della signoria. Napoleone viene insignito del vicariato imperiale il 23 ottobre del 1273 dall’appena nominato imperatore Rodolfo I d’Asburgo. Dopo aver indirizzato le truppe nuovamente contro Pavia il 6 giugno 1274 Napoleone stipula un trattato di pace con Pavia e Novara.

Affresco nella rocca di Angera raffigurante la battaglia di Desio nella quale i Della Torre persero il predominio sul milanese

La rivalità con Ottone aumenta e Napoleone decide di inviare 6000 uomini in difesa della città. In questo periodo infatti si verifica episodi di guerriglia da parte dei pavesi e delle fazioni ghibelline, vengono così assunti dei mercenari e coadiuvato dall’esercito dell’imperatore Rodolfo riesce a sconfiggere l’esercito pavese ed uccidere il loro comandante Goffredo di Langosco. Inoltre riesce a fare diversi prigionieri tra cui Teobaldo Visconti, nipote dell’arcivescovo Ottone e padre di Matteo Visconti. Ottone decide quindi di occupare Castelseprio, ma viene messo in fuga da Napo[7]. Dopo aver vinto nel 1276 l’importante battaglia della Guazzera, presso Ranco nel varesotto, e successivamente perso la battaglia di Germignaga, combattuta per il possesso della rocca di Angera, che comunque restò nelle mani dei Torriani.

Viene sconfitto e catturato nella battaglia di Desio del 21 gennaio 1277 dall’arcivescovo Ottone Visconti. Muore l’anno seguente in prigionia nel castello di Baradello presso Como. Il fratello Francesco resta ucciso nel corso della stessa battaglia. Pure il figlio Corrado detto “Mosca” e Guido, figlio di Francesco, vengono fatti prigionieri, ma riescono a fuggire dal castello nel 1284. Con l’arrivo del Visconti a Milano i possedimenti dei della Torre vennero saccheggiati. Da questo momento i della Torre organizzano una guerriglia senza tregua contro i Visconti aiutati dal Friuli e dalle città padane a loro fedeli.

Sotto il governo di Napoleone della Torre Milano viene modernizzata da un’ampia programma di lavori pubblici che la trasformano radicalmente, facendola diventare la vera metropoli dell’Italia settentrionale. Inizia la costruzione di una chiesa dove ora sorge San Bernardino alle Ossa e due anni dopo si avvia anche la costruzione della chiesa dei Santi Simone e Giuda . Il 20 maggio del 1271Napoleone ordina che vengano selciate le strade principali, iniziando da quelle di Porta Nuova e Porta Orientale e nello stesso anno viene completato il tratto di naviglio tra Milano ed Abbiategrasso. Nel maggio del 1272 viene decisa la costruzione di una torre nel broletto nuovo di Milano.

Ottone Visconti[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1277 Ottone Visconti riorganizzò le assemblee statali e stilò una lista contenente le 200 famiglie nobiliari ammesse in città. Ottone è costretto a fronteggiare i della Torre a Lodi e gli viene in soccorso Guglielmo VII del Monferrato che verrà nominato capitano generale su proposta di Ottone per 10 anni. L’11 maggio 1278 Cassono della Torre s’impadronisce di Lodi con l’aiuto delle truppe imperiali e del patriarca d’Aquileia Raimondo della Torre e il 13 luglio le truppe torriane guidate da Cassono della Torre riescono a sconfiggere i Visconti entrando nel borgo di Porta Ticinese. Intanto le mire espansionistiche di Guglielmo costringono Ottone Visconti a sollevarlo dall’incarico il 15 settembre del 1278, Cassono però attacca il Visconti a Gorgonzola e a causa della grande sconfitta è costretto a chiedere l’aiuto di Guglielmo e nel novembre dello stesso anno gli conferisce la carica di Signore Perpetuo di Milano richiesta precedentemente. Il 25 maggio 1281 nella battaglia a Vaprio d’Adda fra i Torriani e i Visconti l’esercito dei Torriani è sconfitto. Il patriarca Raimondo ritorna in Friuli e Lodi ottiene la pace con Milano a condizione di espellere tutti gli esuli guelfi milanesi. Nel dicembre dello stesso anno Guglielmo VII del Monferrato viene cacciato da Milano e ottone si assicura la successione adottando Guido da Castiglione. Nel marzo del 1285 Goffredo della Torre dopo aver raccolto mercenari a Bergamo e a Como, entra nel territorio milanese e s’impadronisce di Castelseprio che verrà distrutto dai visconti due anni dopo.

Matteo Visconti[modifica | modifica wikitesto]

Nel dicembre del 1287Matteo Visconti venne nominato capitano del popolo e rivede immediatamente gli statuti comunali, verrà poi nominato signore di Milano nel 1291. Nel settembre del 1290 il marchese Guglielmo VII del Monferrato marcia verso Milano coi della Torre. Arrivato a Morimondo, di fronte all’esercito di Ottone Visconti si ritira, scappa ad Alessandria dove però è catturato e chiuso in una gabbia, dove rimarrà per un anno e mezzo fino alla morte nel 1292. Il 2 maggio 1294 Matteo Visconti è nominato vicario imperiale per la Lombardia e muove guerra a Lodi e Crema. Nel 1297 Matteo Visconti fa costruire il castello di Novara e la cappella viscontea nella Basilica di Sant’Eustorgio e il campanile che verrà ultimato nel 1309 e sarà dotato del primo orologio pubblico di Milano[8].

Nel maggio dl 1301 il Visconti propone la nomina del figlio Galeazzo a capitano del popolo, ma i parenti Albertone Visconti, Landolfo Borri, Corrado da Soresina, Pietro Visconti congiurano contro di lui senza successo. Matteo viene poi chiamato a Bergamo per riappacificare le famiglie locali e diverrà capitano del popolo per 5 anni e proprio qui a Bergamo il 6 luglio 1301 Giovanni I marchese del Monferrato insieme ai della Torre e le città di Novara, Vercelli, Pavia, Como e Cremona vengono definitivamente sconfitti. Nell’aprile del 1302 ricompaiono a Lodi i della Torre, il Mosca, Erecco e Martino figlio di Cassone insieme alla lega antiviscontea con Cremona, Pavia, Piacenza, Novara, Vercelli, Lodi, Crema, Monferrato, sotto la guida di Alberto Scotti. Dopo la cattura nel giugno del 1302 di Pietro Visconti a Bisentrate si riaccendono anche gli animi dei parenti che radunano un esercito di 10.000 uomini. Il 13 giugno il palazzo dei Visconti è saccheggiato e distrutto dai della Torre e i parenti avversari. Matteo ricorre all’intermediazione di Venezia per trattare la pace, ma con al pace di Pioltello i torriani lo costringono ad abbandonare il governo di Milano.

Il ritorno dei della Torre[modifica | modifica wikitesto]

Ritorna in città il potere dei della Torre che però sono osteggiati da parte della popolazione, mentre Matteo Visconti si rifugia a Nogarola ospite degli Scaligeri. Il visconti non si perde d’animo e nel maggio del 1303 occupa Bellinzona poi Varese e l’anno dopo è a Brescia e poi a Martinengo. Intanto i della Torre erano entrati in conflitto con Alberto Scotti che riescono però a sconfiggere nel 1304. Il 17 dicembre del 1307 Guido della Torre viene nominato Capitano del popolo per un anno per poi essere nominato Capitano perpetuo il 22 settembre 1308. Nel 1309 iniziano le prime discordie tra Guido e Cassono della Torre che viene esiliato, l’arcivescovo dopo aver scomunicato Guido entra in alleanza l’anno successivo con Matteo Visconti. A fronte di questa situazione interviene l’imperatore Enrico VII che depone Guido della Torre e viene nominato da Casonno re d’Italia in Sant’Ambrogio. Il 12 febbraio 1311 l’imperatore a causa di tumulti milanesi raccoglie un buon esercito, i Visconti pronti ad assalirli li accolgono con tranquillità, mentre i della Torre, sicuri dell’appoggio visconteo, incitano alla rivolta, ma vengono sconfitti dalle truppe reali. Galeazzo decide quindi di confermare la sua fedeltà all’imperatore e riprende il controllo della signoria. Così tramonta definitivamente il potere dei della Torre sulla Signoria di Milano.

Il dominio dei Visconti[modifica | modifica wikitesto]

Il dominio cittadino torna definitivamente in mani viscontee solo il 20 settembre del 1313 quando Matteo Visconti viene nuovamente nominato signore di Milano a vita. I torriani, alleati di Pavia, riprendono la lotta con i visconti e il 24 settembre sono sconfitti a Rho. i della Torre ottengono l’appoggio papale tanto che il 28 maggio del 1317 il papa reputa la Signoria di Matteo illegittima, ma il potere visconteo continua ad aumentare con la nomina di Giovanni Visconti ad arcivescovo di Milano, non accettata però da papa Giovanni XXII che nomina Aicardo Antimiani di Novara. Si stringono nuovi rapporti commerciali con la Repubblica di Venezia e con la Francia. Il 4 gennaio 1318 Matteo è scomunicato e successivamente verrà inflitta la stessa pena anche a Cangrande della Scala e Passerino Bonacolsi, signori ghibellini di Verona e Mantova. I rapporti con il papato rimangono tesi e dopo non essersi presentato alla corte papale ad Avignone il 16 dicembre 1321 Il papa ordina all’arcivescovo di Milano esule, Aicardo di Camodegia, di aprire un nuovo processo per eresia contro Matteo Visconti il figlio Galeazzo e molti parente a quell’epoca già morti come Ottone Visconti. Il 30 marzo del 1322 i milanesi sono colpiti dall’inquisizione e perdono beni e diritti. Matteo Visconti ormai anziano, 74 anni, si ritira a Crescezago e muore il 24 giugno 1322 lasciando il governo al figlio Galeazzo che viene nominato signore il 10 luglio.

Durante la sua signoria Matteo si dedica anche alla costruzione di opere pubbliche, nel 1316 viene decisa la costruzione della Loggia degli Osii in Piazza dei Mercanti per il capo della Società di giustizia Scoto di San Geminiano e l’anno successivo viene costruita la chiesa di Santa Maria dei Servi.

Galeazzo Visconti[modifica | modifica wikitesto]

La situazione milanese però è ancora turbolenta e l’8 novembre Galeazzo è costretto a lasciare Milano e rifugiarsi a lodi dopo alcuni scontri con Lodrisio Visconti, Francesco da Garbagnate e quei milanesi che cercavano un accordo con il papa. Il governo di Milano è affidato al capitano borgognone Giovanni di Chatillon, il vicario di Federico il Bello rimasto in Lombardia dopo la sconfitta del suo Signore. Per paura del ritorno dei della Torre il 12 dicembre Galeazzo viene richiamato alla guida della città ormai in preda al caos e ai saccheggi. Il papa muove guerra a Milano insieme ai della Torre, riesce a prendere Monza e dichiara Galeazzo eretico. Nel 1323 le truppe papali sono stremate, riparano a Monza che viene assediata l’8 agosto da Marco Visconti. Nel febbraio del 1324 l’esercito papale viene sconfitto dai milanesi a Vaprio d’Adda. Muore Simone della Torre ed è catturato il comandante Raimondo da Cardona, poi liberato per riuscire a discutere a Piacenza un trattato di pace con il pontefice.

Nel 1325 Galeazzo si dedica alla costruzione del castello di Monza[9].

L’opera di unificazione fu completata da Azzone Visconti, figlio di Galeazzo e nipote di Matteo, che si adoperò per gettare le basi di una struttura che coordinasse politicamente i suoi domini e che accentrasse il potere nelle mani della dinastia. Nell’anno 1327, con la morte del padre, rimase lui come unico erede ed in opposizione al pontefice, comprò il titolo di vicario di Milano dall’Imperatore Lodovico il Bavaro. Nel 1332 al governo del nuovo vicario, si associarono gli zii Luchino e Giovanni Visconti, figli di Matteo, in una sorta di triumvirato. L’altro zio Lodrisio, rimastone fuori, inscenò invano una serie di congiure per spodestare i tre; quando tutti suoi complici furono arrestati da Azzone il 23 novembre 1332, e rinchiusi nelle prigioni di Monza (dette i forni), fu costretto a fuggire a Verona, dove ospite di Mastino II della Scala, tesse una serie di alleanze, tra i quali rientravano gli scaligeri stessi ed il Signore di Novara Calcino Tornielli, nemico dell’Arcivescovo Giovanni. Si venne allo scontro decisivo il 21 febbraio 1339 nella Battaglia di Parabiago, vinta dai triumviri.

Il triumvirato[modifica | modifica wikitesto]

11 ottobre 1354 dopo la morte dell’arcivescovo Giovanni Visconti, la Signoria di Milano fu divisa tra i nipoti Matteo IIGaleazzo II e Bernabò. In questo periodo inoltre il futuro imperatore Carlo IV discese in Italia per essere incoronato, e una volta acconsentita l’incoronazione nella basilica di Sant’Ambrogio, il 6 gennaio 1355 Carlo IV fu incoronato con la corona ferrea dall’appena nominato arcivescovo di Milano Roberto Visconti. Sceso fino a Roma l’imperatore fu nuovamente incoronato il 5 aprile 1355 e tra l’8 e il 15 maggio Carlo IV inviò ai Visconti i nuovi diplomi di vicariato imperiale che spartiscono i territori tra i tre fratelli in quanto questi furono emanati dall’imperatore prima dell’incoronazione a Roma. Nel frattempo il 17 aprile 1355, poco prima dello scadere della tregua tra la Lega e i Visconti, Giovanni Visconti da Oleggio si ribellò ai Visconti entrando a Bologna e il 20 aprile si fece proclamare podestà. In agosto, in seguito alla presa di Bologna, Bernabò decise di intervenire e riprendere la città senza però riuscirci. Il triumvirato ebbe vita breve, infatti il 26 settembre 1355 Matteo II Visconti muore improvvisamente nel suo castello di Saronno, probabilmente per mano dei due fratelli. La signoria fu divisa nuovamente tra Galeazzo II e Bernabò che ottennero rispettivamente la parte occidentale e quella orientale del regno, mentre ai figli non fu riconosciuto alcun diritto di successione.

La guerra con il marchese di Monferrato[modifica | modifica wikitesto]

Contemporaneamente alla fine del triumvirato, il 30 ottobre 1355 nacque una nuova lega contro Milano guidata dal marchese di Monferrato, il quale dichiarò guerra a Milano il 15 dicembre. Il 1355 è l’anno in cui il marchese Giovanni II del Monferrato accrebbe il suo potere, infatti grazie al servizio di protezione prestato all’imperatore durante la sua discesa verso Roma il marchese ottene il 3 giugno il vicariato imperiale su Pavia, condividendolo con il cugino Ottone IV di Brunswick.

La guerra iniziò Il 23 gennaio 1356 con l’occupazione di Asti, ma in breve tempo il marchese del Monferrato conquisto anche Alba, il 4 febbraio prende Alba e Cuneo il 15, inoltre prese ai Visconti anche Mondovì e Chieri. Il 10 febbraio in aiuto del marchese accorse anche il podestà di Bologna Giovanni Visconti da Oleggio, il quale solo due mesi prima si era accordato con Bernabò per spartirsi il potere su Bologna. La risposta dei Visconti non si fece attendere e ad aprile Galeazzo, con l’aiuto di Pandolfo Malatesta mise sotto assedio Pavia e attaccò il Monferrato. L’assedio però non andò a buon fine e il 28 maggio a seguito di un attacco a sorpresa guidato dal frate Jacopo Bussolari l’esercito di Galeazzo II Visconti subì una grave sconfitta. Ben presto i Visconti furono costretti a trovarsi degli alleati e il 27 giugno formarono una lega con Giacomo di Savoia-Acaia il quale però richiese ai due signori di Milano di intervenire anche contro il marchese Tommaso II di Saluzzo. I territori di Mondovì, Morozzo, Cuneo e Cherasco sottratti ai Visconti furono acquisiti nel giugno del 1356, Filippo II d’Angiò, vicario in Piemonte della regina di Napoli Giovanna. La guerra prosegue e in agosto Bernabò decise di assediare Castelleone, dove però venne sconfitto. I problemi aumentano quando il 4 ottobre il vicario imperiale Markward von Raudeck accusò Galeazzo e Bernabò Visconti di offese all’imperatore, decise quindi di marciare su Milano. Il 9 novembre 1356 anche Novara viene persa, ma quattro giorni dopo, nella battaglia di Casorate Primo le truppe imperiali guidate da Markward von Raudeck subirono una sconfitta da parte dell’esercito milanese e il vicario fu fatto prigioniero. durante lo scontro le truppe di Bernabò furono comandate dal Lodrisio Visconti, mentre quelle di Galeazzo dal fidato Pandolfo Malatesta. Nel frattempo Genova insorse e ripristinò il doge Simone Boccanegra. In primavera Bernabò fu autorizzato dal papa a conquistare Bologna, inoltre tentò di prendere Reggio e Mantova senza riuscirvi. Un altro problema per i Visconti fu causato dalla Conte Lando, alleato della lega antiviscontea e capo della Grande Compagnia, il quale nel novembre del 1357 iniziò a saccheggiare i dintorni di Milano. Finalmente il 6 aprile 1358 a Milano si aprì la conferenza per la pace a cui parteciparono tutti gli Stati italiani comprese la Repubblica di Venezia e la Contea di Savoia. Dopo due mesi di lavori, l’8 giugno 1358 a Milano in Sant’Ambrogio si firmò la pace. In seguito all’accordo Novara e Alba tornano ai Visconti mentre Asti e Pavia restarono al marchese di Monferrato.

Dall’iniziale congregazione di città sottoposte al dominio di un unico signore, Giovanni e Luchino, ma soprattutto Gian Galeazzo e Bernabò, tramite un’intensa attività di consolidamento della loro supremazia attuata con il ridimensionamento delle autonomie locali e l’attrazione nella loro orbita delle molteplici piccole signorie rurali crearono una sorta di struttura statuale. Con Giovanni Visconti, alla metà del XIV secolo si ebbe la prima grande espansione dei possedimenti della famiglia con la vittoria sui Signori di Verona (gli Scaligeri) e con la sottomissione addirittura di Genova e Bologna. grazie a queste estensioni Gian Galeazzo riuscì a ottenere nel 1395 dall’Imperatore Venceslao il titolo di duca ponendo così fine alla signoria e dando inizio al ducato.

Economia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Gotico a Milano.

Nel secolo XIII Milano era una delle poche città europee ad avere più di 150.000 abitanti, l’artigianato era in pieno sviluppo, soprattutto per la lavorazione dei metalli per la produzione delle armi, e dei tessuti, agricoltura e allevamento erano fiorenti ed i traffici intensi, anche grazie alla costruzione del Naviglio Grande, che favorì gli scambi e irrigò sapientemente le campagne. L’inizio della costruzione del duomo da parte di Gian Galeazzo Visconti nel 1387 manifestava nel modo più tangibile l’affermazione della floridezza della città e della signoria dei Visconti. Ampie descrizioni delle attività di Milano sono evidenti dal “De magnalibus urbis Mediolani” di Bonvesin de la Riva.

Stemmi[modifica | modifica wikitesto]

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Sacro Romano Impero

Sacro Romano Impero

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l’Impero dall’800 al 962 (che pure si considerava continuazione dell’Impero Romano), vedi Impero carolingio.
Sacro Romano Impero
Sacro Romano Impero – Bandiera Sacro Romano Impero - Stemma
(dettagli) (dettagli)
Holy Roman Empire (1789).svg

Il Sacro Romano Impero nel 1789, alla vigilia della Rivoluzione francese

Dati amministrativi
Nome completo Sacro Romano Impero e, successivamente (dal 1512), Sacro Romano Impero della Nazione Germanica
Nome ufficiale Heiliges Römisches ReichSacrum Imperium Romanum
Lingue ufficiali latinotedesco
Lingue parlate decine di lingue germanicheslave e romanze
Capitale Nessuna de iure
Aquisgrana (800-1556)
Palermo (Hohenstaufen)
Praga (1346-1437;1583-1611)
Vienna (1483-1806)
Ratisbona (1663-1806)
Wetzlar (1689-1806)
Dipendenze Banner of the Holy Roman Emperor with haloes (1400-1806).svg Piccola Venezia
(1528-1546)
Politica
Forma di Stato Stato assoluto
Forma di governo Monarchia elettiva feudale
Titolo del Sovrano Imperator Romanorum
(Imperatore dei Romani)
Elenco Imperatori del Sacro Romano Impero
Organi deliberativi Reichstag
Nascita 2 maggio 962 con Ottone I
Causa Incoronazione di Ottone I di Sassonia
Fine 6 agosto 1806 con Francesco II
Causa Dissoluzione formale a seguito dell’intervento napoleonico
Territorio e popolazione
Bacino geografico Europa centrale
Massima estensione 900000 km² nel 1032
~600000 km² nel 1789
Popolazione 10 000 000 nel 1032
20 000 000 nel 1700
Economia
Valuta Tallero
Religione e società
Religioni preminenti Cattolicesimo e protestantesimo
Religione di Stato cattolicesimo
Religioni minoritarie luteranesimoebraismo
Classi sociali nobiltàclerocittadiniservi
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L’evoluzione storica del Sacro Romano Impero dal 962 al 1806

Evoluzione storica
Preceduto da Ludwig der Deutsche.jpg Regno dei Franchi Orientali
Corona ferrea monza (heraldry).svg Regno d’Italia
Succeduto da Early Swiss cross.svg Svizzera
Prinsenvlag.svg Repubblica delle Sette Province Unite
Medaille rheinbund 472.jpg Confederazione del Reno
Austria Austria
Flag of France (1794–1815, 1830–1958).svg Francia
Flag of the Kingdom of Prussia (1803-1892).svg Prussia
Flag of the Brabantine Revolution.svg Stati Belgi Uniti
Flag of Liechtenstein (1719-1852).svg Liechtenstein
Ora parte di Austria Austria
Belgio Belgio
Città del Vaticano Città del Vaticano
Croazia Croazia
Francia Francia
Germania Germania
Italia Italia
Liechtenstein Liechtenstein
Lituania Lituania
Lussemburgo Lussemburgo
Polonia Polonia
Rep. Ceca Rep. Ceca
San Marino San Marino
Slovacchia Slovacchia
Slovenia Slovenia
Svizzera Svizzera
Paesi Bassi Paesi Bassi

Il Sacro Romano Impero[1][2] fu un agglomerato di territori dell’Europa centrale e occidentale nato nell’alto Medioevo ed esistito per circa un millennio. Esso traeva il nome “impero romano” dall’essere considerato una continuazione dell’Impero romano d’Occidente e perciò un potere universale, mentre l’aggettivo “sacro”, che lo contrapponeva all’impero pagano dei primi tre secoli, sottolineava che la rinascita del potere imperiale doveva considerarsi voluta da Dio e per questo motivo il potere di incoronare l’imperatore era attribuito al papa, almeno fino alla Riforma.[3]

Come anno di fondazione si considera in genere il 962, data dell’incoronazione di Ottone I. L’impero di Ottone infatti ereditava gran parte dell’Impero carolingio, ma non la Franconia occidentale, più o meno l’odierna Francia. Comunque, buona parte della storiografia di lingua italiana e francese include nella storia del Sacro Romano Impero anche l’Impero carolingio, segnando quindi come data d’inizio del Sacro Romano Impero l’incoronazione di Carlo Magno nell’800.[4]

Il primo ad aggiungere il termine “sacro” al consueto “impero romano” fu Federico Barbarossa: esso appare in una lettera del 1157, che chiedeva ai magnati dell’impero aiuto contro le città lombarde.[5]

Solo nel 1512 sotto l’imperatore Massimiliano I la dizione “Sacro Romano Impero della Nazione Germanica” (in tedesco Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation, in latino Sacrum Imperium Romanum Nationis Germanicae), già attestata fin dal 1417,[6] fu usata in un atto del sovrano, il preambolo di commiato al Reichstag di Colonia.[7] La titolatura dell’imperatore, in ogni caso, non cambiò, restando fino al 1806 “Imperator Romanorum semper Augustus“, senza riferimenti germanici.

In teoria, l’imperatore doveva essere la massima autorità politica del mondo abitato, superiore a tutti i re e pareggiato (o superato, a seconda delle visioni politiche) solo dal papa, che era chiamato a governare la cristianità nelle materie che riguardavano la fede. Nei fatti però qualcosa di simile fu raggiunto soltanto con Carlo Magno, che comunque già non aveva giurisdizione diretta su alcune terre cristiane, come l’Inghilterra. Da Ottone I di Sassonia in avanti l’impero governava solo la Germania e per un periodo minore parti dell’Italia e di altre terre europee.

Il Sacro Romano Impero fu formalmente dissolto nel 1806.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

Continuità e discontinuità tra Imperi carolingio e germanico[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Impero carolingio.

Per convenzione, la nascita del Sacro Romano Impero si fissa al 962, quando Ottone di Sassonia si fece incoronare da papa Giovanni XII imperatore di un’entità che comprendeva Germania e Italia (e poi Borgogna). Ma gran parte della storiografia italiana e francese vi include l’Impero carolingio e quindi ne indica l’inizio nell’incoronazione di Carlo Magno nell’800. Carlo stesso, al titolo di re dei Franchi, aggiunse quello di “Augustus Imperator Romanorum gubernans Imperium“, conferitogli da papa Leone III durante l’incoronazione.

Al di là della cesura provocata dalle lotte tra i discendenti di Carlo, comunque, la successione imperiale continuò a essere vista senza soluzione di continuità: gli imperatori si consideravano successori di Carlo Magno: Carlo IV e Carlo V portavano questi ordinali perché Carlo I era stato Carlo Magno, Carlo II Carlo il Calvo e Carlo III Carlo il Grosso.

L’Impero carolingio copriva un’area che include le odierne Francia e Germania, la Catalogna, i paesi del Benelux, la Svizzera e buona parte dell’Italia settentrionale, anche se la dinastia che governava questi territori era di stirpe franca, e dunque germanica. L’Impero acquistò un carattere più germanico dopo la spartizione attuata dal Trattato di Verdun dell’843, grazie al quale la dinastia Carolingia proseguì — per pochi decenni — su linee indipendenti nelle tre regioni. La parte più orientale cadde sotto Ludovico II il Germanico, che ebbe vari successori fino alla morte di Ludovico IV, detto “il Fanciullo”, ultimo sovrano carolingio della parte orientale.

Formazione dell’Impero ottoniano[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia ottoniana e Ducato d’origine.

I territori del Sacro Romano Impero nel 972, sotto Ottone I, e nel 1032, sotto Corrado II.

Alla morte di Ludovico IV, nel 911, i duchi di AlemanniaBavieraFranconia e Sassonia elessero re dei Franchi uno di loro, il duca Corrado I di Franconia. Il suo successore Enrico I (919 – 936), un sassone, regnò sul regno orientale separato da quello occidentale franco (ancora retto dai Carolingi) nel 921 chiamando sé stesso rex Francorum orientalium (re dei Franchi Orientali).

Enrico designò come suo successore il figlio Ottone, che fu eletto Re ad Aquisgrana nel 936. Questi più tardi, incoronato Imperatore con il nome di Ottone I (poi chiamato “il Grande”) nel 962, avrebbe marcato un passo importante, verso l’Impero e avrebbe avuto la benedizione del Papa. Ottone aveva guadagnato prima molto del suo potere, quando nel 955 aveva sbaragliato i Magiari nella battaglia di Lechfeld.

Nella letteratura contemporanea e successiva, ci si riferisce all’incoronazione come a una translatio imperii, trasferimento dell’Impero. Il mitico sottinteso era che c’era e ci sarebbe stato sempre un solo impero. Si considerava che fosse cominciato con Alessandro Magno, fosse passato ai Romani, poi ai Franchi, e finalmente al Sacro Romano Impero (e questo spiega il Romano nel nome dell’Impero). Gli imperatori tedeschi si consideravano quindi i diretti successori di quelli dell’Impero Romano; e per questo motivo inizialmente si davano il titolo di Augusto. Inizialmente essi non si chiamarono ancora Imperatori “Romani”, probabilmente per non entrare in conflitto con l’Imperatore Romano che ancora esisteva a Costantinopoli. Il termine Imperator Romanorum divenne comune solo successivamente all’epoca di Corrado II.

A quel tempo, il regno più orientale non si presentava come un’entità omogenea definibile già come “tedesca”, ma era piuttosto costituito dall’alleanza delle vecchie tribù germaniche dei BavariSvevoAlemanniFranconi e Sassoni. L’Impero come unione politica probabilmente sopravvisse solo per la forte personalità e influenza di Enrico il Sassone e di suo figlio Ottone. Tuttavia, anche se formalmente eletti dai capi delle tribù germaniche, nella realtà essi riuscirono a designare i loro successori.

Questo cambiò dopo Enrico II morto nel 1024 senza figli quando Corrado II, primo della dinastia Salica, fu eletto re nello stesso anno solo dopo qualche dibattito. Come esattamente il re fosse scelto sembra essere una complicata combinazione di influenza personale, lotte tribali, eredità e acclamazione da parte dei capi chiamati a formare l’assemblea dei grandi elettori.

Già a quel tempo il dualismo fra i territori, quelli delle vecchie tribù radicate nelle terre dei Franchi ed il Re/Imperatore, divenne solo apparente. Ciascun re preferiva passare la maggior parte del tempo nei suoi territori. Questa pratica cambiò solo al tempo di Ottone III re nel 983, imperatore dal 996 al 1002, che cominciò a utilizzare le sedi vescovili sparse nell’Impero come sedi temporanee del governo. Anche i suoi successori Enrico IICorrado II ed Enrico III, apparentemente riuscirono a legare i duchi al territorio. Non è, quindi, una coincidenza se all’epoca la terminologia cambia e si trovano le prime occorrenze del termine Regnum Teutonicum.

Alto Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

La lotta per le investiture[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia salica e Lotta per le investiture.

La gloria dell’Impero quasi si estinse nella Lotta per le investiture, durante la quale il Papa Gregorio VII scomunicò Enrico IV (Re nel 1056, Imperatore dal 1084 al 1106). Sebbene fosse stata revocata dopo l’umiliazione di Canossa del 1077, la scomunica ebbe vaste conseguenze. Nel frattempo i duchi tedeschi avevano eletto un secondo Re Rodolfo di Svevia, che Enrico IV poté sconfiggere solo dopo una guerra di tre anni nel 1080. Le radici mitiche dell’Impero erano danneggiate per sempre; il Re tedesco era stato umiliato. Più importante ancora, la Chiesa diveniva un’entità indipendente sulla scacchiera dell’Impero.

L’Impero sotto gli Hohenstaufen[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Hohenstaufen.

Corrado III salì al trono nel 1138, fu il primo imperatore della dinastia Hohenstaufen (o di Svevia, in quanto gli Hohenstaufen erano duchi di Svevia), il cui periodo coincise con la restaurazione della gloria dell’Impero anche sotto le nuove condizioni del concordato di Worms. Fu Federico I “Barbarossa”, il secondo della dinastia di Svevia (Re nel 1152, Imperatore dal 1155 al 1190) a chiamare per primo “Sacro” l’Impero.

Inoltre sotto il Barbarossa l’idea della “Romanità” dell’Impero tornò a crescere. Un’assemblea imperiale nelle campagne di Roncaglia nel 1158 esplicitamente giustificò i diritti imperiali con la opinione di quattuor doctores del nuovo organismo giuridico della Università di Bologna, che cita frasi come princeps legibus solutus (il Principe non è soggetto alla legge) tratte dai Digesta del Corpus iuris civilis. Che i legislatori romani l’avessero creato per un sistema completamente diverso che non coincideva affatto con la struttura dell’Impero era considerato del tutto secondario; la corte dell’imperatore aveva la necessità di legittimarsi storicamente.

Ai diritti imperiali ci si era riferiti con il termine generico di regalia fino alla Lotta per le investiture, ma furono enumerati per la prima volta a Roncaglia. Questo elenco includeva strade pubbliche, tariffe, emissione di moneta, raccolta di imposte punitive e la nomina e revoca dei funzionari. Questi diritti furono radicati esplicitamente nella Legge Romana, come fosse una legge costituzionale; il sistema fu anche connesso alla legge feudale, e il cambiamento più evidente fu il ritiro dei feudi di Enrico il Leone nel 1180 che portò alla sua scomunica. Barbarossa, quindi, per un certo tempo, cercò di legare più strettamente i riottosi duchi tedeschi all’impero come un tutt’uno.

Un’altra importante novità costituzionale di Roncaglia fu lo stabilimento di una nuova pace (Landfrieden) per tutto l’Impero, un tentativo non solo di abolire le vendette private fra i duchi locali, ma anche di legare i subordinati dell’Imperatore a un sistema di giurisdizione e di persecuzione pubblica degli atti criminali, concetto che all’epoca non era universalmente accettato.

Poiché dopo la lotta per le investiture l’imperatore non poteva più appoggiarsi alla Chiesa per mantenere il potere, gli Staufen sempre più concedevano terra a funzionari che Federico sperava fossero più manovrabili dei duchi locali. Inizialmente utilizzati soprattutto per servizi di guerra, questi avrebbero formato la base per la futura classe dei cavalieri, altro appoggio del potere imperiale.

Un altro concetto innovativo per il tempo era la fondazione sistematica di nuove città, sia da parte dell’Imperatore sia da parte dei Duchi locali. Ciò era dovuto all’esplosione della popolazione, ma anche alla necessità di concentrare il potere economico in località strategiche, mentre fino ad allora le sole città esistenti erano di antica fondazione romana o le più vecchie sedi vescovili. Fra le città fondate nel XII secolo Friburgo, modello economico per molte altre successive, e Monaco.

Il successivo regno dell’ultimo degli Staufen, Federico II, fu per molti aspetti differente da quello dei predecessori. Ancora bambino inizialmente regnò in Sicilia, mentre in Germania il figlio del BarbarossaFilippo di Svevia e Ottone IV competevano con lui per il titolo di Re dei Germani. Dopo essere stato incoronato imperatore 1220, rischiò il conflitto con il Papa per aver reclamato il potere su Roma; in modo stupefacente per molti, si impossessò di Gerusalemme nella crociata del 1228, mentre era ancora scomunicato dal Papa.

Mentre riportava in auge l’idea mitica dell’Impero, Federico II compì il primo passo nel processo che avrebbe portato alla sua disintegrazione. Da un lato si concentrò sull’instaurare in Sicilia uno Stato di straordinaria modernità per i tempi, con servizi pubblicifinanze e sistema giudiziario. Dall’altro, fu l’Imperatore che concesse i maggiori poteri ai Duchi tedeschi, con due Privilegi che non sarebbero stati più revocati dal potere centrale. Nel 1220, con Confoederatio cum principibus ecclesiasticis, Federico in sostanza cedeva ai vescovi un certo numero di diritti imperiali (regalia), fra cui quelli di stabilire tariffe, battere moneta ed erigere fortificazioni. Nel 1232 con lo Statutum in favorem principum estendeva tali diritti agli altri territori.

Benché molti di questi privilegi esistessero già, non erano elargiti in modo generalizzato e definitivo, onde permettere ai Duchi di mantenere l’ordine al Nord delle Alpi, mentre Federico voleva concentrarsi sulla sua terra natale, l’Italia. Nel documento del 1232 per la prima volta i Duchi tedeschi sono chiamati Domini terrae, proprietari della terra, altra novità notevole.

Il Grande Interregno[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Grande Interregno.

Dopo la morte di Federico II nel 1250, in Germania gli succedette il figlio Corrado IV, cui si oppose come anti-re Guglielmo II d’Olanda. Scomparsi anche questi due, rispettivamente nel 1254 e nel 1256, seguì il periodo poi noto come Grande Interregno (1250-1273): furono nominati vari imperatori, nessuno dei quali però riuscì ad imporre la propria autorità sull’impero. Di conseguenza, i vari signori feudali accrebbero ulteriormente il proprio potere e iniziarono a considerarsi principi indipendenti.

Basso Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

I Re-conti[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Re-conte.

Nel 1273 fu eletto sovrano Rodolfo d’Asburgo (1273-1291); tuttavia, sia lui sia i suoi successori Adolfo di Nassau (1292-1298) e Alberto d’Asburgo (1298-1308) non furono mai incoronati imperatori, bensì si fregiarono semplicemente del titolo di Re dei romani.

Nel 1308, Filippo IV di Francia si adoperò per l’elezione di suo fratello Carlo di Valois, al fine di portare l’Impero nell’orbita della Francia; tentò di comprarsi il sostegno degli elettori tedeschi con doni lussuosi, oltre a fare affidamento sul possibile appoggio di papa Clemente V, suo connazionale che aveva spostato la sede papale in Francia. Alla fine, tuttavia, gli elettori preferirono Enrico VII di Lussemburgo; questi fu dapprima incoronato re ad Aquisgrana, quindi imperatore a Roma nel 1312, a quasi settant’anni dalla deposizione dell’imperatore precedente: Federico II.

La Bolla d’oro[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Principe elettore e Bolla d’oro.

Le difficoltà riscontrate nell’elezione regale finirono per portare alla formazione di un collegio di principi elettori, che in precedenza avevano invece agito soprattutto in base alla consuetudine. Solo nel 1356, con la Bolla d’oro dell’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, fu definitivamente stabilita la procedura giuridica per l’elezione imperiale, poi rimasta invariata fino alla fine dell’Impero. I principi elettori potevano ora battere moneta e trasmettere il proprio titolo per via ereditaria; per eleggere l’imperatore non era più richiesto un consenso unanime, ma la maggioranza dei voti.

Nel 1355, sotto l’imperatore Carlo IVPraga divenne capitale del Sacro Romano Impero e Rodolfo II riportò la capitale a Praga nel 1583; durante questo periodo la Boemia conobbe un periodo di grande splendore artistico ed economico.

La riforma imperiale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Scisma d’Occidente e Riforma imperiale.

Agli inizi del XV secolo, la “costituzione” del Sacro Romano Impero non era ancora del tutto delineata: benché ne fossero state definite alcune istituzioni e procedure, l’interazione tra l’imperatore, gli elettori e gli altri duchi dipendeva in larga parte dalla personalità dei vari sovrani. Sigismondo di Lussemburgo (1433-1437) e Federico III d’Asburgo (1452-1493) si concentrarono soprattutto sui propri domini personali, periferici rispetto alle terre centrali e “germaniche” dell’impero. I duchi iniziarono a rivaleggiare tra di loro e questi conflitti alle volte evolvevano in scontri locali.

L’impero risentì anche della crisi che in quel momento affliggeva la Chiesa: difatti quest’ultima fu lacerata da un Grande scisma tra papi e antipapi, durato per quasi quarant’anni e sanato infine dal concilio di Costanza (1418). L’idea medievale dei due poteri universali, Papato e Impero, alla guida dell’Occidente cristiano riunito entro una sola entità politica, iniziava a rivelarsi inattuale. Pertanto nel ‘400 si iniziò a discutere dell’eventualità di una riforma dell’organismo imperiale.

Nel 1495, l’imperatore Massimiliano I convocò una dieta a Worms. Qui, il re ed i duchi convennero su quattro punti ed emanarono la Riforma imperiale (Reichsreform), una raccolta di testi legali tendente a dare qualche struttura all’Impero in via di disgregazione. Tra le altre cose furono istituiti i “Circoli Imperiali” (Reichskreisstandschaft) e la “Corte della Camera imperiale“.

Nel 1512 l’Impero prese il nome di Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation, “Sacro Romano Impero della nazione germanica”.

Il Rinascimento e la Riforma[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Riforma protestante.

Quando Martin Lutero avviò la Riforma protestante, molti duchi locali videro l’opportunità di opporsi all’Imperatore. Il punto più alto di questo contrasto fu la creazione, nel 1531, della Lega di Smalcalda, un’alleanza militare volta a consolidare il fronte anti-imperiale e a renderlo effettivo sul piano militare.[8]

Dopo un secolo di contrasti, il conflitto tra i duchi e l’impero, fra l’altro, portò alla guerra dei trent’anni (1618-1648), devastando gran parte dell’Europa.

Dopo la pace di Vestfalia[modifica | modifica wikitesto]

Il Sacro Romano Impero dopo la pace di Vestfalia (1648)

La reale fine dell’Impero sopraggiunse in passi successivi. Dopo la pace di Vestfalia del 1648, che assegnò ai territori una sovranità virtualmente completa, consentendo a essi di stringere alleanze indipendenti con altri stati, l’Impero divenne non più di una semplice aggregazione di stati indipendenti.

L’impero, ormai divenuto solo un concetto giuridico, era composto da trecento stati sovrani, aventi diritto di seggio e di voto alla Dieta permanente a Ratisbona (1667), dove i deputati dei principi tedeschi deliberavano sugli affari tedeschi o di rilievo internazionale per l’impero, e da circa 1.500 signorie di fatto sovrane, ma prive di riconoscimento internazionale.

La loro sovranità veniva esercitata non solo con il governo indipendente dei propri stati con l’organizzazione di una propria amministrazione, un esercito, il diritto di legiferare o di coniare monete proprie, ma anche nei rapporti internazionali con l’invio di proprie rappresentanze presso le altre corti, nel tessere rapporti diplomatici nello stipulare accordi commerciali o militari. L’unica condizione che continuava a legare gli stati tedeschi all’impero era la libertà di stipulare alleanze che, comunque, non fossero di danno all’impero medesimo. Così si arrivò al paradosso che potevano essere fatte alleanze militari contro l’imperatore (quale titolare degli stati Asburgici, e quindi paragonato a ogni altro sovrano), ma non contro gli interessi dell’impero, per il quale si poteva perdere il proprio Stato, come feudo imperiale, con l’accusa di “fellonìa”, come fu nel caso di alcuni feudi imperiali italiani (ducato di Mantova e ducato della Mirandola nel 1708).

La concezione giuridica medievale dell’imperatore come una figura giuridica di primus inter pares rispetto agli altri sovrani, garante della difesa della Res publica christiana e di amministratore di pace e giustizia era andata ormai perduta. Questa visione ideale si scontrava con la realtà politica europea: i sovrani dei grandi regni nazionali, benché completamente affrancati dall’autorità imperiale, continuarono a mantenere una certa soggezione formale e giuridica, in qualità di titolari di numerosi feudi dell’impero. Molti sovrani di regni limitrofi all’impero avevano notevoli ingerenze negli affari tedeschi, grazie all’unione personale con alcuni feudi imperiali che permettevano loro di avere anche diritto di voto alla Dieta (FranciaDanimarcaGran BretagnaPrussiaPoloniaSvezia).

Le minacce all’Impero portate avanti da Luigi XIV e dall’Impero Ottomano spinsero verso la creazione della Nuova Costituzione di difesa dell’Impero del 1681, che si sostituì alla vecchia del 1521. Gli Stati tedeschi, ripartiti nei dieci circoli imperiali, erano distinti in:

Fuori dai circoli, e prive di voto alla Dieta, erano oltre un migliaio di piccole signorie equestri ripartite in circoli equestri (Reno, Franconia, Svevia), a loro volta suddivisi in quattordici cantoni nobiliari, oltre al distretto dell’Alsazia. Tale situazione rimase pressoché immutata fino alla rivoluzione francese.

Ogni circolo doveva provvedere al reclutamento e mantenimento di un contingente. Fu imposto che ogni principe avesse il diritto di imporre il contributo dei sudditi alla difesa e fu creata una tassa di circolo per il mantenimento delle truppe, non più una tassa generale che, data l’eterogeneità dell’Impero, aveva avuto sempre una scarsa efficacia. Si giunse così alla creazione di un esercito permanente di circa 40 000 uomini. Nonostante la sua volontà unitaria, questa riforma rafforzò più i grandi stati tedeschi (inclusa l’Austria) che non l’Impero, i quali furono così liberi di approntare difese ed eserciti che rafforzarono il loro potere assoluto sul loro territorio e nell’Impero.

L’Impero nel XVIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso del XVIII secolo la politica francese continua a perseguire un atteggiamento aggressivo nei confronti dell’impero. Luigi XIV di Francia si pose in diretto antagonismo con gli Asburgo che continuavano a detenere il titolo imperiale, di fatto divenuto ereditario per la loro famiglia. Le lunghe guerre che furono combattute nella seconda metà del XVII secolo e nella prima metà del XVIII, portarono a una progressiva erosione dei territori occidentali imperiali a favore della Francia. Inoltre, sempre con l’intenzione di indebolire la monarchia asburgica, la diplomazia francese, fomentava continue alleanze contro gli stati asburgici dell’imperatore come nel caso degli Elettori di Colonia, Treviri e della Baviera. Tale movimento centrifugo degli stati tedeschi favorì la rapida ascesa degli Hohenzollern che da elettori del Brandeburgo nell’arco di cinquanta anni assurgeranno come re di Prussia a governare una nuova potenza europea in grado di competere con gli Asburgo.

Assunto il titolo reale (1701), la Prussia non perse occasione per strappare potere e territori all’Austria degli imperatori Asburgo, facendosi fautrice delle esigenze degli stati tedeschi di fede protestante (ruolo sottratto alla Sassonia, i cui sovrani nel frattempo erano divenuti cattolici per ascendere sul trono polacco). In questa lotta cercarono di inserirsi, come poli alternativi, gli elettorati di Baviera, il cui duca si impossessò per breve tempo del titolo imperiale e della Sassonia che, di fronte alla politica aggressiva prussiana, divenne fedele alleata dell’imperatore. Nonostante la grave crisi politica che attraversò l’Austria con l’estinzione degli Asburgo, grazie alla politica dell’ultima erede di Carlo VI di Asburgo, Maria Teresa, arciduchessa d’Austria, la corona imperiale ritornò in seno alla famiglia del suo sposo Francesco di Lorena, eletto così nuovo imperatore. Il titolo rimase ai suoi eredi fino alla fine dell’impero.

La fine del titolo imperiale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Reichsdeputationshauptschluss e Pace di Presburgo.

Il Sacro Romano Impero alla vigilia della rivoluzione francese (1789)

Nell’ultimo decennio di vita dell’impero, questo era costituito dagli stessi organi istituzionali che ne avevano sempre regolato le varie attività:

  • la Dieta (Reichstag): rappresentava il potere legislativo; costituita dai rappresentanti dei principi aventi diritto di seggio e di voto che componevano gli “Stati imperiali” (Reichstaende o Reichsstände in tedesco) distribuiti nei dieci circoli o Province del Sacro Romano Impero. Dal 1667 lavorava permanentemente nella sede imperiale di Ratisbona. Gli stati erano suddivisi nei tre corpi elettorali:
    • Collegio dei grandi elettori (Kur-Fürsten Kollegium) composto da tre elettori ecclesiastici (gli arcivescovi di MagonzaTreviri e Colonia, e da sei elettori secolari (margravio del Brandeburgo, duca di Sassonia, duca e conte del Palatinato del Reno, duca del Brunswick-Lüneburg-Hannover ammesso dal 1708, re di Boemia (imperatore) ammesso al voto dal 1708 al 1780;
    • Consiglio dei principi (Fürstenrat), suddiviso in:
      • Collegio dei principi dell’impero (Reichsfuerstenrat), costituito da:
        • principi ecclesiastici o “Banco ecclesiastico” (Geistlichen Fürsten), ripartiti in principi con voti individuali (Virilstimmen), rappresentati da circa 26 arcivescovi (Salisburgo e Besançon, fino al 1792) e vescovi e in principi con voti collettivi (Kuriatstimmen), rappresentati dai Prevosti e dagli abati distinti in prelati (Prälaten) del Reno e della Svevia;
        • principi laici o “Banco secolare” (Weltliche Fürsten), avevano diritto di seggio e di voto individuale ereditario o personale (per i principi contribuenti), rappresentati da duchi, margravi, langravi, principi e principi-conti e distinti in “Antichi Principi” (aventi voto alla Dieta prima del 1580), “Nuovi Principi” e dalle “terre secolarizzate” (Verden e Brema, Magdeburgo, Ratzeburg, Halberstadt, Kamin, Querfurt, Gernrode);
      • Sub-collegio dei Conti e Signori dell’impero (Reichsgraefen und Reichsherrenkolleg), avevano 4 voti collettivi ed erano suddivisi in quattro distretti (Wetterau, Svevia, Franconia, Vestfalia) di cui facevano parte i principi-conti non ammessi nel corpo dei Principi, i conti dell’impero e i signori.
  • Collegio delle libere Città dell’impero (Reichsfreistaettekolleg) composto da circa 51 città imperiali, avevano voto consultivo, espresso solo dopo la votazione degli altri due collegi della Dieta. Erano suddivise in “Banco svevo” di cui 24 cattoliche, su 28 aventi diritto di voto, e in “Banco renano” di cui 5 cattoliche, su 8 aventi diritto di voto;
  • l’imperatore (Römer Kaiser): rappresentava l’impero, ma non aveva poteri sovrani su di esso, essendo una sorta di presidente dell’impero e organo esecutivo della volontà espressa dalla Dieta. Egli era vincolato, sin dal momento della sua elezione, a rispettare le “Capitolazioni”, una sorta di carta costituzionale che ne limitavano il potere e l’ingerenza sugli altri organi istituzionali; tra i suoi poteri egli convocava, in caso di necessità, la Dieta (peraltro permanente), presiedeva il consiglio militare dell’impero (Reichsmilitaregiment) e comandava l’esercito imperiale in guerra (Reichsarmee), nominava i componenti del Supremo Tribunale imperiale (Reichskammergericht), avente sede a Wetzlar e il Consiglio aulico dell’impero (Reichshofrat). Nei lavori della Dieta era coadiuvato dall’elettore di Magonza che, come decano dei principi, tramite un proprio rappresentante, ne coordinava le attività assembleari.

Di fatto gli Stati che componevano l’impero non si esaurivano solo con quelli aventi diritto di voto alla Dieta. Vi era un numero imprecisato di entità sovrane, in varie forme, che coesistevano con gli “Stati imperiali” e non appartenevano a nessuno dei 10 Circoli o Province imperiali in cui erano distribuiti gli stati con diritto di voto al Reichstag. Contee familiari e feudi allodiali, signorie, villaggi imperiali, abbazie e immunità ecclesiastiche rappresentate da conti, baroni, cavalieri, borgomastri, abati e capitoli ecclesiastici rappresentavano una realtà imprescindibile di sovranità di fatto, anche se sottoposti alla formale e diretta “suzerainetè” dell’imperatore che ne era il protettore. In particolare, la nobiltà equestre (baroni e cavalieri dell’impero) dal XVI secolo si era organizzata in un proprio corpo autonomo che di fatto era ufficialmente riconosciuto dagli altri principi dell’impero. Questa nobiltà, rappresentata da circa 350 famiglie aventi circa 1.500 feudi, aveva costituito un proprio collegio suddiviso in un circolo del Reno, composto da 3 cantoni nobiliari che raggruppavano 98 territori, un circolo della Franconia con 702 territori rappresentati in 6 cantoni ed un circolo della Svevia con 668 territori in 6 cantoni.

Il 2 dicembre 1804 il Primo Console di Francia e presidente della repubblica italiana Napoleone Bonaparte fu incoronato imperatore dei Francesi. Subito venne riconosciuto dall’imperatore del SRI e arciduca d’Austria Francesco II che, in cambio, si vide riconosciuto Imperatore d’Austria.

La primavera dell’anno successivo, a Milano, in conformità con il nuovo assetto monarchico francese, Napoleone Bonaparte si fece incoronare re d’Italia. Questo provocò attriti con il S.R.I., che almeno formalmente comprendeva pure il Regno d’Italia. La situazione si risolse con la guerra. Nel primo anniversario dell’incoronazione imperiale la terza coalizione venne sconfitta presso Austerlitz. La Pace di Presburgo dello stesso dicembre ridimensionò l’impero austriaco, e mise sotto influenza francese buona parte del SRI: in particolare venne costituita la Confederazione del Reno. Accettando il fatto compiuto, Francesco II scioglieva l’impero nel 1806, rinunciando per sempre al titolo di Imperatore dei Romani, di fatto un titolo onorifico tramandato internamente alla casa degli Asburgo d’Austria, accontentandosi del più modesto titolo di Imperatore d’Austria con il nome di Francesco I.

La Santa Sede rifiutò di considerare valida l’abdicazione, avvenuta senza consenso papale. Tuttavia dopo la morte di Francesco, avvenuta nel 1834, fu sollevata la questione di come si dovessero mutare le orazioni per l’imperatore Romano contenute nel Messale per il Venerdì e Sabato santo. Due decreti della Sacra Congregazione dei Riti (n. 2800 del 31 agosto 1839 e n. 3103 del 27 settembre 1860) ordinarono di lasciare intatte le preghiere, ma di aggiungere una rubrica che dichiarasse che erano ormai da omettere del tutto.

Istituzioni[modifica | modifica wikitesto]

Parte finale di un documento pubblico emesso da Ottone IV nel 1210

Fin dall’Alto Medioevo, l’Impero fu caratterizzato dalla lotta per tenere i duchi locali lontani dal potere. Al contrario dei monarchi dei territori Franchi dell’Ovest, che più tardi divennero la Francia, l’Impero non riuscì mai a prendere molto controllo sulle terre che formalmente possedeva.

Invece, fin dal principio, l’Impero fu costretto ad accordare sempre più poteri ai Duchi locali nei rispettivi territori. Questo processo, iniziatosi nel XII secolo, si concluse più o meno con la Pace di Vestfalia del 1648. Molti tentativi di restaurare l’originale grandezza imperiale fallirono.

Formalmente l’Impero fu compresso fra la necessità del Re di Germania di essere incoronato dal Papa (fino al 1508) da un lato e la Maestà imperiale (Reichsstände) dall’altro lato.

Re Tedesco. L’incoronazione come imperatore di Carlo Magno per mano del Papa nell’800 costituì l’esempio che i Re successivi avrebbero seguito: questo gesto fu la conseguenza della difesa del Papa da parte di Carlo contro la ribellione degli abitanti di Roma. Da questo episodio ebbe origine il concetto che l’Impero fosse il difensore della Chiesa.

Diventare Imperatore implicava essere già re tedesco. I re tedeschi erano eletti da tempi immemorabili: nel IX secolo dai capi delle cinque maggiori tribù (FranchiSassoniBavariSveviTuringi); più tardi dai principali duchi ecclesiastici e laici; infine solo dai cosiddetti principi elettori (Kurfürsten). Questa assemblea fu formalmente istituita da un decreto noto come Bolla d’oro, emesso nel 1356 dalla Dieta di Norimberga, presieduta dall’Imperatore Carlo IV. Inizialmente gli elettori erano sette, poi questo numero variò sensibilmente nel corso dei secoli.

Fino al 1508, il neo eletto Re, si recava a Roma per essere incoronato Imperatore dal Papa. In molti casi questo richiese diversi anni se il Re era occupato in altre questioni, come la conduzione di guerre.

Mai l’imperatore poté governare autonomamente sull’Impero. Il suo potere era efficacemente contenuto dall’argine rappresentato dall’organo legislativo dell’Impero: la Dieta. Questa fu una complicata assemblea che si riuniva a intervalli irregolari in vari luoghi e su richiesta dell’Imperatore. Solo dopo il 1663 la Dieta divenne un’assemblea permanente.

Maestà Imperiale. Una entità era considerata di rango imperiale se, in accordo con le abitudini feudali, non c’era altra autorità su di essa che quella dell’Imperatore stesso. Solo queste sedevano nella Dieta (Reichstag) ed erano, con grandi variazioni attraverso i secoli:

Il numero di territori fu sorprendentemente grande, raggiungendo alcune centinaia al tempo della Pace di Vestfalia. Molti di questi comprendevano non più di poche miglia quadrate. L’Impero, pertanto, è ben descritto da molti come un mosaico.

Corti Imperiali. L’Impero ebbe anche due Corti: il Reichshofrat in Vienna e la Corte della Camera Imperiale (Reichskammergericht) istituita con la riforma dell’Impero del 1495.

Denominazione[modifica | modifica wikitesto]

L’espressione Impero Romano era sicuramente già usata nel 1034 per indicare le terre sotto il dominio di Corrado II e abbiamo testimonianze dell’uso di Sacro Impero nel 1157.

Il termine Imperatore romano in riferimento al sovrano germanico incoronato a Roma, invece, cominciò a essere utilizzato già per Ottone II (imperatore nel 973- 983). Gli imperatori da Carlo Magno (742-814) fino a Ottone I il Grande escluso (cioè i sovrani dell’Impero carolingio), d’altronde, utilizzavano il titolo di “Imperatore Augusto“.

Il termine “Sacro Romano Impero della Nazione Germanica” fu introdotto nel 1254; l’espressione completa Sacrum Romanum Imperium Nationis Germanicae (in tedescoHeiliges Römisches Reich Deutscher Nation) appare invece alla fine del XV secolo, nel momento in cui il regno aveva perso in Italia molto del suo dinamismo, pur rimanendo legato fino alla fine ad alcune importanti unità territoriali italiane in esso integrate: “sacro” e “romano” erano termini impiegati con spirito di emulazione verso l’impero bizantino; “della nazione tedesca” sottolineava come, dal 962 in poi, il fulcro di questa istituzione fosse nelle genti di stirpe germanica, già costituitesi come “Franchi orientali” dopo la spartizione carolingia.

Il titolo di imperatore era prevalentemente elettivo, secondo le tradizioni “federaliste” dei quattro ducati principali di Germania (SassoniaFranconiaBaviera e Alemannia), ciascuno contraddistinto da una propria base etnica diversa. Gli elettori erano quindi i grandi nobili del regno di Germania, che si disputavano la corona. Se comunque da una parte il titolo imperiale era considerato in tutta l’Europa occidentale come supremo e in via di principio incontestabile, nella pratica si assistette spesso alla mancanza di potestà sostanziale degli imperatori, ridotti a figure formalmente simboliche, incapaci di manifestare la loro volontà nel regno.

Alcune grandi famiglie cercarono nel tempo di rendere la corona imperiale ereditaria, come la dinastia ottoniana, ma vi riuscì definitivamente solo alla fine del Medioevo la famiglia degli Asburgo, che mantenne il titolo fino al 1806, sebbene non fossero mai stati aboliti i principi elettori e la loro dignità. Alla morte di ogni imperatore infatti essi si riunivano ed eleggevano il suo successore, fino alla loro soppressione napoleonica.

Il titolo di “imperatore dei Romani” venne fatto abolire nel 1806 da un altro imperatore abusivo, Napoleone I di Francia, che impose a Francesco II d’Asburgo di prendere il titolo di “imperatore d’Austria“, più conforme ai territori che effettivamente erano da lui amministrati. Per cui questa data viene considerata la dissoluzione formale deI Sacro Romano Impero.

Neanche i contemporanei seppero come definire questo ente. In una famosa descrizione del 1667, De statu imperii Germanici, pubblicato con lo pseudonimo di Severino di Monzambano, Samuel von Pufendorf scrisse:

(LA)«Nihil ergo aliud restat, quam ut dicamus Germaniam esse irregulare aliquod corpus et monstro simile» (IT)«Non ci rimane perciò che considerare la Germania un corpo senza regole simile a un mostro»
(Severini de Monzambano Veronensis, De Statu Imperii Germanici, Apud Petrum Columesium, Genevae 1667, Caput 6, § 9, p. 115)

Voltaire più tardi ne parlerà come “né Sacro, né Romano, né Impero”[9].

Un impero “romano”?[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Problema dei due imperatori.

Da un punto di vista giuridico l’Impero romano, fondato da Augusto (27 a.C.) e diviso da Teodosio I in due parti (395 d.C.), era sopravvissuto solo nella parte orientale. Dopo la deposizione dell’ultimo Imperatore d’Occidente Romolo Augustolo (476 d.C.), quello d’Oriente Zenone aveva ereditato anche le insegne della parte occidentale riunendo da un punto di vista formale l’unità statale. Dunque gli abitanti dell’Impero d’Oriente si consideravano Ῥωμαίοι (Rhōmaioi (romei), ovvero “romani” in lingua greca), e chiamavano il loro stato Βασιλεία Ῥωμαίων (Basileia Rhōmaiōn, ovvero “Regno dei Romani”).

L’incoronazione del re dei Franchi Carlo Magno da parte di papa Leone III nell’800 fu un atto privo di un profilo giuridicamente legittimo: solo l’Imperatore romano d’Oriente (chiamato “greco” in Occidente proprio a partire da quest’epoca[10]) sarebbe semmai stato degno di incoronare un suo pari nella parte occidentale, per questo da Costantinopoli si guardò sempre con superiorità e sospetto a quell’atto.

Nonostante ciò l’incoronazione papale fu giustificata dal punto di vista formale con due espedienti:

  1. il fatto che all’epoca l’Impero bizantino fosse governato da una donna, Irene d’Atene, illegittima agli occhi occidentali, creava un vuoto di potere che rendeva possibili eventuali colpi di mano (infatti all’epoca l’Impero bizantino non aveva alcuna possibilità di intervenire direttamente in Europa occidentale);
  2. la questione che il papa si dichiarasse come diretto erede dell’Impero romano sia come pontifex maximus sia arrogandosi un potere temporale grazie al documento della donazione di Costantino, con il quale Costantino I avrebbe ceduto la sovranità sulla città di Roma e su tutta l’Europa occidentale a papa Silvestro I; il documento, riconosciuto come falso nel XV secolo tramite lo studio filologico di Lorenzo Valla presso la corte pontificia, fu redatto presumibilmente nell’ottavo secolo, quando il papa, minacciato dall’avanzata dei Longobardi, si era trovato a dover far valere la propria autorità. In quell’occasione egli aveva compiuto un’altra incoronazione analoga, incoronando re dei Franchi Pipino il Breve, formalmente illegittimo, come ringraziamento dell’aiuto ricevuto dal “maggiordomo reale” nella contesa con i re Longobardi.

Gli imperatori romano-tedeschi cercarono con più modi di farsi accettare da quelli bizantini come loro pari con rapporti diplomatici, politiche matrimoniali o minacce, ma ottenendo successi soltanto parziali o effimeri. Nell’812, con il trattato di Aquisgrana l’imperatore carolingio Carlo Magno ottenne da Bisanzio il riconoscimento di titolo di Imperatore (basileus in greco) ma non di “Imperatore dei Romani” (basileus ton Romaion). Tuttavia il rapido declino dell’Impero carolingio permise a Bisanzio di disconoscere il trattato dell’812. Le fonti bizantine definiscono l’Imperatore del Sacro Romano Impero “re dei tedeschi” e solo raramente un “imperatore” (ma non dei Romani). Le fonti occidentali, invece, definivano l’Imperatore bizantino rex graecorum (“Re dei Greci”) o al più Imperator Graecorum (“Imperatore dei Greci”).

La pretesa di atteggiarsi come eredi dei romani, sebbene giuridicamente discutibile, ebbe però alcuni innegabili risultati positivi, come il ripristino del diritto romano già a partire dalla metà del XII secolo, che, tramite l’attività delle università, tornò in Occidente sostituendosi in tutto o in massima parte alle legislazioni germaniche, in vigore dai tempi delle invasioni, e a quelle canonistiche, diffuse dalle istituzioni ecclesiastiche.

In definitiva quindi, nonostante una partenza velata da equivoci e atti forzosi, il Sacro Romano Impero divenne uno dei cardini della società europea, che profondamente ne influenzò le vicende per secoli.

Il dibattito sull’autorità[modifica | modifica wikitesto]

Sono stati fatti molti tentativi di spiegare perché il Sacro Romano Impero non riuscì mai ad avere un potere centrale sui territori, contrariamente alla vicina Francia. Fra le ragioni trovate vi sono le seguenti:

  • l’Impero era stato, soprattutto dopo la caduta degli Hohenstaufen, un’entità confederale: al contrario della Francia che era stata parte integrante dell’Impero Romano, nella parte orientale dell’Impero carolingio, le tribù germaniche erano molto più indipendenti e riluttanti a cedere poteri a un’autorità centrale. Molti tentativi di rendere ereditario il titolo imperiale fallirono e restò sempre, almeno formalmente, la cerimonia dell’elezione, poi ristretta a 7 principi elettori, fino alla soppressione napoleonica. Massimiliano I e Carlo V tentarono di riformare l’impero, ma inutilmente. Più tardi ogni candidato dovette fare promesse agli elettori, nel cosiddetto Wahlkapitulationen (Capitolato di elezione), che garantì sempre più poteri agli elettori durante i secoli;
  • a causa delle sue connotazioni religiose, l’Impero come istituzione fu seriamente danneggiato dal contrasto fra il papa e i re tedeschi riguardo alle loro rispettive incoronazioni a imperatore. Non è mai stato molto chiaro a quali condizioni il papa incoronasse l’imperatore e, in particolare, se il potere di questo dipendesse da quello ecclesiastico del Papa. La rinuncia di Francesco II in favore di Napoleone, dopo il trattato di Presburgo, il 6 giugno 1806, non fu riconosciuta dal Papato fino al 1918/19, quando il SRI con Carlo d’Asburgo praticamente finì.
  • a causa dell’infeudamento dei vescovi da parte di Ottone I di feudi imperiali, specie durante l’XI secolo, fu creato il problema dei vescovi-conti, che portò alla dura lotta per le investiture ed infine al concordato di Worms nel 1122; e poi nel 1521 e segg. favorì la riforma luterana con la loro spoliazione da parte dei principi laici, chiamati poi protestanti contro gli editti imperiali di restituzione.
  • non è chiaro se il sistema feudale del Reich, dove il re formalmente era all’apice della cosiddetta “piramide feudale”, fosse la causa o un sintomo della debolezza dell’Impero. In ogni caso, l’obbedienza militare, che, come da tradizione tedesca, era strettamente legata alla confisca delle terre per i tributi, fu sempre un problema: quando il Reich era costretto alla guerra, le decisioni erano lente e foriere di situazioni instabili.

Nella dottrina dello Stato tedesco[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l’unificazione della Germania in Stato sovrano federale nel 1871 (vedi Impero tedesco), il Sacro Romano Impero fu conosciuto talvolta come Primo Reich, visto che dal 1512 era della “nazione tedesca”. La Germania/Austria nazista volle chiamarsi invece Terzo Reich, considerando l’Impero del 1871 come Secondo Reich, dopo la rinuncia austriaca del 1806: ciò anzitutto allo scopo di affermare una continuità diretta, grazie al Nazionalsocialismo, con l’intera storia della Germania; secondariamente, per negare a posteriori alla Repubblica di Weimar (1918-1933) la sua ragione d’essere come reale espressione della Germania repubblicana e più democratica.

Nella filosofia della comunità sovranazionale[modifica | modifica wikitesto]

Tra le due guerre mondiali l’immagine idealizzata del Reich fece da sfondo all’utopia «paneuropea»; anche successivamente varie dottrine storico-politiche hanno proiettato sulla parola «Reich» la richiesta che “l’Europa auspicabilmente riacquisti la consapevolezza delle proprie «radici» e, con essa, una certezza di sé, fatta di punti di riferimento validi poiché storicamente immutati”: “l’ordinamento sovranazionale, comprensivo di vari popoli, il «felice» abbinamento di libertà (germanica) e civiltà (romano cristiana), la vocazione alla pace, quale condicio sine qua non d’ogni progresso materiale e morale, la cultura del diritto come tessuto delle relazioni umane, lo sviluppo «meraviglioso» delle arti e delle scienze”[11].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ in latinoSacrum Imperium Romanum, in tedescoHeiliges Römisches Reich; chiamato anche das alte Reich, “l’antico Impero”, in epoca recente
  2. ^ È talvolta chiamato anche “Primo Reich”, in riferimento al Secondo Reich (1871 – 1918) e Terzo Reich (1933 – 1945).
  3. ^ Bryce, 2017, p. 204.
  4. ^ Si veda, per esempio, la voce Sacro Romano Impero Archiviato l’11 giugno 2012 in Internet Archive. nell’Enciclopedia Italiana.
  5. ^ Bryce, 2017, p. 268.
  6. ^ Joachim Whaley, Germany and the Holy Roman Empire, vol. 1, Oxford, University of Oxford Publications, 2002, p. 17.
    Joachim Ehlers, Die Entstehung des Deutschen Reiches, 4ª ed., München, 2012, p. 97.
    «L’aggiunta deutscher Nation (‘della nazione tedesca’) al titolo imperiale romano risale al 1474, la dizione Römisches Reich Teutscher Nation (‘Impero Romano della nazione tedesca’) al 1486 e al 1512 l’espressione completa Heiliges Römisches Reich Teutscher Nation (‘Sacro Romano Impero della nazione tedesca’)».
     Nella moderna letteratura scientifica la dizione “Sacro Romano Impero della Nazione Germanica” non è utilizzato per l’Impero medievale, bensì per quello in età moderna.
  7. ^ Peter Hamish Wilson, The Holy Roman Empire, 1495–1806, MacMillan Press 1999, London, page 2; The Holy Roman Empire of the German Nation Archiviato il 29 febbraio 2012 in Internet Archive. at the Embassy of the Federal Republic of Germany in London website
  8. ^ Lega di Smalcalda su Enciclopedia Treccani, su www.treccani.it. URL consultato l’8 maggio 2017 (archiviato il 4 settembre 2019).
  9. ^ Essai sur les mœurs et l’esprit des nations, LXX
  10. ^ Il termine “bizantino” con cui attualmente si definisce attualmente l’Impero romano d’Oriente è una pura convenzione storica coniata da alcuni storici cinquecenteschi e diffusa dagli Illuministi; essi, disprezzando tutto ciò che riguardava il Medioevo, vista come un’era buia, disprezzavano anche l’Impero romano d’Oriente e non ritenendo gli abitanti dell’Impero d’Oriente degni di essere chiamati “romani” o “greci” coniarono il termine “bizantino”. Poiché il termine “bizantino” venne introdotto per la prima volta nel cinquecento e l’Impero d’Oriente cadde ben un secolo prima (nel 1453) i “bizantini” non seppero mai di essere bizantini ma solo di essere romani (o romei).
  11. ^ C. Tommasi, La ragione prudente. Pace e riordino dell’Europa moderna nel pensiero di Leibniz, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 9-11 (ed. digit.: 2009, doi: 10.978.8815/141170, Introduzione, doi capitolo: 10.1401/9788815141170/p1).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • James Bryce, Il Sacro Romano Impero, a cura di Paolo Mazzeranghi, D’Ettoris Editore, 2017, ISBN 978-88-9328-032-7SBN IT\ICCU\RCA\0806131.
  • Friedrich Heer (1967: Das Heilige Römische Reich) Il Sacro Romano Impero: mille anni di storia d’Eŭropa, 3ª ed., Newton & Compton, 1004.
  • Alois DempfSacrum Imperium. La filosofia della e dello Stato nel Medioevo e nella rinascenza politica (Sacrum Imperium. Geschichtsschreibung und Staatsphilosophie des Mittelalters und der politischen Renaissance), Le Lettere, 1988.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Età comunale

Età comunale

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Il Comune di Siena rappresentato come un sovrano assiso sul trono, nell’Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti

L’età comunale indica un periodo storico del Medioevo, contraddistinto dal governo locale dei comuni, che riguardò vaste aree dell’Europa occidentale. Il Comune è un’associazione di individui che appartengono ad una stessa classe sociale e risiedono in uno stesso luogo.

L’età comunale ebbe origine in Italia centro-settentrionale, attorno alla fine del XI secolo, sviluppandosi, poco dopo, anche in alcune regioni della Germania centro-meridionale, in Francia e nelle Fiandre. Si diffuse successivamente (in particolare fra la seconda metà del XII e il XIV secolo), con forme e modalità diverse, anche in Inghilterra e nella penisola iberica.

In Italia, culla della civiltà comunale, il fenomeno andò esaurendosi fin dagli ultimi decenni del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo, con la modificazione degli equilibri politici interni, con l’affermazione sociale di nuovi ceti (Aristocrazia, grande e piccola borghesia e plebe) e con la sperimentazione di nuove esperienze di governo (signoria cittadina). I primi Comuni richiedevano autonomia professionale, politica e amministrativa. Nella penisola italiana le città erano sottoposte all’autorità suprema dell’imperatore: questo è il punto di partenza per comprendere la dinamica storica che accompagnò lo sviluppo del Comune in Italia e le lotte che esso dovette sostenere per affermarsi.

Descrizione

L’istituzione comunale

Xilografia francese della fine del Quattrocento

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Rinascita dell’anno Mille.

L’incremento demografico dell’anno Mille portò alla formazione di nuovi centri urbani e alla rinascita di quelli esistenti. Così, la città tornava a essere, come nell’antichità, il centro propulsore della società civile. All’interno delle mura vennero a convivere uomini di estrazione sociale molto diversa: contadini inurbati in seguito all’eccedenza di manodopera nei campi, feudatari minori che cercavano di sottrarsi ai vincoli verso i grandi feudatari trasferendosi in città, oltre che notai, giudici, medici, piccoli artigiani e mercanti. Questi costituivano per eccellenza la classe dei “borghesi”, vale a dire di coloro che, non essendo nobili, traevano la propria prosperità dall’esercizio di arti o mestieri, avendo nella città il loro ambiente naturale.

Quindi, con la rinascita delle città nell’XI secolo e la ripresa delle attività artigianali, i nuovi ceti urbani si riunirono per liberarsi dai vincoli feudali e dall’autorità imperiale, creando una nuova realtà politica: il Comune. Fu inevitabile che molte città cominciassero a svilupparsi come organismi autonomi, ponendo sotto il proprio controllo le campagne circostanti: questi nuovi organismi politici prendono il nome di Comuni, per l’appunto, e consistono in vere e proprie città-Stato, con leggi e magistrature indipendenti dalla soggezione ai grandi feudatari. In teoria, peraltro, le città non potevano essere del tutto autonome, poiché erano soggette a organismi più vasti: o appartenevano ai grandi feudatari o erano sotto il diretto controllo del re o dell’imperatore. Ma in pratica in alcune zone dell’Europa, come nelle Fiandre o nel nord-Italia, il potere dell’Impero era debole e proprio in queste zone l’istituzione comunale poté svilupparsi.

Il Comune espresse quindi l’emancipazione dalla soggezione feudale, dando luogo a una profonda trasformazione sociale, caratterizzata dal rifiorire delle attività commerciali e dall’emergere della borghesia.

In realtà il tentativo di ricondurre a un’unica ragione storica la nascita del Comune non ha fornito buoni esiti: un fenomeno complesso, esteso diacronicamente e sincronicamente non può essere originato rigidamente da un unico evento o da una medesima causa. Fra le teorie sull’origine del Comune, tutte possono essere utilizzate per descrivere fattori incidenti sull’insorgenza del fenomeno:

  • l’opposizione al sistema feudale (anche se, come ha notato Cortese, sorgono comuni anche in zone scarsamente feudalizzate, come l’Italia Meridionale e la costa veneta; spesso inoltre famiglie nobili legate a questo sistema favoriscono il sorgere dell’ordinamento comunale e occupano all’interno di esso posizioni di rilievo);
  • una debolezza del sistema feudale, come nel caso del Regno d’Italia, che portò i borghi a costruire delle proprie istituzioni di auto-governo, riempiendo un vuoto di potere più che per opposizione a un potere feudale molto debole;
  • la presenza di un vescovo, eletto dal popolo e dunque fornito della legittimazione sia spirituale sia politica necessaria per legittimare un governo cittadino;[1]
  • l’insorgere e l’affermarsi di fenomeni associativi, le “coniurationes” fra gruppi di cittadini;
  • il progressivo complicarsi del sistema delle relazioni sociali e commerciali frutto della ripresa economica e demografica, che comporta la necessità di una nuova normazione e di un controllo più efficace del territorio.

Nelle città si associano i valvassori, i proprietari e i concessionari di terreni, i giudici e i notai, e istituiscono il Comune come associazione giurata e privata (coniuratio), un’associazione volontaria sorta tra membri di classi sociali diverse in difesa di determinate prerogative e interessi. I membri della coniuratio collaborano con il vescovo, dal quale ottengono protezione contro le possibili offensive della grande feudalità dalla quale si erano liberati.

Tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, il Comune aumenta la propria potenza e si sostituisce all’autorità costituita, trasformandosi in istituzione pubblica governata da consoli, coadiuvati da un consiglio maggiore per la trattazione degli affari ordinari e da un consiglio minore per la discussione dei problemi riservati. Pur essendo presenti esponenti della classe mercantile, l’origine del Comune italiano è quindi di carattere aristocratico, opera soprattutto dei milites secundi o valvassori, feudatari minori che la rivoluzione commerciale ha liberato dalla dipendenza dai grandi feudatari, mentre nei comuni transalpini è la classe borghese – mercantile all’origine del Comune.[2][3]

Organizzazione politica

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Console (storia medievale).

Riunione di mercanti in una miniatura del XIV secolo

Il governo del Comune era basato su un Consiglio generale cittadino che eleggeva dei magistrati, detti consoli, incaricati della reggenza. All’interno di questo organo collegiale le deliberazioni erano considerate valide in virtù di un corretto sviluppo della procedura, come la convocazione dell’assemblea in presenza di un numero minimo di cittadini appositamente nominati e la verbalizzazione delle decisioni.[4]

Questi, in un primo momento, essendo privi di autorità, esercitavano il proprio ufficio in rappresentanza del vescovo: “Le città avevano continuato ad essere sedi di autorità ecclesiastiche e civili e, in qualche misura, centri politico-amministrativi e giudiziari. Ciò grazie in particolare all’autorità del vescovo e ai diritti di giurisdizione che aveva acquistato nei secoli X e XI sull’area urbana e suburbana. Intorno al vescovo, alla sua autorità, ai suoi organi di governo, nell’esercizio di quelle funzioni, si erano sviluppati inoltre ceti urbani diversi, definiti talora dalle fonti boni homines, che acquistarono influenza esercitando il governo insieme e per conto del vescovo”[5].

Non siamo in grado di conoscere con esattezza né data, né luogo di nascita dei Comuni. Sappiamo, da alcuni documenti dell’XI secolo che i primi rappresentanti delle collettività furono chiamati Boni homines o Consoli. In principio i Comuni si ponevano come delle magistrature provvisorie nate per risolvere problemi di un dato momento, formate proprio da “uomini buoni” di cui tutti si fidavano. I consoli prestavano giuramento di fedeltà davanti alla cittadinanza elencando i propri obblighi che, insieme a consuetudini scritte e leggi approvate dal Comune, formarono le prime forme di Statuti cittadini. Durante il loro operato redigevano il “Breve”, una sorta di elenco-archivio in cui erano riportate tutte le opere pubbliche intraprese ma non terminate.

Tutti i cittadini che godevano di diritti urbani si riunivano nel “Parlamento”, che era l’organo fondamentale nella vita di un Comune. Per facilitarne la gestione, spesso quest’organo fu ridotto a una minoranza di individui, incominciando l’ascesa di quei gruppi che sarebbero divenuti dirigenti. Tutti i Comuni si assomigliarono per la presenza di una categoria di individui che godeva di maggiori diritti rispetto agli altri. Per poter partecipare al potere comune bisognava essere: maggiorenni, maschi, pagare una tassa di ammissione, possedere una casa. Ne erano invece esclusi le donne, i poveri, i servi, gli ebrei, i musulmani non convertiti e i “meteci”.

In Italia l’ascesa dei Comuni fu ostacolata dal centralismo normanno nell’Italia meridionale, mentre essi raggiunsero un eccezionale sviluppo a Nord, espandendosi dalle città alle campagne. Questa crescita fu incoraggiata soprattutto dalle nobiltà locali per la possibilità tangibile di sganciarsi dal potere e dal controllo imperiale. Nel corso del XII-XIII secolo tutti i comuni acquisirono un buon livello di controllo anche sulla campagna a loro circostante, attuando quel processo che è detto formazione del contado (comitatinanza) e che comprendeva il Districtus (campagne annesse) e il Comitatus (campagne che già in origine facevano capo al Comune).

Alla fase consolare seguì poi una fase detta podestarile: il podestà era funzionario di mestiere con compiti di amministrazione del territorio comunale. Essi erano veri e propri professionisti, con compiti ben definiti e stipendiati dal Comune, la cui preparazione veniva acquisita con lo studio del diritto nelle nascenti università. Furono soprattutto le grandi famiglie di nobili a studiare e a specializzarsi per divenire podestà in modo da acquisire maggiore potere nel quadro del territorio comunale.

Durante l’età comunale nacquero anche le corporazioni delle arti e mestieri, associazioni di mercanti e artigiani riuniti secondo il mestiere che praticavano.

Organizzazione territoriale del comune

Già prima della formazione dei comuni nelle città italiane si erano costituite delle associazioni spontanee di cittadini che si occupavano della difesa della città. Ogni tratto delle mura era assegnato agli abitanti dell’area vicina, che si alternavano a fare la guardia. In alcune città queste associazioni prendevano il nome longobardo di guaite[6], in altre prendevano il nome delle porte che difendevano.

In età comunale queste associazioni territoriali presero altri nomi: “vicinie”, “cappelle”, “popoli” (a Firenze). Ciò significava anche la diminuzione dei compiti militari e invece l’espansione di altre attività, dal mutuo soccorso, all’ordine pubblico, alla prevenzione degli incendi, all’organizzazione delle feste[6].

Con l’espansione urbanistica delle città, queste comunità territoriali furono accorpate in unità più grandi che ebbero, secondo quante erano in una città, il nome di terzieri (ad esempio a Siena e ad Ancona), quartieri (come a Firenze, Arezzo e Bologna) o sestieri (a Venezia, Milano e Genova). Queste divennero le articolazioni rilevanti agli effetti militari e politici. L’esercito cittadino, infatti era fondato sui quartieri, sia per quanto riguardava l’arruolamento sia per quanto riguardava lo schieramento in battaglia: spesso in caso di guerra due quartieri rimanevano a difesa della città e due andavano in campagna. Analogamente le tasse erano riscosse sulla base dei quartieri; così delle opere pubbliche erano onerati i quartieri interessati. Infine, le cariche pubbliche venivano assegnate in parti eguali fra i quartieri. A loro volta i quartieri avevano le loro cariche, i loro gonfalonieri, i loro stemmi[6].

In alcuni comuni, come a Bologna, vi era un ulteriore tipo di associazione militare su base territoriale, le “società delle armi”. Esse erano nate per creare delle milizie popolari contro i magnati, e l’appartenenza a queste associazioni era perciò volontaria. Tuttavia l’esserne soci era requisito per partecipare alla vita pubblica all’epoca del governo popolare, analogamente all’appartenenza alle corporazioni. Perciò entrarono a far parte delle “società d’armi” i gruppi sociali esclusi dalle corporazioni[6].

Il Comune e il mondo feudale: una coesistenza difficile

In linea generale, il Comune si fondò su princìpi opposti a quelli del feudalesimo. Mentre il mondo feudale (che era di origine germanica) fu agricolo e militare, e quindi “verticale” poiché fondato su una rigida gerarchia, il mondo comunale (che raccoglieva l’eredità della città-Stato antica) fu cittadino e mercantile, e quindi “orizzontale” poiché prevedeva la partecipazione al governo di tutti i cittadini, o quanto meno di una buona parte di essi, su un piano di sostanziale parità.

Di riflesso, in ambito di organizzazione militare, l’arma tipica del feudalesimo fu la cavalleria, costituita da quei “pochi contro molti” che formavano una casta militare formidabile e ben addestrata di professionisti e signori della guerra; i Comuni, invece, mettevano in campo eserciti cittadini, il cui nucleo era costituito dalla piccola nobiltà e dalla fanteria, quest’ultima formata da cittadini che prendevano occasionalmente le armi per la difesa necessaria del Comune, e quindi non sempre addestrati.

Una delle dinamiche storiche fondamentali di questi secoli fu dunque costituita dallo scontro tra le forze storiche del passato (il feudalesimo) e quelle nuove che emergevano con la nascita del Comune. Tuttavia il Comune non portò al superamento definitivo del feudalesimo: dobbiamo pensare a un’Europa variegata e composita, in cui coesistevano zone rurali “feudalizzate” e Comuni cittadini autonomi, in cui maturavano differenti realtà economiche e sociali.

Con il passare del tempo, i grandi feudatari trovarono opportuno convivere con la società borghese che si era formata dentro le mura cittadine. Generalmente, dove esisteva una forte aristocrazia militare, il Comune risultò meno vitale e il feudalesimo mantenne intatto il suo peso, specie dove persistevano esigenze di difesa dei confini (come nell’Europa orientale, in Spagna) o di espansione territoriale (come in Terra santa).

La città “principio ideale della storia italiana”

Lo sviluppo del mondo comunale fu un processo lungo. I Comuni incominciarono a sorgere in varie parti d’Europa tra la metà del secolo XI e l’inizio del XII, in modo disomogeneo a seconda delle condizioni locali. Il vero e proprio laboratorio, in cui si sviluppò prima e più largamente che altrove la civiltà comunale, fu l’Italia centro-settentrionale, ma il Comune andò diffondendosi anche nella Francia meridionale e in alcune regioni della Germania. Questo grande fenomeno, che costituì un fatto nuovo nella storia medievale, fu dunque, per molti aspetti, tipicamente italiano. Anzi l’emergere della vita comunale contribuì a plasmare in modo durevole, con effetti che perdurano sino ai giorni nostri, la geografia politica e culturale dell’Italia.

Una delle ragioni della divaricazione storica e culturale tra Nord e Sud d’Italia va fatta risalire proprio all’epoca comunale. Le regioni settentrionali, si andarono popolando di queste “piccole patrie”, ciascuna gelosa della sua indipendenza e in perenne rivalità con i Comuni vicini, mentre nel Meridione il potente regno dei normanni e le forze feudali soffocarono sul nascere le autonomie locali.

Precise ragioni storiche spiegano perché in Italia il Comune si sviluppò prima che altrove. Benché il feudalesimo fosse diffuso anche nella Penisola italiana esistevano antiche radici urbane, risalenti all’epoca romana, mentre, d’altra parte, l’aristocrazia militare ricopriva un ruolo assai meno importante rispetto ad altre regioni d’Europa (Francia e Germania in particolare). Inoltre l’imperatore tedesco, che in teoria deteneva i diritti sovrani sulla Penisola italiana, era lontano e poteva esercitare il controllo effettivo del territorio solo in maniera molto relativa, cosa che, di fatto, facilitò lo sviluppo delle autonomie locali.

Lo sviluppo dei Comuni: dal periodo consolare a quello podestarile

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Podestà (medioevo) e Capitano del popolo.

Sistema di governo del Comune di Terni nel 1377 (cioè dopo la reconquista pacificante del centro Italia da parte dell’Albornoz nel 1353)

Per la gestione cittadina i capifamiglia delle famiglie più potenti cominciarono a riunirsi in assemblea per poi dare vita ad associazioni che intervennero in modo sistematico e continuativo negli affari della città fino ad assumerne il governo.

La gestione di questi poteri venne assegnata dall’assemblea a un gruppo di magistrati chiamati consoli.

In base alle esigenze veniva stabilito il numero e la durata dell’incarico.

I consoli furono a lungo scelti tra le famiglie più potenti, il popolo infatti ebbe un ruolo politicamente secondario.

Visto che i comuni tendevano ad estendere il proprio dominio, i proprietari terrieri si videro in difficoltà.

La situazione si concludeva o con l’assedio da parte dei comuni o, si giungeva a un accordo pacifico con il cittadino in cui il signore si impegnava a rispettare l’autorità del comune ma ricevendo in cambio la cittadinanza.

L’assemblea venne anche chiamata Arengo o Parlamento.

Avevano il diritto di parteciparvi i maschi maggiorenni dotati di un discreto reddito.

Visto che era costituito da troppe persone presto l’Arengo fu sostituito dal Consiglio composto dai suoi rappresentanti.

I comuni d’Oltralpe ebbero un minor grado di autonomia perché la loro classe dirigente non era formata da famiglie nobili ed era militarmente inferiore.

Molti comuni quindi concordarono con il signore locale una carta franchigia o di comune attraverso la quale ottenevano determinate libertà.

In Italia la massiccia presenza della nobiltà fu poi motivo di continui e aspri conflitti tra le famiglie rivali.

Per assicurare una vera neutralità i comuni cominciarono ad affidare il governo al podestà, figura dai grandissimi poteri che doveva innanzi tutto garantire l’ordine pubblico.

In generale, la vita politica comunale attraversò quasi ovunque fasi analoghe. La prima forma di governo fu quella consolare: il potere veniva affidato per un anno a magistrati scelti dalla comunità, che sul modello romano erano chiamati consoli e il cui numero variava da due a venti a seconda dei periodi e dei Comuni. I primi consoli sono testimoniati per la città di Pisa nel 1085.

In un primo tempo, questi magistrati appartenevano alla nobiltà e avevano potere esecutivo, occupandosi del governo della città e del comando dell’esercito in tempo di guerra. Tuttavia la fioritura dei commerci e dell’artigianato portò rapidamente anche i ricchi mercanti e artigiani ai vertici del potere comunale. Ciò avvenne nel corso del XII secolo, quando i ceti economicamente emergenti pretesero una più ampia partecipazione politica. Il mutamento fu non di rado contrassegnato da aspri conflitti sociali: i nobili erano restii a cedere il potere nelle mani dei nuovi ricchi, ma il processo era inevitabile, perché la ricchezza e il potere di un Comune passavano necessariamente per le mani di mercanti e artigiani, che accumulavano ricchezze con la loro intraprendenza e i cui interessi, ovviamente, non coincidevano con quelli della nobiltà, formata da proprietari terrieri.

La lotta fra nobiltà e borghesia commerciale costituì una delle dinamiche storiche più importanti nella turbolenta vita comunale. In seguito a questi contrasti, la figura politica del podestà si sostituì o si affiancò a quella del consiglio dei consoli, che governava i Comuni medievali a partire dalla fine del XII secolo. Tale carica, contrariamente a quella di console, poteva essere ricoperta da una persona non appartenente alla città che andava a governare (per questo era detto anche podestà forestiero), in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e garantire l’imparzialità nell’applicazione delle leggi. Il podestà era eletto dalla maggiore assemblea del Comune (il Consiglio generale) e durava in carica, di solito, sei mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti comunali, dai quali era vincolato, e alla fine del mandato il suo operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di sindaci.

Il podestà era, dunque, un magistrato generalmente al di sopra delle parti, una specie di mediatore, a cui era affidato il potere esecutivo, di polizia e giudiziario, divenendo di fatto il più importante strumento di applicazione e di controllo delle leggi, anche amministrative. Il podestà non aveva, invece, poteri legislativi, né il comando delle milizie comunali, che era affidato al Capitano del Popolo.

Con il passare degli anni, la carica di podestà divenne un vero e proprio mestiere esercitato da professionisti, che cambiavano spesso sede di lavoro e ricevevano un regolare stipendio. Questo continuo scambio di persone e di esperienze contribuì a fare in modo che le leggi e la loro applicazione tendessero a diventare omogenee in città anche distanti tra loro, ma nelle quali avevano governato gli stessi podestà.

Nonostante lo sforzo compiuto per sanare i contrasti, la fase podestarile del Comune fu contraddistinta da dure lotte sociali. Nel corso del secolo XII, in alcuni Comuni prese il sopravvento la fazione popolare, controllata dai ceti mercantili e artigiani. La ricerca di maggiore stabilità aveva infatti portato la borghesia cittadina ad affiancare al podestà, sostenuto dal ceto più abbiente, una nuova figura, quella del Capitano del Popolo, un magistrato, spesso forestiero, che restava in carica per sei mesi o un anno, ma che finì comunque per rappresentare gli interessi delle arti maggiori.[7]

L’affermazione del ceto mercantile nel Comune medievale

La lotta fra nobiltà e borghesia commerciale si risolse generalmente con l’affermazione di una nuova classe sociale, nata dalla fusione dei ceti mercantili più agiati con le famiglie di nobiltà feudale. Ad accrescere il peso politico della classe mercantile e imprenditoriale contribuirono anche le “arti”, vale a dire le corporazioni che raggruppavano in un’associazione tutti coloro (proprietari, salariati o apprendisti), che erano impegnati in un medesimo settore produttivo. Sostanzialmente, le arti organizzavano il mondo del lavoro all’interno del Comune, e non era possibile a nessuno intraprendere un’attività produttiva di qualsiasi tipo senza essere affiliato a un’arte, la quale aveva regolamenti e gerarchie interne molto rigidi. Le arti divennero importanti organi di pressione politica, fino a costituire corporazioni autonome.

Il Comune medievale, quindi, non va inteso come una struttura politica unitaria (com’erano le città-Stato antiche), ma piuttosto come un conglomerato di poteri minori (nobiltàclero, membri delle arti, ecc.), ciascuno geloso della sua autonomia e dei suoi privilegi. Benché quindi la maggioranza dei cittadini godesse dei diritti politici, questi erano mediati attraverso organismi e corporazioni, che limitavano i pieni diritti individuali: non si può quindi parlare per i Comuni medievali di “democrazia”, quanto meno nel senso che questa parola aveva per le antiche città-Stato, come Atene (cfr. democrazia ateniese).

Fra il XIII e il XIV secolo si affermò la figura del mercante-banchiere, detentore del capitale mobile, che con il suo dinamismo ruppe le vecchie barriere del feudalesimo. Egli era padrone di ingenti capitali, che poteva associare a quelli di altri mercanti. Teneva i diari giornalieri (quaderni di ricordanze) e fece sorgere scuole professionali per i giovani. Incominciarono a essere utilizzati gli assegni. Contemporaneamente nacque la lettera di cambio o cambiale, valida per il trasferimento di grossi capitali, che però non poteva essere “girata” (l’uso della “girata” fu introdotto tra i secoli XVI e XVII). Nacquero anche le prime compagnie commerciali e le prime assicurazioni.[8] Si affermò il diritto commerciale e con esso furono istituiti i tribunali mercantili che avevano il compito di giudicare rapidamente le vertenze legate all’attività commerciale. Sorsero anche la commenda, la partita doppia e le prime società per azioni.[9]

Il mercante e il ricco banchiere tesero poi a investire il capitale nell’acquisto di terre, a cui era anche legato l’acquisto di titoli nobiliari: si trattò di una nuova nobiltà, animata da un nuovo spirito affaristico.

La situazione nell’Italia meridionale

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua siculo-araba.

Se nell’Italia settentrionale e centrale il Comune si sviluppò precocemente, ben diversa fu la situazione della Sicilia e dell’Italia meridionale, dove si affermò nel XII secolo il regno dei Normanni, uno tra i più solidi dell’epoca. I Normanni, si erano stanziati nell’Italia Meridionale agli inizi dell’XI secolo: nel 1059 papa Niccolò II aveva incoronato Roberto il Guiscardo duca di Puglia e di Calabria. Nel frattempo la Sicilia era caduta nelle mani di un fratello di Roberto il Guiscardo, Ruggero d’Altavilla, che nel corso di trent’anni sconfisse gli emirati arabi dell’isola (1061-1091), assumendo infine il titolo di Gran Conte di Sicilia.

Suo figlio Ruggero II di Sicilia (1113-1154) nel 1130 si fece incoronare re di Sicilia: sotto il suo dominio venne a trovarsi anche il sud della Penisola, poiché lo zio Roberto il Guiscardo, morendo, non aveva lasciato discendenti diretti. Si costituì, così, un potente Stato che comprendeva tutta l’Italia Meridionale e che, tra varie vicende, sarebbe rimasto sostanzialmente immutato, sino all’annessione nel 1860 nel regno d’Italia.

Il regno dei Normanni divenne una delle principali potenze del Mediterraneo. Con Ruggero II si affermò uno Stato forte, nel quale grande importanza conservavano le istituzioni feudali, ma dove le tendenze autonomistiche dell’alta feudalità (i baroni) erano controllate dalla corona. Dagli arabi, Ruggero ereditò una struttura amministrativa posta sotto il suo diretto controllo.

Il regno dei Normanni, anche per la sua posizione geografica, godette di un periodo di grandissimo splendore: era uno Stato potente, con un forte esercito e una forte marina, che ben presto rivaleggiarono con le altre potenze del Mar Mediterraneo, gli arabi e i Bizantini. I re normanni si lanciarono in un’ambiziosa politica espansionistica: i loro obiettivi furono le coste dell’Africa e soprattutto i Balcani, dove a più riprese condussero spedizioni contro gli imperatori bizantini. L’ambizione, neppure tanto segreta, dei re normanni era quella di conquistare Costantinopoli e sedere sul trono dell’Impero bizantino. L’occasione per l’espansione dei Normanni si ebbe con le crociate, a cui il Regno di Sicilia contribuì in modo determinante.

Se in quei decenni l’organizzazione del Regno di Sicilia rappresentava un elemento di vantaggio rispetto alle forme di organizzazione degli altri Stati europei, a lungo andare la struttura feudale del Regno frenò l’espansione politica, sociale ed economica delle città dell’Italia Meridionale.

Sardegna comunale

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sardegna signorile e comunale.

In Sardegna comuni con istituzioni affini a quelle dell’Italia centro-settentrionale si svilupparono tra il XIII secolo e i primi decenni del XIV secolo, principalmente nei territori dell’isola finiti sotto l’egemonia della repubblica di Pisa o di importanti famiglie pisane come i della Gherardesca. Delle città sarde che si diedero statuti propri (in parte confermati dai successivi dominatori aragonesi), appaiono rilevanti per l’importanza storica, istituzionale ed economica SassariVilla di Chiesa, e Castel di Castro.

Lo scontro fra i Comuni e l’Impero

Se i Comuni poterono nascere e consolidarsi nell’Italia settentrionale, ciò dipese anche dalla debolezza dell’Impero, in preda alla lotta per le investiture contro il Papato, e ai contrasti che divisero i grandi feudatari tedeschi, ai quali spettava l’elezione dell’imperatore. L’Impero era conteso fra due duchi di Svevia (o Hohenstaufen), detti “ghibellini” dal loro castello di Waiblingen, e i duchi di Baviera, detti “guelfi” dal loro capostipite Welf (Guelfo).

L’eclissi dell’Impero fu solo temporanea: infatti, solamente nel 1152, con l’ascesa al trono di Federico Barbarossa l’Impero trovò nuovamente alla sua guida una personalità fortissima. Federico poté contare sull’appoggio della grande feudalità tedesca, unita a lui da una serie di matrimoni dinastici. Egli quindi fu eletto senza contrasti re di Germania, a cui per tradizione spettava il trono imperiale. Ma un imperatore dell’Impero Germanico non si sentiva in pieno possesso dei suoi diritti sinché non avesse stabilito la propria autorità sull’Italia.

Così una buona parte della politica di Federico Barbarossa interessò l’Italia, dove nel frattempo i Comuni si erano sviluppati, approfittando della crisi dell’Impero e conseguendo una grande autonomia. Nessuno, peraltro, in Italia pensava di mettere in dubbio l’autorità suprema dell’imperatore. Tuttavia, di fatto, molte prerogative del sovrano erano passate ai Comuni, come i diritti di imporre tributiconiare monete, promulgare leggi, nominare magistrati, guidare l’esercito. Fu perciò inevitabile un conflitto tra Impero e Comuni, il cui esito avrebbe indirizzato e condizionato la storia italiana nei secoli successivi.

L’imperatore verso il conflitto con il Papato e i Comuni

Il Barbarossa non tardò a scendere in Italia: già nel 1154, due anni dopo la sua elezione, si presentò come il sovrano legittimo venuto a restaurare pace e giustizia. Il papato guardò dapprima con favore alla discesa del Barbarossa, dal quale si aspettava un aiuto contro i cittadini romani che, per impulso del monaco Arnaldo da Brescia, avevano proclamato l’autonomia del Comune di Roma. Era un fatto nuovo, che rischiava di scalzare dalle fondamenta il potere politico che il Papato aveva conquistato in ItaliaArnaldo, infatti, predicava il ritorno della Chiesa alla purezza e alla povertà delle origini e condannava i possessi mondani e, con essi, il potere temporale del Papa.

Il Barbarossa non tradì le aspettative pontificie: giunto a Roma, catturò Arnaldo da Brescia, che fu mandato al rogo come eretico, e ristabilì l’autorità del papa. Come compenso, ricevette dal papa l’incoronazione imperiale. Ma l’alleanza tra Papato e impero era solo provvisoria, dato che i motivi storici di contesa tra le due massime istituzioni dell’Europa medievale restavano comunque fortissimi. Ben presto i rapporti si guastarono di nuovo, poiché il papa, nel 1156, venne a patti con i Normanni che occupavano l’Italia Meridionale, vedendo in loro un contrappeso politico e un alleato contro lo strapotere del Barbarossa.

Il Barbarossa dovette ridiscendere in Italia nel 1158. Il Sud Italia, nelle mani del potentissimo regno dei Normanni, era un nemico troppo impegnativo per lui: decise pertanto di reprimere con le armi l’autonomia dei Comuni del Nord Italia, in particolare Milano che era la città più importante della regione.

L’alleanza fra Papato e Comuni

Le pretese di Federico Barbarossa trovarono un’ostinata opposizione nel nuovo pontefice, papa Alessandro III, che non poteva accettare la restaurazione di un potere imperiale così invadente. Fu inevitabile che Papato e Comuni stringessero un’alleanza, in nome del comune interesse contro l’imperatore.

Tra Papa e imperatore ebbe inizio una lotta senza esclusione di colpi, che dapprima sembrò volgere a favore del Barbarossa. Alessandro III fu costretto all’esilio, mentre le città che non si piegavano al volere dell’imperatore dovettero subire pesantissime conseguenze. Milano venne bloccata dall’esercito imperiale e nel 1163 dovette arrendersi dopo un lungo assedio. La città fu saccheggiata, le mura abbattute e i cittadini vennero deportati in borghi distanti.

Federico Barbarossa, poteva mietere vittorie con le armi, ma non poteva arrestare il grande processo storico e politico costituito dall’espansione dei Comuni. Una volta tornato in Germania, infatti, gli avversari in Italia si stavano moltiplicando e trovarono il modo di organizzarsi. Nel 1163 i Comuni del nord Italia costituirono la Lega veronese, che nel 1167 si unì con la Lega di Lombardia, divenendo la Lega Lombarda: numerose città venete e lombarde s’impegnavano a garantirsi reciproco aiuto militare e a ricostruire Milano, tornata a essere centro della resistenza contro il Barbarossa.

La Dieta di Roncaglia e la Pace di Costanza

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Dieta di Roncaglia e Pace di Costanza.

Federico Barbarossa, nelle due Diete di Roncaglia del 1154 e 1158, aveva spogliato i Comuni di tutte le regalie (diritti), che essi avevano usurpato all’autorità imperiale: imporre tributi, battere moneta, eleggere magistrati. Dopo alterne vicende il Barbarossa venne duramente sconfitto nella battaglia di Legnano (1176) dai Comuni italiani e nel 1183, con la Pace di Costanza, l’imperatore riconobbe ufficialmente le prerogative dei Comuni.

L’imperatore concedeva alcuni diritti in ambito amministrativo, politico e giudiziario, regalie comprese; rinunciava inoltre alla nomina dei podestà, riconoscendo i consoli nominati dai cittadini, i quali, tuttavia, dovevano fare giuramento di fedeltà all’imperatore e ricevere da lui l’investitura. I Comuni, inoltre, si impegnavano in cambio a pagare un indennizzo una tantum di 15.000 lire e un tributo annuo di 2.000, a corrispondere all’imperatore il fodro (ossia il foraggio per i cavalli, o un’imposta sostitutiva) quando questi fosse sceso in Italia, e a riconoscere la prerogativa imperiale di giudicare in appello questioni di una certa rilevanza.[10]

La Pace di Costanza sancì la formale ubbidienza dei Comuni all’imperatore a fronte del riconoscimento delle autonomie comunali da parte del sovrano.

Crisi del comune

Scena con cattura e punizione di servi fuggiaschi. L’affrancamento dei ceti più umili, anche negli stessi Comuni progredì sempre lentamente, cagionando spesso momenti di tensione e forti contrasti sociali

L’istituzione comunale entrò in crisi tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. All’origine della crisi si collocano i contrasti sociali interni, che finirono col logorare progressivamente la tenuta delle antiche magistrature comunali.

Le grandi famiglie aristocratiche, si disputavano il primato in un clima molto vicino a quello delle lotte feudali; la nobiltà inurbata aveva dovuto sostenere le rivendicazioni della borghesia delle Arti, sempre più potente e intenzionata ad assumere il controllo della vita politica; infine i ceti meno abbienti manifestavano la propria inquietudine: esclusi dai grandi profitti economici e tenuti ai margini di quella che restava sostanzialmente una repubblica oligarchica, spingevano per migliorare la propria condizione.

Il tentativo di affermare i propri diritti, sottraendoli alle famiglie aristocratiche, portò a varare le legislazioni antimagnatizie, differenti per ogni Comune, che impedivano l’esercizio dei pubblici uffici a coloro che fossero dichiarati “magnate”, comportando l’allontanamento dalla vita pubblica di tutte le famiglie di antica aristocrazia.[11]

La legislazione antimagnatizia, a causa della difficoltà a individuare gli effettivi “magnati”, si rivelò inadeguata: la storiografia contemporanea non è riuscita a comprendere completamente se coloro che furono esclusi dalla vita politica furono vittime di una lotta di potere tra famiglie per la conquista del Comune o se effettivamente, almeno in parte, si trattò di una presa di coscienza dei ceti fino a quel momento esclusi, come il “popolo” e i “mercanti” ovvero la nuova “borghesia”.[12]

Un po’ alla volta gli stessi magnati riuscirono ad accordarsi con i ricchi popolani e commercianti, chiamati “popolo grasso”, per fare fronte comune e assumere incarichi direttivi. Restava escluso il cosiddetto “popolo magro”, sostanzialmente gli artigiani, e il “popolo minuto”, ovvero i lavoratori dipendenti.[13]

Verso la Signoria cittadina

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Signoria cittadina.

Ulteriore motivo di crisi dell’antico assetto comunale fu l’ambizione del patriziato cittadino di espandersi nel contado e ai danni dei Comuni limitrofi, dando vita ai grandi Stati territoriali. Molto spesso influenti personalità, assunte cariche importanti in ambito comunale come quella podestarile, riuscirono a mantenerle per lungo tempo, se non a vita, talvolta rendendole ereditarie, portando alla scomparsa dell’istituzione comunale e lasciando il posto alla “Signoria cittadina“.[14]

Furono molto spesso gli stessi cittadini, esasperati dalle lotte interne, a consegnarsi volontariamente a personaggi influenti e potenti sia economicamente sia militarmente, con lo scopo di imporre e mantenere la pace. Questi soggetti, al fine di legittimare il proprio potere, si facevano incaricare formalmente dai Poteri dell’epoca, l’Impero o il Papato, di mantenere il controllo e la pace in un determinato territorio, diventando così vicari imperiali o apostolici. Questi stessi soggetti non di rado formarono intere dinastie alcune delle quali famose (Este di Ferrara, Visconti di Milano, i Pio e altri).

Note

  1. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, p. 217 “In quei centri di continuo sottoposti a pressione e a pericoli, si andò organizzando una sorta di “vita sociale d’emergenza” attorno all’unica magistratura che avesse ancora un potere spirituale (ma anche temporale) e un credito effettivo: quella vescovile.”
  2. ^ A. Camera, R. Fabietti, volume primo, Elementi di storia, Il Medioevo, ed. Zanichelli, Bologna, 1977, pag. 174-175.
  3. ^ A partire dal XII secolo, dalle analisi dei documenti fiscali, notarili e dalle liste consolari, si evince che solo una parte delle élite comunale fosse composta da borghesi – esercenti attività artigianali e commerciali o professioni liberali iscritti alle arti -, mentre, in una prima fase, fu l’aristocrazia fondiaria e cavalleresca, già legata alle autorità urbane precedenti – vescovi e conti – a rivendicare un ruolo politico egemone. Le nuove élite comunali rimasero legate alo standard di vita dei proprietari di origine aristocratica, detentori di castelli e poteri signorili nel contado e imbevuti di cultura cavalleresca, legati quindi ad uno stile di vita militaresco, all’esaltazione dell’onore personale e familiare, come emerge anche dalle case-torri di cui ancora oggi sono ricchi molti centri storici italiani. (“La civiltà comunale” in Medioevo dossier, 28 febbraio 2019, pag. 10).
  4. ^ Francesco Senatore, Medioevo: istruzioni per l’uso, Firenze, Bruno Mondadori Campus, 2008, p. 118 “In un organo collegiale una decisione è considerata valida e legittima perché, all’interno di competenze prestabilite, è stata seguita una corretta procedura: convocazione della riunione, presenza del numero legale, discussione e dichiarazione di voto, scrutinio segreto, verbalizzazione. La forma in questo caso è la sostanza.”
  5. ^ Carlo Capra, Giorgio Chittolini, Franco Della Peruta, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier, 1995, p. 334.
  6. ^ Salta a:a b c d Antonio Ivan Pini, L’associazionismo: una peculiarità e un’eredità del Medioevo in Haec sunt statuta. Le corporazioni medievali nelle miniature bolognesi, Modena, Franco Cosimo Panini, 1999
  7. ^ Lo storico Enrico Artifoni sintetizza il modo in cui i Comuni italiani, diversamente da quelli di altre regioni europee, nascono dall’apporto congiunto di tre diversi ceti: uomini di guerra (l’aristocrazia delle armi di origine feudale spesso legata da un rapporto vassallatico al vescovo e detentrice nel contado di diritti signorili e di beni fondiari); uomini del denaro (i ceti borghesi-mercantili); uomini di cultura, cioè giuristi (giudici, notai) ed esperti di diritto. (Enrico Artifoni, Città e comuni, in Storia medievale, Donzelli, Roma, 1988).
  8. ^ A. Camera, R. Fabietti, Elementi di storia, Il Medioevo, volume primo, Zanichelli editore, 1977, pag. 236-239.
  9. ^ Atlante delle grandi trasformazioni tecnologiche, economiche e ambientali, vol. 1. L’esperienza della storia. Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2012, pag. 30-32.
  10. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, p. 219 “Questo stato di cose dette luogo a metà sec. XII ai complessi rapporti fra il movimento comunale e l’imperatore Federico Barbarossa, il quale nelle due diete di Roncaglia del 1154 e 1158 aveva avocato a sé i regalia, i diritti pubblici (tra cui una quantità di dazi e di dogane, il libero esercizio delle quali era invece indispensabile alla circolazione delle merci e quindi alla prosperità cittadina e comunale), mentre dopo trent’anni di contese giuridiche e di aperte lotte armate, nel 1183, con la pace di Costanza, dovette adattarsi a riconoscere i Comuni inserendoli tuttavia nell’ordine feudale.”
  11. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, p. 294 “Le città comunali registravano una grave instabilità politica. Gli imprenditori raggruppati nelle Arti avevano faticato per tutto il Duecento ad affermare i loro diritti politici strappando l’egemonia cittadina alle famiglie dell’aristocrazia. Verso la fine del XIII secolo, questi gruppi di “grandi” (o “magnati”) erano stati, almeno formalmente, cacciati un po’ dappertutto dal governo cittadino; si era anzi stabilita una legislazione antimagnatizia durissima, che stabiliva – sia pure con molte varianti locali – per chi fosse stato dichiarato “magnate” la sostanziale interdizione dagli uffici pubblici.”
  12. ^ Francesco Senatore, Medioevo: istruzioni per l’uso, Firenze, Bruno Mondadori Campus, 2008, p. 123 “Sui nobili fiorentini, detti con un termine dell’epoca “magnati”, che furono esclusi dalla vita politica nel 1293, si è sviluppato un lungo dibattito storiografico: si trattava di una “classe” che fu emarginata dalla “classe” nemica, il “popolo”, i “mercanti” o “borghesia”; oppure di un ceto politico di famiglie ricche e potenti che avevano controllato in precedenza la città e che ora venivano sconfitte da un gruppo più agguerrito? Lo scontro era insomma sociale (di “classe”) o politico? La questione è ancora aperta.”
  13. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, p. 294 “Le famiglie magnatizie e quelle dei popolani cosiddetti “grassi” (cioè più abbienti e potenti) tendevano obiettivamente ad accordarsi, e tali accordi erano sovente suggellati da matrimoni. Si fece così strada, nel corso del Trecento, un nuovo ceto dirigente costituito da magnati e popolani “grassi”, al quale si opponeva il ceto medio degli appartenenti alle attività economiche di tipo artigianale (il “Popolo magro”), mentre dal basso premevano i lavoratori dipendenti, i “sottoposti” (il “Popolo minuto”).”
  14. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, p. 389 “Questi “signori”, che non erano dotati di specifiche prerogative istituzionali ma che governavano di fatto fornendo con la loro forza e il loro prestigio la cauzione agli altrimenti esausti governi comunali (ma che in pratica svuotavano quei governi stessi di contenuto), si appoggiavano di solito a titoli di legittimazione che venivano loro “dal basso”, dalla costituzione cittadina: potevano quindi essere “podestà” o “capitani del popolo”, ma detenere per lungo tempo o addirittura a vita quelle cariche che, di solito, mutavano di breve periodo in breve periodo.”

Bibliografia

Voci correlate

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Città metropolitana di Milano

Città metropolitana di Milano

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Città metropolitana di Milano
città metropolitana
Città metropolitana di Milano – Stemma Città metropolitana di Milano – Bandiera
Città metropolitana di Milano – Veduta

Palazzo Isimbardi, sede istituzionale.

Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Regione-Lombardia-Stemma.svg Lombardia
Amministrazione
Capoluogo Milano
Sindaco metropolitano Giuseppe Sala (indipendente di centro-sinistra) dal 21-6-2016
Data di istituzione 1º gennaio 2015[1]
Territorio
Coordinate
del capoluogo
45°27′50.98″N 9°11′25.21″ECoordinate45°27′50.98″N 9°11′25.21″E (Mappa)
Superficie 1 575,65 km²
Abitanti 3 279 944[3] (31-12-2019)
Densità 2 081,65 ab./km²
Comuni 133 comuni
Province confinanti VareseMonza e BrianzaBergamoCremonaLodiPaviaNovara (Piemonte)
Altre informazioni
Cod. postale 20121-20162 Milano, 20001-20099 altri comuni
Prefisso 02033103630371
Fuso orario UTC+1
ISO 3166-2 IT-MI
Codice ISTAT 215[2]
Targa MI
PIL procapite (nominale) 46.128 €
Cartografia
Città metropolitana di Milano – Localizzazione
Città metropolitana di Milano – Mappa

Posizione della Città metropolitana di Milano all’interno della Lombardia.

Sito istituzionale

La città metropolitana di Milano è una città metropolitana italiana della Lombardia. Prevista per la prima volta dalla legge n. 142 sul nuovo ordinamento degli enti locali dell’8 giugno 1990, art. 17-21, è stata definitivamente istituita dalla legge del 7 aprile 2014 n. 56, sostituendo a partire dal 1º gennaio 2015 la preesistente provincia di Milano.

Si estende su una superficie di 1.575,65 km² e comprende 133 comuni metropolitani, con una popolazione di oltre 3 milioni di abitanti.

Confina a nord con la provincia di Varese e la provincia di Monza e Brianza, a est con la provincia di Bergamo, a sud-est con la provincia di Cremona e la provincia di Lodi, a sud-ovest con la provincia di Pavia e a ovest con la provincia di Novara (Piemonte). Inoltre comprende il comune di San Colombano al Lambro, un’exclave compresa tra le province di Lodi e Pavia.

Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

Il territorio della città metropolitana di Milano è situato nella Lombardia centro-occidentale, nel tratto di alta pianura padana compreso tra il fiume Ticino a ovest e il fiume Adda a Est. Il territorio è attraversato, oltre che dall’Adda e dal Ticino, anche dall’Olona, dal Lambro, dal Seveso, dalla rete dei Navigli milanesi (Naviglio Grande, Naviglio Martesana, Naviglio Pavese) e da alcuni torrenti (LuraBozzenteMolgoraArno).

Il Ticino e l’Adda segnano rispettivamente il confine occidentale e il confine orientale della città metropolitana. Il Ticino, proveniente dalla Svizzera italiana, forma il Lago Maggiore e confluisce nel Po a valle di Pavia. Affluente del Ticino nel territorio della città metropolitana di Milano è il torrente Arno. L’Arno attraversa l’Altomilanese ed è uno dei corsi d’acqua più inquinati della zona.

L’Adda, proveniente dall’alta Valtellina, forma il Lago di Como e confluisce nel Po fra le province di Lodi e Cremona. In territorio metropolitano l’Adda alimenta il Canale Muzza, il quale a sua volta riceve le acque del torrente Molgora, proveniente dall’alta Brianza.

Il fiume Olona, proveniente dalle Prealpi Varesine, dopo aver attraversato l’Alto Milanese, giunge a Milano dove confluisce nel Lambro Meridionale. Affluenti del fiume nel territorio della città metropolitana sono i torrenti BozzenteLuraMerlata (formato dal Nirone e dal Pudiga) e Pudiga. L’Olona talvolta è indicato anche come “Olona settentrionale” per l’omonimia con un altro Olona, che nasce a Bornasco e che sfocia nel Po dopo aver attraversato la provincia di Pavia. Questo secondo Olona, a sua volta, viene designato come “inferiore” o “meridionale”. L’omonimia non è di origine imitativa o etimologica, ma è dovuta al fatto che originariamente si trattava di due tronconi dello stesso fiume, deviato dai Romani nel suo tratto superiore verso Milano[4]

Il Lambro (o Lambro Settentrionale) proviene dal Triangolo Lariano, lambisce la periferia est di Milano e confluisce nel Po presso Orio Litta. Suo affluente in territorio metropolitano è il Colatore Lambro meridionale, derivato dall’Olona a Milano, che riceve le acque in eccesso dei navigli e confluisce nel Lambro in Provincia di Lodi.

Il Seveso proviene dalle colline a sud di Como e dopo aver lambito la Brianza si perde nel labirinto idrico della città di Milano, confluendo in parte nel Naviglio della Martesana e quindi nel Cavo Redefossi e in parte nel Cavo Vettabbia.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il 28 settembre 2014, come stabilito dalla legge istitutiva dell’ente, ci fu la prima elezione a suffragio ristretto del Consiglio metropolitano: i 2056 elettori, composti dai sindaci e dai consiglieri comunali dei 134 comuni compresi nella Città Metropolitana di Milano, si recarono alle urne per l’elezione dei 24 membri di tale organo. Il sindaco di Milano dell’epoca Giuliano Pisapia divenne di diritto anche sindaco metropolitano.

Il 18 dicembre 2014 il Consiglio metropolitano approvò la bozza dello statuto della città metropolitana e il 22 dicembre 2014 la Conferenza metropolitana dei sindaci approvò lo statuto definitivo.[5]

Il 1º gennaio 2015 la città metropolitana di Milano prese il posto della disciolta provincia omonima.

Società[modifica | modifica wikitesto]

Abitanti censiti (migliaia)[6]

Etnie e minoranze straniere[modifica | modifica wikitesto]

Secondo le statistiche ISTAT[7] al 1º gennaio 2017 la popolazione straniera residente nella città metropolitana era di 446.923 persone, pari al 14% della popolazione. Le nazionalità maggiormente rappresentate erano:

Tra le province e le città metropolitane italiane, la Città metropolitana di Milano è l’area nella quale il numero complessivo di residenti stranieri è il secondo più alto, dopo la Città metropolitana di Roma Capitale, con 544.956 persone (dove rappresentano l’11% della popolazione) e prima di Torino (219.034 residenti, il 9,5% della popolazione).

In termini assoluti, i comuni metropolitani con il maggior numero di residenti stranieri sono Milano (253.482 abitanti), Sesto San Giovanni (14.098), Cinisello Balsamo (13.511) e Pioltello (9.009), mentre in percentuale Baranzate, Pioltello e Milano sono i comuni con più residenti stranieri (rispettivamente il 31%, il 25% e il 18%).

Religione[modifica | modifica wikitesto]

Quasi tutto il territorio della città metropolitana di Milano fa parte dell’arcidiocesi di Milano (fanno eccezione il comune di Cassano d’Adda, esclusa la frazione Groppello, che fa parte della diocesi di Cremona, 7 comuni al confine con la provincia di Lodi, appartenenti alla diocesi di Lodi), inoltre fanno parte della diocesi di Pavia i comuni di Casarile e Binasco situati al confine con la provincia di Pavia[8]

Criminalità[modifica | modifica wikitesto]

Al 2010, la allora provincia di Milano risultava prima per numero di reati complessivi denunciati, terza per numero di furti in appartamento e seconda per numero di borseggi.[9]. Sussiste poi il problema delle baby gang.[10]

Comuni metropolitani[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Armoriale dei comuni della città metropolitana di Milano.

Comuni metropolitani più popolosi[modifica | modifica wikitesto]

Di seguito è riportata la lista dei venti principali comuni della città metropolitana ordinati per numero di abitanti (dati: Istat 30/11/2019):

Pos. Stemma Comune di Popolazione
(ab)
Superficie
(km²)
Densità
(ab/km²)
Altitudine
(m s.l.m.)
CoA Città di Milano.svg
Milano 1.390.434 181,67 7.588,97 122
Sesto San Giovanni-Stemma.svg
Sesto San Giovanni 81.178 11,70 6.956,67 140
Cinisello Balsamo-Stemma.png
Cinisello Balsamo 76.422 12,72 5.941,90 154
Legnano-Stemma.png
Legnano 60.762 17,68 3.420,87 199
Rho-Stemma.png
Rho 50.639 22,24 2.275,27 158
Cologno Monzese-Stemma.svg
Cologno Monzese 47.861 8,40 5.676,43 131
Paderno Dugnano-Stemma.png
Paderno Dugnano 45.756 14,11 3.281,79 163
Rozzano-Stemma.svg
Rozzano 42.404 12,24 3.466,50 103
San Giuliano Milanese-Stemma.png
San Giuliano Milanese 38.765 30,87 1.248,36 98
10ª
Pioltello-Stemma.png
Pioltello 37.055 13,09 2.826,74 122
11ª
Bollate-Stemma.svg
Bollate 36.667 13,12 2.786,89 156
12ª
Segrate-Stemma.png
Segrate 36.236 17,49 2.054,60 115
13ª
Corsico-Stemma.svg
Corsico 34.773 5,36 6.476,68 115
14ª
Cernusco sul Naviglio-Stemma.png
Cernusco sul Naviglio 34.604 13,22 2.617,55 134
15ª
San Donato Milanese-Stemma.svg
San Donato Milanese 32.846 12,88 2.543,56 102
16ª
Abbiategrasso-Stemma.svg
Abbiategrasso 32.764 47,78 682,50 120
17ª Parabiago-Stemma.png Parabiago 28.167 14,29 1.947,17 184
18ª
Garbagnate Milanese-Stemma.png
Garbagnate Milanese 27.438 9,00 3.042,78 179
19ª
Buccinasco-Stemma.png
Buccinasco 27.098 12,00 2.258,50 113
20ª
CoA Città di Bresso.svg
Bresso 26.086 3,38 7.781,07 142

Il comune meno popoloso è Nosate, con solo 645 abitanti.

Zone omogenee[modifica | modifica wikitesto]

Nella seduta del 17 settembre 2015, in base all’articolo 29 dello statuto della città metropolitana di Milano[11], il Consiglio metropolitano ha deliberato la proposta di costituzione delle seguenti 7 zone omogenee[12][13][14]:

Pos. Zona omogenea Popolazione
(ab)
Superficie
(km²)
Densità
(ab/km²)
N° comuni
Altomilanese 258.743 215,23 1.202,17 22
Magentino e Abbiatense 213.745 360,44 593,01 29
Sud Ovest 238.729 179,72 1.328,34 16
Sud Est 173.267 179,72 964,10 15
Adda Martesana 384.082 273,35 1.618,21 29
Nord Ovest 315.749 135,82 2.324,76 16
Nord Milano 267.696 49,48 5.410,19 6

Queste zone omogenee, delimitate secondo caratteristiche geografichedemografichestoricheeconomiche e istituzionali, non saranno unità amministrative ma saranno delle aggregazioni sovracomunali con un ruolo rilevante nell’ambito dei servizi metropolitani decentrati della Città metropolitana, in particolare nell’ambito della pianificazione territoriale.

Gli organi delle zone omogenee saranno l’Assemblea e il Presidente. L’Assemblea sarà composta dai Sindaci dei comuni il cui territorio sia compreso nella zona. L’Assemblea svolgerà funzioni consultive, propositive e di coordinamento in ordine a questioni di interesse generale attinenti alle funzioni attribuite. Il Presidente sarà eletto a maggioranza assoluta dall’assemblea tra i propri componenti nella prima seduta convocata e presieduta dal Sindaco metropolitano. Il Presidente rappresenterà la zona nei rapporti con gli altri enti pubblici e con i privati e promuoverà il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati alla definizione di piani, programmi e progetti a rilevanza zonale, anche attraverso strumenti di partecipazione diretta.

Già la provincia di Milano aveva attivato diverse collaborazioni tra i vari Comuni, raggruppati nei “tavoli interistituzionali” (che avevano l’obiettivo di gestire il territorio di ciascun ambito a una scala intermedia tra quella provinciale e quella comunale) e aveva identificato i seguenti dieci ambiti territoriali:[15]

Zona Popolazione
(ab)
Superficie
(km²)
Densità
(ab/km²)
Numero
Comuni
Milano 1 332 516 181,76 7 334,82 1
Nord Milano 316 646 57,93 5 466,01 7
Rhodense 315 749 135,82 2 324,76 16
Legnanese 188 472 96,46 1 953,89 11
Castanese 61 022 118,55 514,74 11
Magentino 125 226 135,88 921,59 13
Abbiatense – Binaschino 107 205 284,30 377,08 21
Sud Milano 217 674 125,38 1 736,11 12
Sud-est Milano 173 267 179,72 964,09 15
Martesana Adda 337 355 166,58 2 025,18 28

Economia[modifica | modifica wikitesto]

Panorama di Milano

La città metropolitana di Milano è una delle aree economiche più importanti d’Italia: con 338.011 imprese attive nel 2005 concentra il 42,3% delle imprese lombarde e il 6,6% delle imprese italiane attive e operanti. Questo elemento le consente di generare un alto livello di produttività: con un PIL annuo pro capite di 30.629 euro conferma la seconda posizione, poiché da sola concentra il 10,3% del PIL nazionale e annualmente produce una ricchezza superiore ai 124 miliardi di Euro, seconda solo alla città metropolitana di Roma. [16]

La presenza qualificata e differenziata di ogni comparto economico ha consentito a Milano di affrontare, con un buon vantaggio rispetto ad altre città italiane, le nuove sfide competitive e di confrontarsi con le principali città europee nella capacità di attrarre società e banche straniere: il numero di unità produttive facenti capo ad imprese partecipate da multinazionali estere ha superato in Lombardia la soglia delle mille unità, di cui oltre la metà localizzate nella città metropolitana, e qui hanno sede le maggiori banche italiane ed estere.

A partire dagli anni settanta, come è successo per tutti i centri urbani europei, la produzione industriale pesante ha lasciato spazio al settore dei servizi e alle attività terziarie, soprattutto quelle più qualificate e a più alto valore aggiunto, sviluppatesi in stretta connessione con le imprese produttive dell’area.

Nel corso degli anni 90, l’evoluzione tecnologica e la globalizzazione dell’economia hanno definitivamente modificato anche il suo tradizionale modello produttivo che oggi si basa su una fitta rete di imprese produttive di piccola e piccolissima dimensione, a cui si affianca un numero limitato di medio-grandi aziende.

Nell’area milanese si concentra il 15% delle imprese italiane attive nei settori hi-tech (manifatturieri e terziari) e ben il 31% dei relativi addetti.

Uno dei principali motori di sviluppo dell’area milanese è rappresentato dall’economia creativa, cioè quel ramo dell’economia che comprende alcuni particolari settori in grado di generare nuova ricchezza e proprietà intellettuale (brevetti, diritti d’autore, marchi di fabbrica, design registrato), che svolge un ruolo trainante anche per le attività produttive tradizionali.

Milano si pone anche come capitale del non-profit, in cui la vocazione agli affari si combina con le antiche tradizioni solidaristiche e mutualistiche della società civile lombarda. Nell’area milanese operano quasi 11.000 istituzioni. Il mondo del non-profit riveste un ruolo importante nel sistema economico e sociale locale, mobilitando risorse umane e finanziarie significative; il numero di addetti complessivo è pari al 10% del totale nazionale e a circa il 50% di quello della Lombardia.

La maggior parte delle aziende milanesi e dei relativi addetti opera nel settore dei servizi (69%). Il crescente livello di terziarizzazione dell’economia milanese ha ridotto la tradizionale vocazione industriale del territorio al 28%.

L’agricoltura rappresenta il 2% dell’economia della città metropolitana e, nonostante il numero limitato di addetti, continua a mantenere un ruolo importante: localizzata per lo più nella parte meridionale del territorio, presenta caratteristiche di elevata meccanizzazione e produttività.[17]

Natura[modifica | modifica wikitesto]

Sul territorio milanese esistono sei parchi regionali:

Sport[modifica | modifica wikitesto]

La città metropolitana di Milano vanta due club calcistici italiani plurititolati a livello nazionale e internazionale, i due club sono Milan e Inter e giocano le proprie gare interne allo stadio San Siro, uno dei più grandi stadi d’Italia, per capienza spettatori in caso di eventi sportivi e non.

Amministrazione[modifica | modifica wikitesto]

Gonfalone

Attualmente il Consiglio metropolitano è scelto con elezione di secondo livello ossia l’elettorato attivo e passivo è riservato ai consiglieri comunali e ai sindaci dei comuni metropolitani, mentre il sindaco metropolitano è di diritto quello di Milano. Va tenuto in considerazione il fatto che il voto non è uguale per tutti bensì è ponderato, pertanto ad esempio il voto di un consigliere di Milano pesa più del voto di un piccolo comune poiché rappresentativo di un maggior numero di abitanti.

Ritratto Nome Mandato Partito Carica
Inizio Fine
1 Giuliano Pisapia in Piazza Scala a Milano, 27 giugno 2012.jpg Giuliano Pisapia 1º gennaio 2015 21 giugno 2016 Indipendente di sinistra Sindaco metropolitano
2 Giuseppe Sala.jpeg Giuseppe Sala 21 giugno 2016 in carica Indipendente di centro-sinistra Sindaco metropolitano

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Approvata l’8 aprile 2014, con conseguente attivazione della fase preliminare all’attuazione dell’ente.
  2. ^ Codici delle città metropolitane al 1º gennaio 2015 Archiviato il 25 febbraio 2015 in Internet Archive. – istat.it
  3. ^ Dato Istat – Popolazione residente al 31 dicembre 2019.
  4. ^ Contratti di fiume – Ricostruzione dei corsi d’acqua dell’ambito vallivo di Olona, Bozzente, Lura: riconnessione con l’Olona inferiore fino al Po (PDF), contrattidifiume.it. URL consultato il 4 gennaio 2015 (archiviato dall’url originale il 12 agosto 2014).
  5. ^ Statuto della Città metropolitana di Milano Archiviato il 24 dicembre 2014 in Internet Archive.
  6. ^ Dato Istat – ISTAT URL consultato in data 30-11-2019.
  7. ^ Popolazione straniera residente per età e sesso al 31 dicembre 2016, su demo.istat.it. URL consultato il 25 febbraio 2018 (archiviato il 7 luglio 2017).
  8. ^ Cerro al LambroColturanoDresanoPaulloSan Colombano al LambroSan Zenone al Lambro e Tribiano inoltre fanno parte della diocesi di Pavia i comuni di Casarile e Binascosituati al confine con la provincia di Pavia.
  9. ^ Rossella Cadeo, A Milano e Roma la maglia nera dei reati, 31 ottobre 2011. URL consultato l’11 dicembre 2012 (archiviato il 30 giugno 2015).
  10. ^ A Milano tredici gang diverse Quattromila affiliati in Italia – Inchieste – la Repubblica, su inchieste.repubblica.it. URL consultato il 2 gennaio 2015 (archiviato il 5 marzo 2016).
  11. ^ Statuto della Città metropolitana di Milano (PDF), su cittametropolitana.mi.it. URL consultato il 14 marzo 2015 (archiviato dall’url originale il 2 aprile 2015).
  12. ^ Delibera di costituzione zone omogenee (PDF), su cittametropolitana.mi.it. URL consultato il 23 dicembre 2015 (archiviato dall’url originale il 24 dicembre 2015).
  13. ^ E secessione fu: Cologno Monzese esce dall’area del Nordmilano, su nordmilano24.it. URL consultato il 2 febbraio 2017 (archiviato il 3 febbraio 2017).
  14. ^ Cologno abbandona il Nord Milano ed entra nella Martesana, su ilgiorno.it. URL consultato il 2 febbraio 2017 (archiviato il 2 febbraio 2017).
  15. ^ Ambiti territoriali della Provincia di Milano Archiviato il 23 settembre 2015 in Internet Archive.
  16. ^ Il PIL e il valore aggiunto milanese[collegamento interrotto]
  17. ^ Settore Attività Economiche e Innovazione Provincia di Milano

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Lombardia

Lombardia

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Lombardia (disambigua).
Lombardia
regione a statuto ordinario
(IT) Regione Lombardia
Lombardia – Stemma Lombardia – Bandiera
(dettagli) (dettagli)
Lombardia – Veduta

I grattacieli di Porta Nuova a Milano. Sulla destra del gruppo centrale si scorge il Palazzo Pirelli, sede del consiglio regionale.

Localizzazione
Stato Italia Italia
Amministrazione
Capoluogo Milano Milano
Presidente Attilio Fontana (Lega) dal 26-3-2018
Data di istituzione 16 maggio 1970[1]
Territorio
Coordinate
del capoluogo
45°35′08″N 9°55′49″ECoordinate45°35′08″N 9°55′49″E (Mappa)
Altitudine 279 (minima: 0 – massima: 4 020) m s.l.m.
Superficie 23 863,65 km²
Abitanti 10 103 969[2] (31-12-2019)
Densità 423,4 ab./km²
Province 12
Comuni 1506[3]
Regioni confinanti Piemonte
Emilia-Romagna
Trentino-Alto Adige
Veneto
Grigioni (Svizzera Svizzera)
Ticino (Svizzera Svizzera)
Altre informazioni
Lingue italianolombardoemiliano
Fuso orario UTC+1
ISO 3166-2 IT-25
Codice ISTAT 03
Nome abitanti lombardi
Patrono sant’Ambrogio[4]
Giorno festivo 29 maggio (anniversario della battaglia di Legnano)
PIL (nominale) 380 955 mln [5]
PIL procapite (nominale) 38 000 [5](2017)
(PPA) 38 500 [5](2017)
Rappresentanza parlamentare 101 deputati
49 senatori
Cartografia
Lombardia – Localizzazione
Lombardia – Mappa

Province della Lombardia

Sito istituzionale

La Lombardia (AFI/lombar’dia/ in italiano/lombar’dia//lumbar’dia/ o /lumbar’dea/ in lombardo) è una regione italiana a statuto ordinario[6] dell’Italia nord-occidentale, prefigurata nel 1948 e istituita nel 1970. Gli abitanti sono 10 103 969[2] e il territorio è suddiviso in 1 506 comuni (regione con il maggior numero di comuni su tutto il territorio nazionale), distribuiti in dodici enti di area vasta (undici province più la città metropolitana di Milano). La regione si posiziona prima in Italia per popolazione e numero di enti locali, mentre è quarta per superficie[7], dopo SiciliaPiemonte e Sardegna. Ha il suo capoluogo nella città di Milano e confina a nord con la Svizzera (Canton Ticino e Canton Grigioni), a ovest con il Piemonte, a est con il Veneto e il Trentino-Alto Adige e a sud con l’Emilia-Romagna.

Simboli[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Simboli della Lombardia.

Il gonfalone della regione

Una delle rose camune raffigurate nelle incisioni rupestri della Val Camonica, in provincia di Brescia.

I simboli della Lombardia sono, ai sensi dello statuto d’autonomia della regione, la bandiera, lo stemma, il gonfalone e la festa del 29 maggio[8].

Lo stemma ufficiale della Lombardia è costituito da una rosa camuna, antico simbolo solare comune ad alcuni popoli protoceltici, presente in 94 delle circa 140.000 incisioni rupestri della Val Camonica, in provincia di Brescia. Queste incisioni sono state realizzate dal Mesolitico (VIIIVI millennio a.C. circa) all’Età del ferro (I millennio a.C.) da diversi antichi popoli, tra cui i Camuni[9]. Le incisioni realizzate da questi ultimi, tra cui figura l’omonima rosa, sono state eseguite durante l’Età del ferro[9].

La rosa camuna sullo stemma della regione è in argento, a simboleggiare la luce. Sullo sfondo, il colore verde rappresenta la Pianura Padana. Adottato ufficialmente insieme con il gonfalone con la legge regionale n. 85 del 12 giugno 1975[10], lo stemma è stato introdotto su proposta dell’allora assessore alla cultura Sandro Fontana[11] ed è stato disegnato nello stesso anno da Pino TovagliaBob NoordaRoberto Sambonet e Bruno Munari[12][13]

Il gonfalone è costituito da una riproduzione del Carroccio, grande carro a quattro ruote recante le insegne cittadine attorno al quale si raccoglievano e combattevano le milizie dei comuni medievali dell’Italia settentrionale, di cui rappresentava l’autonomia[14], e dallo stemma della regione[13]. Le dimensioni della gonfalone della Lombardia sono di 3×2 m e i nastri e la cravatta sono nei colori nazionali[13].

La Regione Lombardia dal 29 gennaio 2019[15][16] ha adottato lo stemma con la rosa camuna quale bandiera ufficiale, attestando in tal modo la prassi invalsa negli uffici pubblici e nelle manifestazioni[10].

La festa regionale della Lombardia, che è stata istituita con la legge regionale n. 15 del 26 novembre 2013[10], si celebra il 29 maggio in ricordo della vittoria della Lega Lombarda sulle truppe imperiali di Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano, scontro armato avvenuto il 29 maggio del 1176 nei dintorni della città omonima con cui venne posta la fine al disegno egemonico dell’imperatore germanico sui comuni medievali del Nord Italia[17]. Dopo la decisiva sconfitta di Legnano, l’imperatore accettò un armistizio di sei anni (la cosiddetta “tregua di Venezia“), fino alla pace di Costanza, in seguito alla quale i comuni medievali dell’Italia settentrionale accettarono di restare fedeli all’Impero in cambio della piena giurisdizione locale sui loro territori[18].

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Evidenziata in azzurro la massima estensione del Regno longobardo (Regnum Langobardorum in latino) dopo le conquiste di Astolfo (751). In arancione i territori controllati dall’Impero bizantino.

Attestato e medaglia di bronzo dorata di eccellenza di I classe di pubblica benemerenza del Dipartimento della Protezione civile - nastrino per uniforme ordinaria Attestato e medaglia di bronzo dorata di eccellenza di I classe di pubblica benemerenza del Dipartimento della Protezione civile
«Per la partecipazione all’evento sismico del 6 aprile 2009 in Abruzzo, in ragione dello straordinario contributo reso con l’impiego di risorse umane e strumentali per il superamento dell’emergenza.[19]»
— D.P.C.M. 11 ottobre 2010, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D. P. C. M. 19 dicembre 2008

Origine del nome[modifica | modifica wikitesto]

Il toponimo deriva dalla parola Longobardia (latLangobardia), utilizzata nell’Esarcato d’Italia per indicare l’area italiana che si trovava sotto il dominio della popolazione di origine germanica dei Longobardi, ovvero la Langobardia Maior (it. Longobardia Maggiore), che comprendeva i ducati longobardi dell’Italia settentrionale e quello di Tuscia, e la Langobardia Minor (italiano Longobardia Minore), che includeva i due ducati longobardi dell’Italia centromeridionale, ovvero quello di Spoleto e quello di Benevento[20]. La restante parte della penisola italiana, che era invece sotto il dominio dell’Impero bizantino, era chiamata Romania, termine utilizzato anche per definire genericamente questo impero: l’uso del termine “bizantino” è infatti relativamente recente[20].

Durante l’epoca carolingia il termine Longobardia venne invece usato per chiamare la marca del Sacro Romano Impero fondato da Carlo Magno che aveva come capoluogo Milano e che aveva confini che erano molto più estesi della moderna Lombardia[20]. Anche nei secoli successivi il termine “Lombardia” continuò a definire un vasto territorio, area che corrispondeva all’intera Italia settentrionale[20].

Il nome “Lombardia”, che si ritrova nel saggio del 1553 Descrittione di tutta Italia di F. Leandro Alberti con la suddivisione in “Lombardia di qua dal Po” e “Lombardia di la dal Po”[21], quindi ancora con un significato che andava oltre agli attuali confini della regione, venne riportato all’uso moderno dopo la Guerra di successione spagnola quando l’Impero austriaco, impossessatasi di questa regione nel 1717, cominciò a indicarla come Lombardia austriaca: quindi, da questo punto in poi, con il termine “Lombardia” si iniziò a definire un territorio più limitato, corrispondente all’incirca alla moderna regione italiana[22][23].

Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Geografia della Lombardia.

Generalità[modifica | modifica wikitesto]

Panorama della Valtellina dall’Alpe Piazzola nel comune di Castello dell’Acqua.

La superficie della Lombardia si divide quasi equamente tra pianura (che rappresenta circa il 47% del territorio) e le zone montuose (che ne rappresentano il 41%). Il restante 12% della regione è collinare.[24]

Sotto l’aspetto morfologico la regione viene divisa in quattro aree: una strettamente alpina, una montuosa o collinare, una pianeggiante (o poco mossa) suddivisa in Alta e Bassa pianura e infine la zona a sud del fiume Po. La regione è attraversata da decine di fiumi (tra cui il Po, fiume più grande d’Italia) ed è bagnata da centinaia di laghi di origine naturale e artificiale.

Raggiunge il punto più elevato con la Punta Perrucchetti (4.020 m), appartenente al massiccio del Bernina.

Orografia[modifica | modifica wikitesto]

Lombardia nord-occidentale vista dal satellite. Partendo da sinistra si vedono: il Verbano, il Lago di Varese, il Lago di Monate, il Lago di Comabbio, il Ceresio, il Lario, il lago di Montorfano, il Lago di Alserio, il Lago di Pusiano, il Lago di Annone, il Lago di Garlate e il Sebino in basso a destra. In basso a sinistra si nota l’area metropolitana di Milano.

In termini geografici, la Lombardia non si può considerare un territorio unitario, nel senso di territorio delimitato da precise conformazioni fisiche, sia per la varietà di paesaggi che l’attraversano senza racchiuderla, sia perché i confini amministrativi, molto spesso, sono il frutto di complesse vicende storiche. Tuttavia è possibile delineare a grandi linee il suo territorio amministrativo attraverso rilievi, laghi e fiumi.

A delimitare la Lombardia a nord si può utilizzare lo spartiacque alpino tra la Valtellina e le valli del Reno e dell’Inn anche se, a volte, questo confine oltrepassa il versante valtellinese. A est sono il lago di Garda e il fiume Mincio a separare la Lombardia dalle altre regioni italiane; così come a sud il Po (eccezion fatta per l’Oltrepò pavese e l’Oltrepò mantovano che si estendono più a sud), e a ovest il Lago Maggiore e il Ticino (con l’eccezione della Lomellina che sconfina verso il Piemonte) possono servire per distinguere la Lombardia dalle altre regioni. Questi confini racchiudono un territorio di circa 23.861 km²,[25] rendendola la quarta regione italiana per estensione superficiale.

Attraversando la regione, da nord verso sud, s’incontrano lungo il cammino per primi i rilievi delle Alpi e poi, poco più a sud, le Prealpi seguite da dolci colline che smussano il passaggio dalla montagna alla Pianura Padana. Proprio lungo la fascia prealpina si trovano alcuni dei più grandi laghi d’Italia (come il lago di Garda, il Lago Maggiore e il lago di Como), mentre numerosi fiumi (come il Po, l’Adda, l’Oglio, il Mincio e il Ticino) e torrenti solcano le montagne, formando profonde valli, attraversano la pianura rendendola rigogliosa di vegetazione. In una piccola area a sud dell’Oltrepò pavese nella zona della val Trebbia, si ergono colline e montagne dell’Appennino ligure; qui il fiume Trebbia, per una piccola porzione, segna il confine più meridionale della regione.

La Lombardia per zone altimetriche.

I nomi delle Alpi della Lombardia derivano tutti dalle popolazioni che, al tempo degli antichi Romani, vivevano tra queste montagne. Le Alpi Lepontine prendono il nome dalla popolazione ligure dei Leponzi stanziata in questa zona e poi sottomessa dall’imperatore romano Augusto. Le Alpi Retiche dai Reti, popolazione di origine etrusca rifugiatasi nelle Alpi Centrali durante l’invasione celtica. Le Alpi Orobie dalla popolazione di origine ligure, o forse celtica, degli Orobi.[26]

Le catene montuose corrispondono al 40,5% del territorio regionale[27] e sono costituite dalle Alpi, dalle Prealpi e dagli Appennini. Appartengono alle Alpi lombarde una piccola porzione delle Alpi Lepontine e gran parte delle Alpi Retiche. Sul territorio montano della Lombardia spiccano quattro massicci orografici di rilievo: il BadileDisgrazia, il Bernina, l’Ortles-Cevedale e l’Adamello. I primi tre sorgono sullo spartiacque tra i bacini del Reno e dell’Inn a nord e dell’Adda e dell’Oglio a sud e solo in parte si ergono sul territorio nazionale. L’Adamello, invece, sorge tra i bacini dell’Adda e dell’Adige e si trova completamente in territorio italiano. Le Alpi lombarde raggiungono la massima quota alla Punta Perrucchetti (4020 m), nel massiccio del Bernina[N 1]; altra vetta importante è il Monte Cevedale, del massiccio dell’Ortles-Cevedale, che arriva a 3764 m. Il massiccio dell’Ortles-Cevedale ospita il ghiacciaio dei Forni che ha un’estensione di circa 12 km² ed è il più grande ghiacciaio vallivo d’Italia. A sud della Valtellina si stagliano le Alpi Orobie delimitate a est dalla Valcamonica e a ovest dal bacino del lago di Como.

Confinate a ovest dal Lago Maggiore e a est dal Lago di Garda si trovano le Prealpi lombarde le cui vette superano di poco i 2500 m di quota. Le Prealpi sono in prevalenza costituite da sedimenti calcarei e sono geologicamente più giovani delle Alpi. La loro origine sedimentaria ha permesso la formazione di solchi profondi nelle montagne, principalmente per opera dei ghiacciai, che hanno portato alla formazione di strette e profonde valli solcate da fiumi e occupate in parte dai laghi prealpini, sbarrati verso la pianura da rilievi morenici. I rilievi morenici a sud delle prealpi, assieme alle prime sporgenze orografiche, formano quella fascia collinare (12,4% del territorio) che collega le prealpi alla pianura e che contiene numerosi laghi piccoli e poco profondi.

La pianura lombarda occupa il 47,1% della superficie totale della regione ed è parte della Pianura Padana che si estende dal Piemonte alla Romagna, dalle Alpi agli Appennini. La pianura lombarda può essere suddivisa geologicamente in due parti: l’alta e la bassa. L’alta pianura è caratterizzata da materiali grossolani, molto permeabili, di origine alluvionale e presenta grossi solchi originati dai fiumi che scendono dalle montagne. La bassa pianura invece è formata da materiale argilloso, poco permeabile e declina dolcemente verso il Po. Il passaggio dall’alta alla bassa pianura lombarda è segnalato dalla presenza di riaffioramenti naturali d’acqua detti “risorgive” o “fontanili”, causati dall’incontro della falda freatica proveniente dall’alta pianura con i terreni impermeabile della bassa. Questa linea ha un andamento parallelo a quello prealpino e passa per le città di MagentaMonzaTreviglioTrenzanoChiari e Goito.

Passi alpini[modifica | modifica wikitesto]

Arrows-folder-categorize.svg Le singole voci sono elencate nella Categoria:Valichi della Lombardia

Il versante settentrionale del passo dello Spluga

Le vallate alpine lombarde sono più ampie e larghe rispetto a quelle che si trovano, sempre sull’arco alpino, in Piemonte e in Valle d’Aosta[28]. La maggior parte di esse sono attraversate da torrenti che scendono verso la Pianura Padana formando fiumi che poi si immettono alla sinistra idrografica nel Po[28]. Grazie all’ampiezza delle loro valli i passi alpini lombardi, sebbene si trovino a un’altitudine elevata, sono facilmente accessibili[28].

I passi internazionali più importanti che si trovano sulle Alpi lombarde e che mettono in comunicazione la regione con la Svizzera sono il passo dello Spluga (2.118 m), il passo del Maloja (1.815 m) e il passo del Bernina (2.323 m), con quest’ultimi due che sono situati in territorio elvetico[28]. I passi nazionali più importanti sono invece il passo dello Stelvio (2.759 m) e il passo del Tonale (1.883 m), che mettono in comunicazione la Lombardia con il Trentino-Alto Adige[28]. Questi passi alpini rivestono una grande rilevanza anche da un punto di vista storico, visto che da sempre permettono una facile comunicazione tra la Lombardia e i suoi territori confinanti[28]. Da essa sono poi conseguiti costanti traffici commerciali, che hanno contribuito allo sviluppo della regione[28].

Valichi alpini di frontiera[modifica | modifica wikitesto]

Varese – Ticino Ticino[modifica | modifica wikitesto]

Nome del valico Comune italiano Comune svizzero Infrastruttura
Valico Indemini Veddasca (Biegno) Gambarogno (Indemini) Strada Provinciale 5 Italia.svg – Dogana
Valico Cassinone Luino (Longhirolo) Monteggio (Cassinone) Via delle Motte – Via Dogana
Valico Fornasette Luino (Fornasette) Monteggio (Fornasette) Strada Provinciale 6 Italia.svg – Via Cantonale
Valico di Cremenaga Cremenaga Monteggio (Ponte Cremenaga) Strada Provinciale 61 Italia.svg – Via Cantonale
Confine di Stato di Zenna Maccagno con Pino e Veddasca (Zenna) Gambarogno Sant’Abbondio Strada Statale 394 Italia.svg – Via Cantonale
Valico di Ponte Tresa Lavena Ponte Tresa (Ponte Tresa) Ponte Tresa Strada Statale 233 Italia.svg – Via Lungolago
Valico di Porto Ceresio Porto Ceresio Brusino Arsizio Strada Statale 344 Italia.svg – Via al Confine
Valico di Arzo Saltrio Mendrisio (Arzo) Strada Provinciale 9 Italia.svg – Via Remo Rossi
Valico di Ligornetto Clivio Mendrisio (Ligornetto) Strada Provinciale 3 Italia.svg – Via Cantinetta
Valico di San Pietro Clivio (San Pietro) Stabio (San Pietro di Stabio) Strada Provinciale 3 Italia.svg – Via Dogana
Valico di Gaggiolo Cantello (Gaggiolo) Stabio (Gaggiolo) Strada Provinciale 3 Italia.svg – Via Gaggiolo

Como Como – Ticino Ticino[modifica | modifica wikitesto]

Nome del valico Comune italiano Comune svizzero Infrastruttura
Ponte Chiasso Como (Ponte Chiasso) Chiasso ex-Strada Statale 35 Italia.svg (via Bellinzona) – N 2
Brogeda Como (Brogeda) Chiasso Autostrada A9 Italia.svg – A2Swiss.svg
Ponte Chiasso Como (Ponte Chiasso) Chiasso Ferrovia Milano-Chiasso
Maslianico Como (Maslianico) Vacallo (Pizzamiglio) Via XX Settembre – Via Pizzamiglio
Bizzarone Bizzarone Stabio (Santa Margherita) Ferrovia della Valmorea
Drezzo Drezzo Pedrinate (Ca Nova) Strada Provinciale 18 Italia.svg – Via Tinelle
Crociale dei Mulini Ronago (Crociale dei Mulini) Novazzano (Ponte Faloppia) Via Mulini – Via Resiga
Ronago Ronago Novazzano (Marcetto) Strada Provinciale 18 Italia.svg – Via Marcetto
Bizzarone Bizzarone Novazzano (Brusata) Strada Provinciale 23 Italia.svg – Via Clos
Ronago Ronago Novazzano (Marcetto) Strada Provinciale 18 Italia.svg – Via Marcetto
Uggiate Trevano Uggiate Trevano Novazzano (Pignora) Via Somazzo – Via Pignora
Lanzo d’Intelvi Lanzo d’Intelvi Arogno Strada Provinciale 13 Italia.svg – Via Confine
Campione d’Italia Campione d’Italia Bissone Corso d’Italia – Via Campione
Albogasio Valsolda (Albogasio) Lugano (Gandria) Strada Statale 340 Italia.svg – Via Cantonale

Sondrio Sondrio – Grigioni Grigioni[modifica | modifica wikitesto]

Nome del valico Comune italiano Comune svizzero Infrastruttura
Spluga Madesimo (Montespluga) Splügen Strada Statale 36 Italia.svg – Splügenpassstrasse
Villa di Chiavenna Villa di Chiavenna (Dogana) Bregaglia (Castasegna) Strada Statale 37 Italia.svg – N 3
Madonna di Tirano Tirano (Madonna) Brusio (Campocologno) Ferrovia Retica
Madonna di Tirano Tirano (Madonna) Brusio (Campocologno) Strada Statale 38dir-A Italia.svg – N 29
Forcola di Livigno Livigno (Tresenda) Poschiavo (La Motta) Via Compart – N 29
Munt la Schera Livigno Zernez (Il Fuorn) Via Rasia – N 28
Giogo di Santa Maria Bormio (Passo dello Stelvio) Santa Maria Val Müstair Strada Statale 38dir-B Italia.svg – Sassabinghel

Idrografia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Idrografia della Lombardia.

I laghi[modifica | modifica wikitesto]

Lecco e il suo lago.JPG
Ingrandisci

Vista panoramica del golfo di Lecco dal Monte Barro, da sinistra si vedono: il Moregallo, il Lario, il Monte San Martino e la città di Lecco.

La regione è costellata da molti laghi di grandi e piccole dimensioni, i principali dei quali sono:

  • Il lago di Garda (o Benaco), di origine glaciale, è il più grande d’Italia con una superficie di 370 km². È profondo 346 m e ha una lunghezza di 51,6 km. La grande quantità d’acqua del lago ha effetti significativi sul clima locale. Lungo le sue sponde si coltivano infatti l’ulivo, i limoni e i cedri, tipici del clima mediterraneo.[29]
  • Il lago Maggiore (o Verbano) ha una superficie di 212 km², un’estensione di 50 km, una larghezza che va dai 2 ai 4,5 km e una profondità massima è di 372 m.[30]
  • Il lago di Como (o Lario) è caratterizzato da una forma a Y rovesciata, con la punta di Bellagio che segna la separazione in due rami. Completamente scavato nella cerchia prealpina, il lago si snoda per 46 km, ha una larghezza massima di 4,3 km e una superficie di 146 km². È il primo in Italia come sviluppo perimetrico (180 km) e il quinto in Europa come profondità (410 m).[31]
  • Il lago d’Iseo (o Sebino) ha la forma di una S, con una superficie di 65,3 km² e una profondità massima di 361 m. Vi è situata l’isola lacustre più grande d’EuropaMonte Isola, che si estende per 4,3 km².[32]
  • Il lago di Lugano (o Ceresio), situato in Lombardia, ma anche Svizzera e ha una superficie di 48,7 km². Sulle sue sponde si trovano i comuni italiani di Porto CeresioValsolda e Porlezza.[33]
  • Il lago d’Idro (o Eridio), anch’esso di origine glaciale è situato nella provincia di Brescia ai confini con il Trentino, a 368 metri sul livello del mare,ed è formato dalle acque del fiume Chiese che ne è anche l’emissario. La sua superficie misura 10,9 km².[34]
  • Il lago di Varese, che una superficie di circa 14,9 km² e che ha una profondità massima di 26 m.[35]
  • laghi di Mantova (Lago Superiore, Lago di Mezzo e Lago Inferiore) che, con una superficie complessiva di 6,21 km², sono gli unici interamente ricompresi nella Pianura Padana.
Cima Comer panorama Lago di Garda.jpg
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Panorama del lago di Garda visto da cima Comer (1280 m) presso Gargnano.

I fiumi[modifica | modifica wikitesto]

Principali fiumi che scorrono sul territorio lombardo.
Fiume Lunghezza (km) Portata media alla foce (m³/s) Bacino (km²)
Po 652[N 2][N 3][N 4] 1 540 71 000
Adda 313 187 7 979
Oglio 280 137 6 649
Ticino 248[N 2][N 5] 350 7 228
Mincio 203[N 3][36] 60 2 859[N 6]
Chiese 160[N 7] 36 960
Agogna 140[N 2] 6 995
Lambro 130 12 1 350
Serio 124 23 1 256
Mella 96 11 1 036
Terdoppio 86[N 2] 3,7 515
Brembo 74 30 935
Olona 71 6,9[N 8] 911
Staffora 58 4,5 337,5
Seveso 55 1,8 930
Mera 50 23 757
Olona meridionale 36 3,08 160
Cherio 32 1,5 161

Il fiume Adda tra Trezzo e Capriate San Gervasio, tra la città metropolitana di Milano e la provincia di Bergamo.

Il fiume Ticino nei pressi di Pavia (Massaua di Torre d’Isola).

Ponte Romano sul fiume Oglio (IV sec.) a Palazzolo, in provincia di Brescia.

Il fiume Brembo a San Giovanni Bianco, in provincia di Bergamo.

Per il territorio lombardo passano centinaia di fiumi e torrenti, il più rilevante dei quali è il Po che con i suoi 652 km è il più lungo d’Italia. Per un lungo tratto costituisce il confine meridionale della regione e scorre interamente in Lombardia solo nelle province di Pavia e Mantova.

Gli altri principali fiumi provengono dal versante alpino della Pianura Padana e sono tutti affluenti del Po: infatti il territorio lombardo è quasi interamente compreso nel bacino idrografico del principale fiume italiano[N 9]. Data la scarsa estensione del territorio regionale a sud del Po, la Lombardia è praticamente priva di fiumi appenninici: nell’Oltrepò pavese non si trovano corsi d’acqua significativi, mentre l’unica eccezione è costituita dal Secchia che nell’ultimo tratto del suo corso, prima di confluire nel Po, scorre nell’Oltrepò mantovano.

Oltre al Po, i fiumi principali sono:

Clima[modifica | modifica wikitesto]

Un olivo sul lungolago del comune bresciano di Salò. Sul Lago di Garda è presente un microclima “mediterraneo” che consente la coltivazione dell’olivo e la produzione dell’olio di oliva.

Il clima della Lombardia, per quanto definibile di tipo temperato subcontinentale,[38] si presenta molto variegato a causa delle diverse conformazioni naturali presenti sul territorio: montagne, colline, laghi e pianura.

In genere le stagioni estive in pianura sono afose (a causa della molta umidità) e calde[38]. La continentalità fa sì che la media delle temperature massime nel mese di luglio sia di 29 °C.[39] Ma in questi mesi dell’anno sono anche frequenti forti temporali e improvvisi rovesci accompagnati anche da grandine. Gli inverni sono freddi e lunghi con precipitazioni contenute.[38][40] L’escursione termica nel corso dell’anno è elevata e la nebbia è intensa.[40]

In montagna il clima è tipicamente alpino con estati fresche, abbondanti precipitazioni e inverni lunghi, rigidi e poco piovosi.[40] La Pianura Padana è una delle zone meno ventilate d’Italia[41]. La neve, abbondante sui rilievi, cade anche in pianura, visto che la temperatura media minima in gennaio è di -1 °C.[39]

Il Lago di Garda contribuisce a regolare la temperatura delle zone circostanti, creando un microclima “mediterraneo” che rende possibile la coltivazione dell’olivo e la produzione dell’olio di oliva; anche in altre zone lacustri viene prodotto il cosiddetto “olio lombardo“.[42]

La fascia prealpina e l’alto Oltrepò hanno un clima di tipo temperato fresco, la media montagna alpina un clima temperato freddo e le vette un clima di tipo glaciale.[38]

Come in tutte le zone urbanizzate del pianeta le città lombarde, a causa delle loro grandi dimensioni e della produzione di calore dovuta all’attività umana, hanno dato origine a un innalzamento medio della temperatura locale rispetto alle campagne circostanti, la cosiddetta “isola di calore“.

Le principali stazione meteorologiche che permettono di monitorare il clima della Lombardia e che fanno capo al Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare Italiana sono quelle di Milano Centro, di Milano Linate, di Brescia-Ghedi, di Brescia-Montichiari, di Milano Malpensa e di Bergamo-Orio al Serio.[43]

Geologia[modifica | modifica wikitesto]

I monti della Valtellina.

La struttura geologica della Lombardia deriva dall’orogenesi delle Alpi dovuta alla collisione tra la placca africana e quella europea che ha generato la catena alpina a partire dal Cretaceo superiore fino al Miocene[44].

Dal punto di vista geologico, oltre che geografico, la Lombardia può essere divisa in tre “zone”. La Pianura Padana delimitata a sud dall’Oltrepò Pavese e a nord dalle Alpi, a loro volta suddivise in Alpi Centrali e le Alpi Meridionali (anche dette Sudalpine) dalla Linea Insubrica, che attraversa la Valtellina in direzione est-ovest.

La formazione delle Alpi Orobie ha avuto inizio nel Miocene circa 20 milioni di anni fa; le rocce che formano la catena montuosa sono per lo più di origine metamorfica: gneissmicascisti e filladi[45]. Affiorano rocce di tipo sedimentario lungo lo spartiacque, principalmente conglomerati e arenarie, tra cui il Verrucano lombardo, caratteristico della zona del Pizzo dei Tre Signori.

Particolare cresta seghettata del Resegone visto da Lecco.

In Val Trompia affiora la Formazione di Collio costituita da termini vulcanoclastici: tufi conglomeratici e porfiriti. Questi depositi terrigeni derivano dallo smantellamento di edifici vulcanici situati a sud, nell’attuale area padana. Sono stati riconosciuti da studi petrografici termini vulcanici dacitici e andesitici, tipici degli archi magmatici di tipo Pacifico (come l’attuale Indonesia), che indicano un contesto geodinamico collisionale.

Il Calcare di Domaro è presente estesamente in tutta la regione[46]: in Lombardia orientale, affiora in concordanza stratigrafica sopra il Calcare di Gardone Val Trompia (una formazione composta da calcareniti di origine torbiditica), mentre nel resto della Lombardia, questa formazione poggia sopra il Calcare di Moltrasio (Hettangiano-Carixiano superiore), con una transizione abbastanza rapida (generalmente pochi metri). Nella Lombardia orientale la formazione passa superiormente al Rosso ammonitico lombardo (ToarcianoBatoniano), composto da marne varicolori (verdi-rossastre e violacee) e calcari nodulari rossastri – biancastri.

Il territorio di Lecco si è formato nel periodo che va da 250 a 26 milioni di anni fa. Esso è frutto prima dell’azione orogenetica e poi del modellamento da parte dei ghiacciai e dei fiumi che hanno definito l’attuale orografia. La parte settentrionale della provincia di Lecco appartiene al sistema alpino, il Monte Legnone (2610 m) rappresenta la vetta più elevata ed è caratterizzato dal processo orogenetico. Il resto del territorio montano della provincia è di tipo prealpino ed è diviso da quello alpino dalla Linea Insubrica.

Panorama dell’alta Pianura Padana lombarda nel territorio di Origgio, nell’Altomilanese. Sullo sfondo il Monte Rosa.

La Pianura Padana invece è di origine più recente; formatasi dal deposito di materiale detritico sulla piattaforma continentale, proveniente dall’erosione per opera delle acque superficiali, che ha accompagnato il sollevamento della catena alpina, innalzatasi a ovest e a nord della pianura, e di quella appenninica a sud, che hanno colmato il golfo marino esistente nel pliocene creato dal sollevamento delle due catene montuose[47].

Collocata al centro della Pianura Padana centro settentrionale, l’area in cui si trova Milano e la sua provincia è costituita in superficie da terreni alluvionali quaternari. Questi vengono genericamente indicati come “Diluvium recente” sono costituiti da terreni fluvioglaciali del Riss (fiume) e depositi fluvio glaciali del Wurm; si possono trovare anche terreni alluvionali ghiaioso-sabbiosi nel territorio di Rho terrazzati e classificati come “Alluvium Antico” attribuiti al periodo della glaciazione di Mindel[48].

L’area dell’Oltrepò Pavese appartiene geologicamente alle unità liguri dell’appenino settentrionale, ricoperte dai sedimenti semi alloctoni autoctoni della serie plio-pleistocenica padana.[49]

Ambiente[modifica | modifica wikitesto]

Le aree protette della Lombardia.

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Aree naturali protette della Lombardia.
«Questa terra per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani; è una patria artificiale»
(Carlo Cattaneo)

La Lombardia è stata la prima regione italiana a legiferare sulle aree protette di livello regionale (1983) introducendo concetti innovativi nella tutela del territorio, istituendo parchi fluviali (il primo in Europa fu il Parco naturale lombardo della Valle del Ticino nel 1974)[50], parchi agricoli e parchi locali; tutte idee e approcci usati anche nella legislazione nazionale (legge n. 394 del 1991). Il sistema delle aree protette lombardo consta di 24 parchi regionali (su 26 parchi individuati dalla legge n. 86/83), 65 riserve[51] e 30 monumenti naturali,[52] oltre alla presenza del Parco nazionale dello Stelvio. In totale le aree protette ricoprono più del 29% del territorio regionale.

La flora e la fauna vivono principalmente nelle zone di montagna dove, a differenza della pianura, la presenza dell’uomo è meno evidente. Basta una passeggiata lungo i sentieri delle montagne della Lombardia per vedere liberi lupistambecchicervicapriolicamoscileprivolpitassigalli forcellifrancolini di monteermellini e marmotte.

Inoltre la Lombardia condivide con la Svizzera il sito del Monte San Giorgio, inserito nel patrimonio mondiale dell’umanità[53] per l’eccezionale valore paleontologico dei depositi fossiliferi che si trovano nelle rocce della montagna.

Quanto ai rifiuti, in Lombardia nel 2014 sono state prodotte 4.642.000[54] tonnellate di materiale di scarto, di cui il 56,3% è stato raccolto con la raccolta differenziata[55].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Lombardia.

La Gallia Cisalpina, nome attribuito dai romani all’Italia settentrionale.

Il Nord Italia in epoca romana, suddiviso nelle regioni augustee. Tra esse c’era Regio XI Transpadana, che aveva come capitale Mediolanum, ovvero Milano.

Pontida: lapide in ricordo della Lega Lombarda.

Il re Alboino, che fece di Pavia la capitale del Regno Longobardo.

Stemma dei Visconti, signori di Milano.

Il Regno d’Italia napoleonico, avente come capitale Milano, nel 1807, quando includeva anche l’Istria e la Dalmazia.

Incoronazione di Napoleone Re d’Italia avvenuta nel Duomo di Milano.

Carta del Regno Lombardo-Veneto, 1815-1866.

Il corpo di Benito Mussolini appeso a piazzale Loreto a Milano, 1945.

L’ esplosione della Strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974.

Nella pianura lombarda sono stati trovati vari oggetti che testimoniano la diffusione in essa già nel III millennio a.C. dell’uomo[56], già presente almeno dal pleistocene in area prealpina[57].

Le prime civiltà che si svilupparono furono quella Camuna (nel Neolitico) e la cultura di Golasecca (Età del bronzo). L’area lombarda centro-orientale fu interessata da un’influenza etrusca attorno al V secolo a.C. In seguito, nel IV secolo a.C., la regione fu invasa da varie genti Galliche, che daranno vita alle confederazioni degli Insubri, nella Lombardia occidentale dove daranno luogo alla fondazione di Milano, e dei Cenomani, nella Lombardia orientale e nell’area del basso Garda e delle rive del Po.

Sul finire del III secolo a.C. gli antichi Romani incominciarono la conquista della Pianura Padana, scontrandosi con i Galli Insubri, mentre i Galli Cenomani furono fin dall’inizio loro alleati. La provincia diede in seguito i natali a celebri esponenti della cultura latina, quali Plinio a Como e Virgilio a Mantova.

Negli ultimi secoli dell’Impero Romano d’OccidenteMilano (Mediolanum) accrebbe notevolmente la propria importanza di centro politico e religioso (con l’episcopato di sant’Ambrogio), tanto che divenne una delle sedi dei tetrarchi al tempo di Costantino, il quale nel 313 d.C. emanò un editto chiamato editto di Milano, tramite cui si concedeva a tutti i sudditi la libertà di professare la propria religione, anche ai cristiani, fino ad allora esclusi da tale diritto.[58]

Alla caduta dell’Impero romano d’Occidente sono i barbari a dominare la Lombardia: prima arrivano gli Eruli di Odoacre (476-493), poi gli Ostrogoti di Teodorico il Grande (493-553). La Lombardia ritornò poi a far parte dell’Impero romano (questa volta dell’Impero bizantino) dopo la Guerra gotica, che durò circa 20 anni e che flagellò l’Italia intera. Dopo pochi anni di dominio imperiale bizantino, nel 568 i Longobardi attaccarono e conquistarono gran parte dell’Italia, ponendo la loro capitale a Pavia.[59]

È proprio in questo periodo che si iniziò a chiamare con il termine Langobardia i territori occupati dai Longobardi[60], ossia gran parte della Pianura Padana e l’attuale Toscana (Langobardia Maior) e i ducati di Spoleto e Benevento nell’Italia centrale e meridionale (Langobardia Minor).[61][62] Nel VII secolo il termine “Lombardia” prese a designare specificatamente il territorio dell’attuale regione, detta in precedenza Liguria o Neustria, anche se continuò ancora per alcuni secoli a designare in senso lato l’intera Italia centro-settentrionale.[60]

Nel 774 il re dei Franchi Carlo Magno – disceso in Italia l’anno precedente, su invito del pontefice Adriano I minacciato dai Longobardi – conquistò Pavia, portò prigioniero in Gallia re Desiderio e si autoproclamò re dei Franchi e dei Longobardi, mentre fregiava del titolo di re d’Italia il proprio secondo figlio maschio Pipino. Il dominio franco diede inizio alla struttura politica feudale che caratterizzò l’Alto Medioevo.

Nella Pianura Padana del Basso Medioevo cominciò a diffondersi un modello politico nuovo: il comune medievale, protagonista di un ripopolamento delle città. Nel 1176 la Lega Lombarda sconfisse le truppe dell’imperatore Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano. La pace di Costanza del 1183 sancì nel contempo la formale ubbidienza dei comuni all’imperatore e il sostanziale riconoscimento delle autonomie comunali da parte del sovrano. A partire dal XIII secolo il modello comunale entrò in crisi e venne presto soppiantato dalle nascenti Signorie: i Gonzaga a Mantova,[63] i Visconti e poi gli Sforza a Milano.[64]

Nella seconda metà del Medioevo, in quella che veniva chiamata Lombardia (ovvero l’Italia del nord) cominciarono a differenziarsi la parte meridionale (Toscana) e quella orientale (Marca Trevigiana, Marca Veronese): il termine “Lombardia”, da allora in poi, cominciò a identificare ormai solo la parte della Pianura Padana situata a nordovest del fiume Mincio, soprattutto i territori soggetti al dominio dei Visconti prima e degli Sforza poi. Nel XV secolo la Lombardia divenne nuovamente terra di conquista: prima arrivarono i Veneziani da est, poi i Francesi rivendicarono la restante parte del Ducato di Milano che poi fu ceduto, dopo lunghi anni di guerra, agli Spagnoli che vi rimasero a lungo, formalmente ancora sotto l’egida del Sacro Romano Impero.

Durante questa dominazione la regione conobbe, dopo un primo periodo di prosperità, una progressiva decadenza, aggravata nel XVII secolo da epidemie di peste. Nel 1714 il Ducato di Milano, in seguito alla guerra di successione spagnola passò per eredità dagli Asburgo di Spagna agli Asburgo d’Austria; infine gli austriaci ottennero anche il ducato di Mantova.

La parte orientale della regione, annessa veneziano nel corso del XV secolo, comprendeva i territori di BergamoCremaBrescia e Salò, che seguirono dunque una storia in diversa dal resto della regione fino al 1797, quando la Lombardia conobbe nuovamente, dopo secoli di divisione, l’unità politica e amministrativa sotto l’egida di Napoleone Bonaparte.

Dopo l’esperienza della Repubblica Transpadana, della Repubblica Cisalpina, del Regno d’Italia (di cui Milano fu formalmente la capitale con Napoleone Bonaparte re d’Italia), tutti Stati dipendenti dalla Francia napoleonica, la Restaurazione creò il Regno Lombardo-Veneto nuovamente sotto gli Asburgo d’Austria.

La Lombardia fu poi un importante centro del Risorgimento, con le Cinque giornate di Milano del marzo 1848 e il successivo plebiscito, le Dieci Giornate di Brescia del 1849, i Martiri di Belfiore a Mantova negli anni tra il 1851 e il 1853. L’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna avvenne in seguito alla seconda guerra di indipendenza nel 1859, guerra durante la quale la Lombardia fu il principale teatro di battaglia (battaglie di MontebelloPalestroMagentaSolferino e San Martino e San Fermo). Nel 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, la Lombardia entrò a far parte del moderno Stato italiano. Per quanto riguarda la battaglia di Solférino, fu durante questo conflitto che Henry Dunant ha preso l’iniziativa di creare la Croce Rossa.

Il fronte alpino della prima guerra mondiale attraversò il versante alpino lombardo orientale, e nel primo dopoguerra Milano fu il centro dei Fasci italiani di combattimento. Milano divenne poi Medaglia d’Oro al Valor Militare per la Resistenza dopo la sua liberazione dal Fascismo durante la seconda guerra mondiale, mentre la Resistenza partigiana si spargeva nelle valli e nelle province.

Negli anni del boom economico, Milano fu uno dei poli del “triangolo industriale” dell’Italia del nord. Gli anni di piombo ebbero ampia rilevanza in Lombardia, con la strage di piazza Fontana a Milano nel 1969 e la strage di Piazza della Loggia a Brescia nel 1974.

Negli anni ottanta del XX secolo Milano divenne simbolo della crescita economica, “capitale morale” dell’Italia, e simbolo del rampantismo economico-finanziario della “Milano da bere“, mentre il gruppo socialista milanese di Bettino Craxi era al governo nazionale.

Lo scandalo di Tangentopoli e l’inchiesta di Mani pulite si sono svolti principalmente a Milano. Nel vuoto lasciato dalla crisi della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista Italiano è cresciuta una nuova classe politica lombarda, incarnata da una parte dallo spirito autonomista della Lega Lombarda, poi diventata Lega Nord, e dall’altro dall’ideale imprenditoriale di Forza Italia, che è molto radicata nel capoluogo.

Società[modifica | modifica wikitesto]

Evoluzione demografica[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Demografia della Lombardia e Area metropolitana di Milano.

Milano di notte, fotografia dallo spazio.

Con i suoi dieci milioni di residenti (10.019.166 al 1º gennaio 2017)[65] la Lombardia è la regione più popolosa d’Italia, e tra le prime in Europa; superiore alla popolazione dell’Austria e della Svizzera, doppia rispetto alla Norvegia e pari a quella del Portogallo, è molto vicina a quella delle grandi regioni europee della Renania Settentrionale-VestfaliaBavieraÎle de France e Baden-Württemberg, che superano di poco i 12 milioni di abitanti.

I lombardi costituiscono il 16,36% della popolazione nazionale e vivono sul 7,9% del territorio italiano, dando origine a una densità demografica di 415,93 ab./km² (rispetto ai 201,24 ab./km² della media italiana)[66], seconda solo a quella della Campania. L’ente di area vasta più popolato è la città metropolitana di Milano (secondo in assoluto in Italia), seguita dalle province di Brescia e Bergamo (rispettivamente al 6º e 9º posto in ambito nazionale), mentre il meno abitato è la provincia di Sondrio.

La popolazione maschile (4.886.543 ab.) costituisce il 48,8% della popolazione regionale mentre quella femminile (5.121.806 ab.) il 51,2%.[65] Nel 2014 il tasso di crescita naturale in Lombardia è stato dello 0,3% ab.; il tasso migratorio interno dell’1,4‰ e quello estero del 4,4‰[67]. La speranza di vita alla nascita nel 2015 era di 80,5 anni per i maschi e 85,2 per le femmine[68].

La popolazione straniera presente in Lombardia è di 1.149.011 abitanti (al 1º gennaio 2016) pari al 11,5% della popolazione lombarda, costituendo quasi un quarto (22,9%) di quella presente nell’intera Italia. Verso la fine dello scorso secolo, in Lombardia così come in Italia, è cominciato un flusso migratorio proveniente da paesi extraeuropei e in particolare dall’Africa, dall’Asia, dal Sud America e dall’Europa dell’Est.[69] Il fenomeno migratorio è tuttora in atto, ed è fonte di dibattito a livello istituzionale e popolare. La popolazione della sola città di Milano, tra il 2008 e il 2009, è incrementata di circa 12.000 abitanti. Nello stesso periodo la popolazione straniera a Milano è cresciuta di 16.000 abitanti: ciò significa che gli abitanti con cittadinanza italiana sono diminuiti di 4.000 unità.

La presenza umana sul territorio è caratterizzata da una grande disomogeneità in quanto è fortemente concentrata nella fascia pedemontana tra le province di VareseComoLeccoMonza e Brianza e soprattutto Brescia e Bergamo e nella Città metropolitana di Milano.[66] Questo territorio comprende più di 6,5 milioni di abitanti ed è caratterizzato da una fitta urbanizzazione che viene chiamata in modo metaforico la “Città Infinita[70]. La popolazione, invece, cala lentamente in densità andando verso la bassa pianura e, più bruscamente, verso la montagna ma non nelle maggiori vallate alpine.

Comuni più popolosi[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Modifiche territoriali e amministrative dei comuni della Lombardia.

Di seguito la tabella riporta la popolazione residente nei comuni della Lombardia con più di 40.000 abitanti:[71] e la foto di quelle con più di 80.000.

Dati aggiornati al 31 marzo 2018
Posizione Posizione
in Italia
Comune Popolazione
(ab.)
Superficie
(km²)
Densità
(ab./km²)
Provincia o Città metropolitana
1° Stemma Milano 1 404 239 181,76 7 408,11 Milano Milano
16° Stemma Brescia 200 423 90,34 2 175,01 Brescia Brescia
33° Stemma Monza 124 051 33,09 3 707,52 Monza e Brianza Monza e Brianza
37° Stemma Bergamo 122 248 40,16 2 972,79 Bergamo Bergamo
60° Stemma Como 85 820 37,12 2 276,39 Como Como
62° Stemma Busto Arsizio 84 031 30,66 2 710,55 Varese
68° Stemma Sesto San Giovanni 81 515 11,70 6 975,46 Milano Milano
69° Stemma Varese 80 397 54,84 1 473,36 Varese
75° Stemma Cinisello Balsamo 76 389 12,72 5 900,36 Milano Milano
10° 78° Stemma Pavia 72 871 63,24 1 147,54 Pavia Pavia
11° 79° Stemma Cremona 72 057 70,49 1 019,95 Cremona Cremona
12° 96° Stemma Vigevano 63 134 81,37 778,10 Pavia Pavia
13° 105° Stemma Legnano 60 339 17,68 3 408,73 Milano Milano
14° 136° Stemma Gallarate 53 491 20,98 2 542,25 Varese
15° 143° Stemma Rho 50 871 22,24 2 267,37 Milano Milano
16° 156º Stemma Mantova 49 398 63,81 762,78 Mantova Mantova
17° 161º Stemma Lecco 48 562 45,14 1 063,45 Lecco Lecco
18° 163º Stemma Cologno Monzese 47 749 8,40 5 709,34 Milano Milano
19° 167º Stemma Paderno Dugnano 46 434 14,11 3 304 Milano Milano
20° 168º Stemma Lissone 46 398 9,30 4 832,56 Monza e Brianza Monza e Brianza
21° 180º Stemma Lodi 45 452 41,38 1 086,17 Lodi Lodi
22° 181º Stemma Seregno 45 217 13,05 3 422,82 Monza e Brianza Monza e Brianza
23° 187º Stemma Rozzano 42 467 12,24 3 469,19 Milano Milano
24° 194º Stemma Desio 41 864 14,76 2 837,06 Monza e Brianza Monza e Brianza
25° 198º Stemma Cantù 40 016 23,25 1 716,86 Como Como

Nota: in grassetto i capoluoghi di provincia

Etnie e minoranze straniere[modifica | modifica wikitesto]

Al 1º gennaio 2019, secondo i dati Istat, i cittadini stranieri residenti nella regione sono 1.181.772 (11,7% della popolazione lombarda)[72]. I gruppi più numerosi censiti al 1º gennaio 2019 sono[72]:

Politica[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Regionalismo (Italia).

La Lombardia è una Regione a statuto ordinario della Repubblica Italiana. La Regione Lombardia, come le altre regioni d’Italia a statuto ordinario, sono state previste sin dal 1948 dagli articoli 114 e 115 della Costituzione della Repubblica Italiana, ma solo con la legge n. 281 del 16 maggio 1970 avente per oggetto “Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”, con cui si è dato avvio al processo di decentramento amministrativo previsto dall’articolo 5 e dall’articolo 118 della Costituzione, furono attuate le loro funzioni.

Le ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale si sono svolte il 4 marzo 2018. Il 22 ottobre del 2017 la Lombardia è stata chiamata a votare per un referendum consultivo riguardante la possibilità per la regione di richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato. Questo voto, il primo in Italia con modalità digitale, ha visto la partecipazione al voto di 3.017.707 elettori (pari al 38,34% degli aventi diritto) e il SÌ ha vinto con una percentuale del 95,29%.[73]

Suddivisione amministrativa[modifica | modifica wikitesto]

Il territorio lombardo è caratterizzato da un tessuto amministrativo molto fitto e frazionato: basti pensare che la regione è suddivisa in dodici enti di area vasta (11 province e 1 città metropolitana) e 1 506 comuni che la rendono la regione con più enti locali in Italia. La provincia più estesa è quella di Brescia, la più piccola quella di Monza e della Brianza. I capoluoghi della provincia di Monza e della città metropolitana di Milano distano tra loro solo 15 km. Una peculiarità di questa regione è data dall’exclave di Campione d’Italia, comune che amministrativamente appartiene alla provincia di Como, ma è che interamente circondato da territorio elvetico del Canton Ticino. La moneta abitualmente utilizzata a Campione è il franco svizzero.

Elenco delle province e delle metropoli della Lombardia. Dati aggiornati al 31 ottobre 2017, Presidenti all’attuale esecutivo.
Provincia o Città metropolitana Sigla Stemma Popolazione
(ab.)
Superficie
(km²)
Densità
(ab./km²)
Comuni
(n°)
Presidente Area politica Mappa Immagine Sito
Bergamo Bergamo BG Provincia di Bergamo-Stemma.png 1 110 457 2 755 404 243 Gianfranco Gafforelli CP Map of comune of Bergamo (province of Bergamo, region Lombardy, Italy).svg GiorcesPrefetturaBG1.JPG Bergamo
Brescia Brescia BS Provincia di Brescia-Stemma.png 1 262 135 4 786 264 206 Samuele Alghisi PD Map of comune of Brescia (province of Brescia, region Lombardy, Italy).svg Cortile del Broletto lato Nord a Brescia.jpg Brescia
Como Como CO Provincia di Como-Stemma.png 599 637 1 279 469 160 Fiorenzo Bongiasca Indipendente Map of comune of Como (province of Como, region Lombardy, Italy).svg Villa-Saporiti.jpg Como
Cremona Cremona CR Provincia di Cremona-Stemma.png 358 578 1 770 202 115 Paolo Mirko Signoroni[74] Centro-sinistra Map of comune of Cremona (province of Cremona, region Lombardy, Italy).svg Cremona Duomo.jpg Cremona
Lecco Lecco LC Provincia di Lecco-Stemma.png 337 256 806 419 85 Claudio Usuelli Centro-destra Map of comune of Lecco (province of Lecco, region Lombardy, Italy).svg Lecco municipio.JPG Lecco
Lodi Lodi LO Provincia di Lodi-Stemma.svg 229 946 783 293 61 Francesco Passerini Lega Map of comune of Lodi (province of Lodi, region Lombardy, Italy).svg Palazzo San Cristoforo Lodi.jpg Lodi
Mantova Mantova MN Provincia di Mantova-Stemma.png 411 959 2 341 176 70 Beniamino Morselli Lista civica di centro sinistra Map of comune of Mantua (province of Mantua, region Lombardy, Italy).svg Mantova - Piazza delle Erbe.jpg Mantova
Milano Milano MI Provincia di Milano-Stemma.png 3 233 541 1 576 2049 134 Giuseppe Sala PD Map of comune of Milan (province of Milan, region Lombardy, Italy).svg Milano - palazzo Isimbardi - facciata.jpg Milano
Monza e Brianza Monza e Brianza MB Provincia-Monza-Brianza-stemma.svg 871 523 405 2149 55 Luca Santambrogio Lega Map of comune of Monza (province of Monza and Brianza, region Lombardy, Italy).svg Palazzo della Provincia Monza.jpg Monza
Pavia Pavia PV Provincia di Pavia-Stemma.png 545 611 2 969 184 188 Vittorio Poma Forza Italia Map of comune of Pavia (province of Pavia, region Lombardy, Italy).svg 861PaviaPalProvincia.JPG Pavia
Sondrio Sondrio SO Provincia di Sondrio-Stemma.png 181 249 3 196 57 78 Elio Moretti Lista civica Map of comune of Sondrio (province of Sondrio, region Lombardy, Italy).svg 966SondrioPalGoverno.JPG Sondrio
Varese VA Provincia di Varese-Stemma.png 890 418 1 198 743 141 Emanuele Antonelli Centro-destra Map of comune of Varese (province of Varese, region Lombardy, Italy).svg Varese Palazzo Estense.jpg Varese

Il Presidente della regione[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Presidenti della Lombardia.

Palazzo Lombardia, sede della regione, visto da piazza Gae Aulenti, a Milano.

Il Presidente della Giunta regionale è il rappresentante della regione, ha il compito di gestire e coordinare la Giunta regionale della Lombardia, promulga le leggi regionali ed emana i regolamenti. L’attuale presidente della regione, Attilio Fontana, è stato eletto per tale incarico alle elezioni regionali del 2018.

La Giunta regionale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Giunta regionale della Lombardia.

L’organo esecutivo della Regione è la Giunta regionale, che è composta dal Presidente della Giunta e dagli assessori. Tra i suoi compiti ci sono:

La Giunta regionale lombarda ha sede nel Palazzo Lombardia, che è situato a Milano su un’area di 33.700 metri quadrati compresa tra le vie Melchiorre Gioia, Restelli, Algarotti e Galvani.

Il Consiglio regionale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Consiglio regionale della Lombardia.

Il Consiglio regionale della Lombardia è l’assemblea legislativa della regione. Promulga le leggi e i regolamenti di competenza dell’ente. Ha approvato lo statuto d’autonomia della Lombardia e ha il compito di approvare il bilancio regionale e di proporre leggi alla Camera dei deputati. Il consiglio ha sede nel Grattacielo Pirelli e consta di 80 seggi.

Economia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Quattro motori dell’Europa e Industria preunitaria lombarda.

quattro motori dell’Europa (in blu chiaro) rispetto all’Unione europea: la Lombardia, il Baden-Württemberg, la Catalogna e l’Alvernia-Rodano-Alpi.

La Lombardia è la prima[75] regione d’Italia, per importanza economica[76], contribuendo a circa un quinto (21,69% nel 2014) del prodotto interno lordo nazionale.[77] Inoltre ospita molte delle maggiori attività industriali, commerciali e finanziarie del Paese, e il suo reddito pro capite supera del 27,9% il corrispondente valore calcolato a parità di potere d’acquisto standard per l’Unione europea[78].

La Lombardia, insieme con Baden-Württemberg (che si trova in Germania), Catalogna (Spagna) e Alvernia-Rodano-Alpi (Francia), fa parte del gruppo definitosi quattro motori dell’Europa.[79] Inoltre è parte del cosiddetto cuore economico d’Europa e Milano è, unitamente a LondraAmburgoFrancoforteMonaco di Baviera e Parigi, una delle sei capitali economiche europee.[80]

Macro-economia[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo Mezzanotte di Milano, sede della Borsa Italiana.

Il PIL ai prezzi correnti (2014) della Lombardia ammonta a 350.024,68 milioni di euro, circa il 21,7% del PIL italiano che corrisponde a 1.613.859,1 milioni di euro.[77] È la seconda regione d’Europa per PIL e la 61ª per PIL pro-capite[81].

Il PIL pro-capite della regione nel 2014 è stato di 35.044,17 di euro contro i 26.548,49 euro della media italiana.[82] L’andamento del Pil regionale negli ultimi anni ha seguito la dinamica innescata dalla grande recessione, che è incominciata nel 2007: in crescita fino al 2008, nel 2009 ha registrato una forte caduta, parzialmente recuperata tra 2010 e 2011 per poi diminuire nuovamente dal 2012.[77]

Gli occupati effettivi in Lombardia, nel 2018, sono il 67% della forza lavoro: il 65,8% impiegato nei servizi, il 32,4% nell’industria (comprese le costruzioni) e il rimanente 1,9% nell’agricoltura[83]; il tasso di disoccupazione, nel 2018, si attesta al 6% ed è uno tra i più bassi d’Italia.

In Lombardia, nel 2015, l’importo annuo pensionistico totale è stato di 39.959 milioni di euro[84].

In Lombardia l’entità dei depositi in banca al 31 dicembre 2016 è di 308.084 milioni di euro e si contano 5.881 sportelli bancari[85]. Infine, nel 2013, sono state autorizzate 109.310.822 ore di CIG ordinaria, 113.102.850 ore di CIG straordinaria e 47.620.186 ore di CIG in deroga.[86]

Macro-settori economici[modifica | modifica wikitesto]

Pietro Ronzoni – Filanda nel bergamasco (1820 ca.).

Suddivisione del PIL regionale della Lombardia in settore primario (agricoltura), settore secondario (industria) e settore terziario (servizi).

L’economia della Lombardia è caratterizzata da una grande varietà di settori in cui essa è sviluppata. Si va dai settori tradizionali, come l’agricoltura e l’allevamento, all’industria pesante e leggera, ma anche il terziario ha avuto un forte sviluppo negli ultimi decenni.

L’agricoltura lombarda è stata la base dello sviluppo economico della regione. Per prima è stata investita dal processo di meccanizzazione e ristrutturazione. La meccanizzazione, grazie all’utilizzo di macchinari sempre più complessi, ha portato a un incremento della produzione agricola mentre la ristrutturazione del territorio, attraverso la costruzione e ammodernamento di canali e la bonifica delle zone paludose ha permesso di migliorare la qualità della produzione agricola. Tuttavia la produzione agricola copre solo il 60% del fabbisogno della regione.[87]

L’agricoltura della regione verte principalmente sulla produzione di cereali (maisrisofrumento), ortaggifrutta (pere e meloni) e vino.[88] Molto sviluppata è la produzione di foraggi, usati per l’allevamento di bovini e suini.

In Lombardia, come in altre regioni d’Italia, a cavallo della fine del XIX e inizi del XX secolo ebbe impulso la meccanizzazione dell’attività molitoria.

Si trovano citati i seguenti 38 molini nel catalogo del 1908 della Società Anonima Meccanica Lombarda di Monza.

Scorcio del mulino Meraviglia di San Vittore Olonamulino ad acqua sul fiume Olona.

Un padiglione della Fiera di Milano

L’allevamento è una voce economica rilevante in Lombardia. Nel 2015 si contavano infatti 1.430.000 bovini e bufalini, 103.000 caprini, 55.000 equini, 4.046.000 suini e 113.000 ovini[89]. Nei laghi e nei bacini artificiali lombardi, infine, sono state pescate, nel 2009, 980,3 tonnellate di pesce.[90]

L’industria è dominata da imprese di piccole e medie dimensioni, perlopiù a conduzione familiare, ma anche da grandi aziende. È fiorente in molti settori, particolarmente in quelli meccanicoelettronicometallurgicotessilechimico e petrolchimicofarmaceuticoalimentareeditorialecalzaturiero e del mobile.[91] A Milano e provincia sono concentrate circa il 26% delle imprese dell’industria lombarda[92].

Nel terziario, rilevante è il peso del commercio e della finanza. A Milano hanno sede anche la Borsa Italiana,[93] tra le principali piazze finanziarie europee, e la Fiera di Milano,[94] che a oggi è il più grande spazio espositivo d’Europa. Importanti sono anche le attività bancarie, dei trasporti, della comunicazione e dei servizi alle imprese. Il turismo (delle città d’arte, delle montagne e dei laghi) ha un peso sempre più significativo.[95]

Per quanto riguarda il commercio e la distribuzione di beni di consumo alla popolazione, la Lombardia conta 1.656 supermercati, più di qualunque altra regione italiana, a cui vanno aggiunti 398 grandi magazzini, 164 ipermercati e 613 minimercati[96].

Dati economici[modifica | modifica wikitesto]

PIL e PIL procapite della Lombardia dal 2000 al 2015
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Prodotto Interno lordo
(Milioni di euro)[77]
247.051,8 259.431,0 270.653,3 279.450,4 289.471,2 297.600,4 307.717,7 320.843,8 323.973,3 310.952,0 346.797 354.342 348.665,0 349.008,0 350.025 357.200
PIL ai prezzi di mercato per abitante[82]
(Euro)
27.488,1 28.765,6 29.836,9 30.448,8 31.059,5 31.545,2 32.356,3 33.442,5 33.424,8 31.743,1 35.712,55 36.220,23 35.367,31 35.126,67 35.044,17 35.700
Tasso di disoccupazione della Lombardia dal 2000 al 2018.[97][98]
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018
Numero dei disoccupati in percentuale 3,94 3,33 3,34 3,57 4,05 4,09 3,7 3,43 3,73 5,36 5,6 5,77 7,48 8,09 8,19 7,87 7,4 6,4 6,0
Valore aggiunto della Lombardia ai prezzi correnti nel 2013.[77]
Valore aggiunto (dati grezzi) milioni di euro in Lombardia % settore su totale regionale in Lombardia % settore su totale nazionale in Italia
T: totale attività economiche 313.054,11 100,0% 100%
A: agricoltura, silvicoltura e pesca 3.488,27 1,1% 2,3%
BTF: attività estrattiva, attività manifatturiere, fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata, fornitura di acqua, reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento, costruzioni 83.945,42 26,8% 23,6%
F: costruzioni 14.352,72 4,6% 5,1%
GTU: servizi 225.620,42 72,1% 74,1%

Energia[modifica | modifica wikitesto]

In Lombardia, nel 2015, il consumo di energia elettrica per abitante è ammontato a 6.374 Wh. Nello stesso anno, la produzione lorda di energia ha raggiunto i 41 GWh ogni 10.000 abitanti e il 26% dei consumi di elettricità è stato coperto da energia proveniente da fonti rinnovabili[99]. Gli impianti idroelettrici sono 488, quelli termoelettrici 1056, quelli eolici 7 e quelli fotovoltaici 94.202[100]. La lunghezza delle linee elettriche nella regione nel 2014 è di 3.867,8 km, di cui 2190,8 km a 220 kV e 1.677 km a 380 kV[101].

Turismo[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Turismo in Lombardia e Lista dei patrimoni dell’umanità in Italia.

La Pinacoteca di Brera a Milano, uno tra i musei più visitati della Lombardia.

Nella più dinamica e trafficata delle regioni italiane non è possibile, sulla base delle cifre, distinguere il turista in senso stretto da quello che viaggia per affari[102]. Nel 2014 si sono registrati 14.091.530 arrivi e 34.293.526 presenze. I non residenti hanno contribuito al 51,8% degli arrivi e al 57,4% delle presenze[103].

Tra le bellezze naturali vanno annoverati al primo posto i laghi prealpini sulle cui sponde ville patrizie, orti, giardini, terrazze e borghi antichi si alternano a fitti nuclei di seconde case[102]. Le località rivierasche sono collegate da rotte di navigazione di linea. Villa d’Este a Cernobbio e altre ville del comasco ospitano personaggi di fama mondiale: magnati della finanza, star del cinema, scrittori, capi di Stato, cantanti e stilisti[104].

Altri importanti flussi turistici interessano le vallate alpine (in particolare la Valtellina)[105] e le numerose città storico-artistiche, ricche di monumenti e di testimonianze del Medioevo e del Rinascimento[106].

L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, conservata all’interno della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano.

Statue del Sacro Monte di Varese.

Tra i luoghi maggiormente visitati bisogna ricordare la Pinacoteca di Brera (336.981 visitatori), l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (330.071), il Museo Archeologico di Sirmione con le Grotte di Catullo (216.612), il Castello Scaligero (202.066)[107] e Villa Carlotta (170.260)[108].

Rilevanti dal punto di vista turistico sono anche i dieci patrimoni mondiali dell’umanità riconosciuti dall’UNESCO presenti in Lombardia, che la portano a essere la regione italiana con il maggiore numero di siti di questo tipo[109][110][111]:

Trasporti, mobilità e telecomunicazioni[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Trasporti in Lombardia.

Aeroporto di Milano-Malpensa, secondo scalo in Italia per numero di passeggeri. Prende il nome dalla Cascina Malpensa.

Arrivare in Lombardia è relativamente agevole grazie ai collegamenti nazionali e internazionali di cui gode la regione, centrati principalmente sulla città di Milano.

Aeroporti[modifica | modifica wikitesto]

La Lombardia gode di uno dei migliori sistemi aeroportuali della nazione. Il sistema aeroportuali lombardo si sviluppa principalmente lungo la fascia pedemontana e consta di quattro aeroporti (Milano-MalpensaMilano-Linate,[115] Bergamo-Orio al Serio e Brescia-Montichiari).

L’aeroporto intercontinentale di Malpensa ha un ruolo preminente e gestisce la maggior parte del traffico merci e passeggeri della regione; l’aeroporto di Linate svolge invece il compito di “City airport” del capoluogo, mentre quello di Orio al Serio è la base dei collegamenti low-cost nazionali e internazionali e di diversi corrieri merci[116]. Al contrario l’aeroporto di Montichiari si è specializzato sui voli cargo a lungo raggio, sui voli postali e charter[117], benché disponga, in maniera seppur limitata, anche di voli di linea nazionali e internazionali per passeggeri[118][119].

Troviamo, infine, l’aeroporto di Milano-Bresso, impiegato per voli turistici, diversamente da quello di Brescia-Ghedi, adibito a uso militare e sede del 6º Stormo dell’Aeronautica Militare.

Strade e autostrade[modifica | modifica wikitesto]

Rete autostradale lombarda
(Le lunghezze qui sotto indicate si intendono per la sola tratta lombarda delle autostrade)
Numero Autostrada Lunghezza
(km)
Fonti
Autostrada A1 Italia.svg Milano-Napoli 56
Autostrada A4 Italia.svg Torino-Trieste 155 [120]
Autostrada A7 Italia.svg Milano-Genova 50,3 [121]
Autostrada A8 Italia.svg Milano-Varese 42,6 [122]
Autostrada A8-A26 Italia.svg Diramazione Gallarate-Gattico 14 [123]
Autostrada A9 Italia.svg Lainate-Como-Chiasso 31,5
Autostrada A21 Italia.svg Torino-Piacenza-Brescia 89,7 [124]
Autostrada A21racc Italia.svg Raccordo Autostradale Ospitaletto-Montichiari 29 [125]
Autostrada A22 Italia.svg Autostrada del Brennero 37,6 [126]
Autostrada A35 Italia.svg BreBeMi 62,1 [127]
Autostrada A36 Italia.svg Autostrada Pedemontana Lombarda 21
Autostrada A50 Italia.svg Tangenziale Ovest di Milano 31,5 [128]
Autostrada A51 Italia.svg Tangenziale Est di Milano 30,1 [129]
Autostrada A52 Italia.svg Tangenziale Nord di Milano 12,9 [130]
Autostrada A53 Italia.svg Bereguardo-Pavia 9,1 [131]
Autostrada A54 Italia.svg Tangenziale Ovest di Pavia 8,4 [132]
Autostrada A58 Italia.svg Tangenziale Est Esterna di Milano 32 [133]
Autostrada A59 Italia.svg Tangenziale di Como 3
Autostrada A60 Italia.svg Tangenziale Sud di Varese 4,5 [134]
Italian traffic signs - autostrada.svg Totale 722,3 [135]

L’autostrada A35, nota anche con la sigla BreBeMi, all’altezza dell’uscita di Treviglio, in provincia di Bergamo.

La Lombardia possiede una rete stradale e autostradale ben sviluppata (721 km di autostrade, 9.311 km di strade regionali e provinciali, 951 km di altre strade di interesse nazionale[136] e 4.922 km di strade comunali[136]) e connessa con le principali città italiane (esempio: la A1 collega Milano a BolognaFirenzeRoma e Napoli, la A4 attraversa la Lombardia unendola a TorinoVenezia e Trieste) e con l’Europa attraverso la Svizzera. Dal luglio 2014 la A35 BreBeMi collega la città di Milano a Brescia passando per la bassa bergamasca.

Per il futuro è previsto il completamento della Pedemontana Lombarda[137] che unirà l’A4 (dal casello di Dalmine) a Lecco, Monza, Como e Malpensa.

Inoltre la provincia di Mantova è attraversata dall’A22 Modena-Brennero[138] (percorso europeo E45) che collega la Pianura Padana all’Austria e alla Germania.

Ferrovie[modifica | modifica wikitesto]

Facciata della stazione di Milano Centrale.

Un treno TiLo fermo alla stazione di Gallarate, in provincia di Varese.

La rete ferroviaria regionale è abbastanza capillare ed è gestita per la maggior parte da RFI e Ferrovienord, anche se è presente una piccola porzione della rete FER. Il servizio ferroviario regionale lombardo è gestito da Trenord,[139] una società nata il 3 maggio 2011 dalla confluenza della divisione lombarda di Trenitalia (50%) e del Gruppo FNM (50%) (società il cui maggiore azionista è la Regione Lombardia, che controlla il 57,57% delle azioni[140]), per organizzare in modo più efficace il trasporto ferroviario della regione.[141]

Non mancano i numerosi servizi lunga percorrenza (InterCity e InterCity notte) e alta velocità ferroviaria (FrecciarossaFrecciargento e Frecciabianca) gestiti da Trenitalia, e alta velocità Italo gestiti da NTV. Vi sono inoltre numerosi collegamenti di tipo regionale e regionale veloce operati da Trenitalia e T-PER nell’ambito dei contratti con le regioni confinanti. Infine la regione è ben collegata al network alta velocità internazionale grazie ai collegamenti TGV per ParigiThello per NizzaFFS per la Svizzera, sia via Gottardo sia via Sempione e ad alcuni Euronight notturni per l’Austria e la Germania.

La rete ferroviaria lombarda ha come principale stazione di riferimento Milano Centrale (gestita da Grandi Stazioni S.p.A., società il cui 60% delle azioni appartiene a Ferrovie dello Stato[142]); seguono per importanza (e numero di passeggeri) Milano Cadorna (gestita da Ferrovienord[143]), Milano Porta GaribaldiMilano Rogoredo e la Stazione di Brescia (le ultime 3 gestite da Centostazioni). È inclusa nel sistema ferroviario regionale la tratta lombarda della linea Ferrara-Suzzara, a carico delle Ferrovie Emilia-Romagna S.r.l., che termina a Felonica (MN).[144]

La rete ferroviaria regionale è formata da 1.677 km di binari (di cui 793 km elettrificati a binario doppio, 601 km elettrificati a binario semplice e 283 km non elettrificati) e 296 stazioni[145] e permette di raggiungere le maggiori località della regione e le molte città italiane ed europee. Sono presenti in regione ben 3 tratti di ferrovia ad alta velocità: la linea Ferroviaria AV Torino-Milanola linea Milano-Bologna e la linea AV Milano-Brescia; di quest’ultima è in costruzione il prolungamento tra Brescia e Verona. Il passante ferroviario di Milano consente di attraversare la città in treno da nord-ovest a sud-est.[146].

Per i possessori di un abbonamento mensile o annuale a Tariffa Unica Regionale è disponibile un “bonus” rilasciato dalla regione qualora il servizio ferroviario non rispettasse gli standard minimi di affidabilità.[147]

Trasporto pubblico locale[modifica | modifica wikitesto]

Tutte le principali città della Lombardia hanno un proprio sistema autoferrotranviario; negli ultimi anni sono in atto processi di unificazione e coordinamento a livello regionale.

Dal febbraio 2011 è stato attivato il sistema tariffario integrato “Io Viaggio”[148][149][150], che permette di utilizzare un unico biglietto/abbonamento per muoversi all’interno della Lombardia con i mezzi pubblici urbani ed extraurbani (autobus, tram, metropolitane, alcune funivie, battelli sul lago d’Iseo, treni regionali e altro).

Area milanese[modifica | modifica wikitesto]

La società che gestisce il trasporto pubblico a Milano e nei comuni vicini è l’ATM.[151]

All’interno dell’area metropolitana milanese è presente una rete di trasporti su ferro basata su due pilastri, strettamente interconnessi tra loro:

È in fase di realizzazione la linea M4 della metropolitana di Milano.[153] Inoltre sono attivi i cantieri per il prolungamento della Linea M1.[154]

Area bresciana[modifica | modifica wikitesto]

Stazione della metropolitana di Brescia.

La società che gestisce il trasporto pubblico nella città e nell’Hinterland di Brescia è Brescia Trasporti[155]; la medesima società si occupa anche del trasposto pubblico urbano nel comune di Desenzano del Garda.

È attiva la metropolitana di Brescia, che attraversa la città da sud-est a nord.

Area bergamasca[modifica | modifica wikitesto]

La società che gestisce il trasporto pubblico locale su gomma è l’ATB,[156] mentre quello su ferro, relativo alla metrotranvia Bergamo – Albino, è esercitato da Tramvie Elettriche Bergamasche.[157]

Si segnalano inoltre la caratteristica funicolare di Bergamo Alta che permette di accedere alla Città Alta,[158] la parte della città di Bergamo di maggiore interesse storico, artistico, monumentale, e la funicolare di Bergamo – San Vigilio, che collega la Città Alta al colle di San Vigilio.[158]

Area varesina[modifica | modifica wikitesto]

La società che gestisce il trasporto pubblico locale su gomma è CTPI (Consorzio Trasporti Pubblici Insubria), mentre la funicolare Vellone-Sacro Monte è gestita da AVT.

Area comasca[modifica | modifica wikitesto]

La società che gestisce il trasporto pubblico locale su gomma si chiama ASF. La funicolare Como-Brunate è gestita da ATM.

Metropolitane[modifica | modifica wikitesto]

Motonavi di linea sul lago di Como.

Le città di Milano e Brescia dispongono di una metropolitana. A Milano è presente la più estesa rete di metropolitane in Italia, con ben 4 linee metropolitane (RossaVerdeGialla e Lilla) più una in costruzione (Blu).

Comune Stemma Linee Stazioni Lunghezza (km) Note
Stemma Milano
Stemma
4 113 101 [159]
Stemma Brescia
Stemma
1 17 13,7 [160][161]

Navigazione[modifica | modifica wikitesto]

La regione, pur non avendo sbocchi sul mare, possiede un buon sistema navale che si sviluppa sui grandi laghi, lungo i fiumi e i navigli. In passato le vie sull’acqua erano molto più utilizzate per il trasporti di merci e persone, ma vennero abbandonate (e in alcuni casi coperte o interrate) con l’utilizzo di massa dell’automobile.

Il sistema idroviario più importante della Lombardia si inserisce in quello padano-veneto che permette la navigazione da Casale Monferrato fino a Venezia lungo il fiume Po.[162] In questo sistema idroviario i porti più importanti della Lombardia sono quelli di Cremona[163] e Mantova.[164]

I molti canali e fiumi navigabili vengono in parte usati per il trasporto delle merci, ma sono in fase di realizzazione alcuni progetti per l’utilizzo di questi per scopi turistici.

Per quanto riguarda la navigazione sui laghi, oggi ha funzione prevalentemente turistica e si svolge regolarmente su rotte di linea, anche con servizio di pranzo a bordo. Le rotte di navigazione di linea contano 460 km e vengono frequentate da oltre 10 milioni di viaggiatori annui[165]. Motonavi, traghetti con trasporto auto, aliscafi e antichi piroscafi a ruote sono gestiti dallo Stato tramite la Gestione Governativa che associa i tre laghi principali (GardaMaggiore e Como).

Su quello di Como il servizio è anche di tipo pendolare per i collegamenti con la città, mentre molto importante è il traghetto MadernoTorri del Benaco che collega la costa ovest alla costa est e viceversa del lago di Garda[166]. Servizio di navigazione pubblica viene svolto anche sul Lago d’Iseo (dove è importante anche per il servizio di collegamento con Monte Isola), sul Lago di Lugano (per opera della Svizzera), e nel periodo estivo anche sul Lago d’Idro.[167]

Telecomunicazioni[modifica | modifica wikitesto]

Il 57,7% delle famiglie lombarde ha accesso a internet, e il 91% possiede uno o più cellulari.[senza fonte]

Istruzione[modifica | modifica wikitesto]

Nell’anno scolastico 2015/2016, i primi dati diffusi dal MIUR relativi alla scuola statale indicano che gli alunni lombardi frequentanti la Scuola dell’infanzia sono 118.475, quelli frequentanti la Scuola Primaria sono 436.420, quelli frequentanti la Scuola Secondaria di I Grado sono 260.254 e quelli frequentanti la Scuola Secondaria di II Grado sono 370.442.[168]

Nel 2013, il 2,4% del PIL regionale è stato utilizzato per la formazione e l’istruzione (-1,2 punti percentuali rispetto all’incidenza di questa spesa sul PIL italiano)[169]. Nel 2014, il 12,9% dei giovani in età 18-24 anni ha abbandonato prematuramente gli studi, senza aver concluso almeno due anni di scuola secondaria di II grado. La percentuale è inferiore di 2,1 punti percentuali rispetto al dato italiano[170].

Università[modifica | modifica wikitesto]

In Lombardia, nel 2015, il 29,4% della popolazione in età 30-34 anni è laureata (4,1 punti percentuali in più rispetto alla percentuale italiana)[171]. Le università presenti in Lombardia sono:

A Milano

Nei capoluoghi provinciali e negli altri comuni lombardi

Sede di economia dell’Università degli Studi di Brescia.

Accademie di Belle Arti[modifica | modifica wikitesto]

Le accademie di belle arti presenti in Lombardia sono:
A Milano

Nei capoluoghi provinciali e negli altri comuni lombardi

Conservatori di Musica e Istituti Superiori di Studi Musicali[modifica | modifica wikitesto]

Nel territorio regionale lombardo sono presenti i seguenti conservatori di musica e istituti superiori di studi musicali:
A Milano

Nei capoluoghi provinciali e negli altri comuni lombardi

Sanità[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Sistema socio-sanitario della Lombardia.

Vista dall’alto dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano.

Nel 2014, la spesa sanitaria pubblica in Lombardia è stata di 18.402.000.000 di euro (1.842 euro pro capite)[180]. Nella regione si contano 205 strutture ospedaliere pubbliche e private e 37.263 posti letto dell’attività ospedaliera[181]. Nel 2010 in Lombardia lavoravano 20.578 medici e 51.756 ausiliari[182].

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

«Quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace.»
(Alessandro ManzoniI promessi sposi)

Lingue locali[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua lombarda.

Distribuzione geografica dettagliata dei dialetti del lombardo. Legenda: L01 – lombardo occidentale; L02 – lombardo orientale; L03 – lombardo meridionale; L04 – lombardo alpino[183]

In Lombardia è diffuso l’uso della lingua lombarda, in diverse varietà che vivono in diglossia con l’italiano[184]. La lingua lombarda appartiene al gruppo linguistico gallo-italico e viene parlata in gran parte della regione, oltre che nella porzione orientale del Piemonte, nella Svizzera italiana e in parte del Trentino occidentale[185].

Le principali varietà della lingua lombarda sono il lombardo occidentale (parlato nelle province di Varese, Como, Lecco, Sondrio, Monza e della Brianza, Milano, Lodi e Pavia), il lombardo orientale (nelle province di Bergamo e Brescia, nel Cremasco e nell’alto Mantovano), il lombardo alpino (nel Canton Ticino e nel sud del Cantone dei Grigioni, nel nord Lombardia e Piemonte e in alcune zone del Trentino) e il lombardo meridionale, di transizione con l’emiliano (nelle province di Cremona e Mantova); nella parte meridionale della provincia di Mantova e nel Casalasco (zona sud-est della Provincia di Cremona) si parlano invece dialetti emiliani[186].

Letteratura lombarda[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura lombarda.

Carlo Porta.

I primi testi scritti in lingua lombarda volgare risalgono al XIII secolo. Si tratta principalmente di opere di tipo didascalico-religioso; un esempio è il Sermon Divin di Pietro da Barsegapè, che narra la passione di Cristo. Molto importante è il contributo alla letteratura lombarda di Bonvesin de la Riva, che scrisse, tra le altre opere, il Libro delle Tre Scritture, il De magnalibus urbis Mediolani (“Le meraviglie di Milano”), e un galateo, il De quinquaginta curialitatibus ad mensam (“Cinquanta cortesie da tavola”)[187].

Dal XV secolo il prestigio del toscano letterario incominciò a soppiantare l’uso dei volgari settentrionali che erano stati usati, pur influenzati dal volgare fiorentino, anche in ambito cancelleresco e amministrativo[188]. Nonostante ciò, a partire da questo secolo, cominciarono a esserci le prime avvisaglie di una letteratura lombarda vera e propria, con componimenti letterari in lingua lombarda sia nella parte occidentale della regione sia in quella orientale[189][190].

Il XVII secolo vide affermarsi anche la figura del drammaturgo Carlo Maria Maggi, che creò, tra l’altro, la maschera milanese di Meneghino[191]. Sempre nel XVII secolo nacquero le prime bosinade, poesie popolari d’occasione scritte su fogli volanti e affisse nelle piazze oppure lette (o anche cantate) in pubblico; ebbero un gran successo e una diffusione capillare fino ai primi decenni del XX secolo[192]. La letteratura milanese nel XVIII secolo ebbe un forte sviluppo: emersero alcuni nomi di rilievo, tra cui il celebre poeta Giuseppe Parini, che scrisse alcuni componimenti in lingua lombarda[193][194].

L’inizio del XIX secolo fu dominato dalla figura di Carlo Porta, riconosciuto da molti come il più importante autore della letteratura lombarda, anche inserito tra i più grandi poeti della letteratura nazionale italiana[195]. Con lui si raggiunsero alcune delle più alte vette dell’espressività letteraria in lingua lombarda, che emersero chiaramente in opere come La Ninetta del VerzeeDesgrazzi de Giovannin BongeeLa guerra di pret e Lament del Marchionn de gamb avert[195]. La produzione poetica milanese assunse dimensioni così importanti che nel 1815 lo studioso Francesco Cherubini diede alle stampe un’antologia della letteratura lombarda in quattro volumi, che comprendeva testi scritti dal XVII secolo ai suoi giorni[196].

Arte lombarda[modifica | modifica wikitesto]

Dalla Preistoria all’epoca classica[modifica | modifica wikitesto]

Incisioni rupestri della Val Camonica, in provincia di Brescia: scena di caccia al cervo.

Le prime testimonianze artistiche in Lombardia risalgono al periodo Mesolitico quando, alla conclusione della glaciazione Würmiana, ha inizio il ciclo istoriativo delle incisioni rupestri della Val Camonica, che proseguì e si ampliò successivamente nel Neolitico e nell’Età del rame per concludersi solo in epoca romana e medievale[197]. Il ciclo camuno è considerato una delle più importanti testimonianze della preistoria a livello mondiale[198] ed è per questo inserito nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità.

Sono inoltre stati ritrovati ulteriori reperti della presenza di popolazioni preistoriche sul territorio lombardo, anch’essi inseriti nel patrimonio mondiale dell’umanità con il sito seriale degli “Antichi insediamenti sulle Alpi“, con diverse località che si trovano in Lombardia[199].

Celti hanno lasciato testimonianze sparse per i musei archeologici della regione, mentre la presenza Etrusca è attestata nella zona di Mantova[200]. In seguito alla conquista romana l’evoluzione artistica della regione virò verso gli stilemi dei conquistatori dal periodo tardo repubblicano all’epoca imperiale romana: resti monumentali di quest’epoca storica si possono vedere a Brescia (Brixia) e Milano (Mediolanum).

Dalla tarda antichità all’epoca moderna[modifica | modifica wikitesto]

La Corona Ferrea, custodita nel Duomo di Monza.

Nel periodo tardo antico il territorio lombardo acquisì importanza, con Milano capitale dell’Impero d’Occidente, e di conseguenza aumentò anche la produzione artistica di cui restano testimonianze soprattutto nell’architettura sacra con la costruzione di chiese paleocristiane, in particolare a Milano.

Il successivo periodo altomedievale, coevo e successivo alle invasioni barbariche, sarà di capitale importanza per lo sviluppo dell’arte regionale: gli stilemi dell’arte barbarica introdotti dalle nuove popolazioni portarono infatti un apporto decisivo, fondendosi con modelli tardo antichi (che vengono mantenuti con continuità) nonché grazie a influenze bizantine[201], per la creazione di un’arte propriamente lombarda. All’uscita dal periodo altomedievale si inizierà infatti a parlare di stili artistici propri della Lombardia[N 14] come ad esempio per il Romanico lombardo.

Notevoli esempi dello stile romanico lombardo sono opera dei Maestri comacini, in particolare nelle chiese di Sant’Abbondio e di Santa Maria del Tiglio, nel comasco. L’apporto più importante tra il VI e l’VIII secolo venne dai Longobardi che, colonizzando buona parte dell’Italia, fecero della Lombardia il fulcro del loro regno[202] portando con loro la propria arte, di cui restano sia testimonianze significative (in particolare a Brescia, a Monza e a Castelseprio) sia una sostanziale influenza per gli sviluppi artistici successivi.

Nell’area lombarda il periodo carolingio vede una sostanziale continuità artistica con il precedente periodo longobardo. Alla minore produzione di edifici monumentali propria di questi secoli fanno da contraltare numerosi manufatti minori di grande valore, quali la Croce di Agilulfo, la Croce di Desiderio e l’Evangeliario di Teodolinda. Molti di questi manufatti sono custoditi presso il Museo di Santa Giulia a Brescia.[203] I secoli successivi, come già accennato, furono caratterizzati da stili artistici propri della Lombardia come il Romanico lombardo, il Gotico lombardo, il Rinascimento lombardo e il Seicento lombardo.

Età contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, esemplare del 1949 esposto al Museo del Novecento di Milano.

Nel febbraio 1910 i pittori Umberto BoccioniCarlo CarràGiacomo BallaGino Severini e Luigi Russolo firmarono a Milano il Manifesto dei pittori futuristi e nell’aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della pittura futurista[204], che contribuirono, insieme con altri manifesti firmati in altre città italiane, a fondare il movimento artistico del Futurismo. Alla morte di Umberto Boccioni nel 1916, Carrà e Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da Milano a Roma, con la conseguente nascita del “secondo Futurismo”.

La Lombardia ha dato i natali a un altro importante movimento artistico del XX secolo, il Novecento, che nacque a Milano alla fine del 1922. Venne incominciato da un gruppo di artisti composto da Mario SironiAchille FuniLeonardo DudrevilleAnselmo BucciEmilio MalerbaPietro Marussig e Ubaldo Oppi che, alla Galleria Pesaro di Milano, si unirono nel nuovo movimento battezzato Novecento dal Bucci[205]. Questi artisti, che si sentivano traduttori dello spirito del Novecento, provenivano da esperienze e correnti artistiche differenti, ma legate da un senso comune di “ritorno all’ordine” nell’arte dopo le sperimentazioni avanguardistiche soprattutto del Futurismo: in tale senso questo movimento artistico adottò anche la denominazione di Neoclassicismo semplificato. Il movimento Novecento si manifestò anche in letteratura con Massimo Bontempelli e soprattutto in architettura con i celebri architetti Giovanni MuzioGiò PontiPaolo Mezzanotte e altri.

A Milano, culla di basilari movimenti artistici del XX secolo[206], è stato inaugurato nel 2010 il Museo del Novecento, esposizione permanente di opere d’arte del XX secolo che è ospitata all’interno del Palazzo dell’Arengario e dell’adiacente Palazzo Reale di Milano. Il museo ha assorbito le collezioni del precedente Civico Museo d’Arte Contemporanea (CIMAC) , che era collocato presso il secondo piano di Palazzo Reale e che venne chiuso nel 1998[207]. Presso il Museo del Novecento sono esposti quadri, opere d’arte e sculture di differenti periodi artistici, dal Futurismo alla Metafisica, dal Gruppo Forma 1 alla transavanguardia italiana, ai gruppi di Milano, Roma e Torino e l’arte povera di autori quali Pellizza da VolpedoBoccioniMariniModiglianide ChiricoSironiGarauFontanaMartini.

Cucina[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina lombardaVini della Lombardia e Prodotti agroalimentari tradizionali lombardi.

Una pentola di cassoeula. È una pietanza tipica della tradizione popolare, piatto forte di numerose sagre lombarde, sia invernali sia estive.

La polenta, uno dei piatti tipici della Lombardia.

Per via delle diverse vicende storiche delle sue province e della varietà del suo territorio, la cucina lombarda presenta una tradizione culinaria molto variegata: se per i primi piatti la cucina lombarda spazia da risotti, a zuppe e pasta ripiena, in brodo o meno, a una variegata scelta di secondi piatti di carne si aggiungono piatti di pesce della tradizione dei numerosi laghi e fiumi lombardi[208].

In linea generale, la cucina delle varie provincie lombarde può essere accomunata dai seguenti tratti: prevalenza del riso e della pasta ripiena sulla pasta secca, del burro a posto dell’olio di oliva per la cottura[209], pietanze a cottura prolungata, così come il diffuso utilizzo di carne di maialelatte e derivati, e di preparazioni a base di uova; a cui viene aggiunto il consumo di polenta, comune però a tutto il Nord Italia[210].

I prodotti enogastronomici dell’area lombarda spaziano dai più classici e noti in tutta Italia come la bresaola della Valtellina, il salame Milano, i formaggi Grana Padanogorgonzola e la crescenza, fino ad arrivare ai noti vini tra cui il Franciacorta e i rossi della Valtellina, passando per le decine di prodotti sconosciuti al di fuori dei confini non solo della regione ma dell’area o del comune di produzione. Legate all’antica tradizione contadina lombarda sono la cassoeula (uno stufato di maiale e verze) e la busecca (trippa alla milanese)[211].

Piatto simbolo della Lombardia, nelle sue innumerevoli declinazioni, è il risotto, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo e annoverato fra i simboli della cucina italiana. Da non dimenticare la classica cotoletta alla milanese, le varie versioni della polenta, la selvaggina, i salumi, i brodi e le zuppe, così come il panettone, la mostarda, la colomba pasquale e il torrone. La grande diffusione di molti di questi prodotti li ha resi tipici della cultura enogastronomica italiana oltre che di quella lombarda.

Ogni paese lombardo ha sviluppato, nel corso del tempo, piatti tradizionali, legati soprattutto alla vita contadina e al frutto dei campi. Prodotti tipici e ricette tradizionali vengono oggi riscoperti e valorizzati sia dai singoli paesi sia dai più noti cuochi contemporanei.[211]

Milano
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina milanese.

Le specialità più note della città sono il risotto allo zafferano (che spesso funge da accompagnamento all’ossobuco alla milanese), la cotoletta alla milanese[211] e il salame Milano. Dolce tipici di Milano sono il panettone e la colomba.[211]

Bergamo

Tra i primi piatti bergamaschi ricordiamo i casoncelli, gli scarpinocc e le foiade, pasta simile a lasagnette condite in vari modi. I secondi piatti sono spesso associati alla polenta, di volta in volta accompagnata da altri prodotti come la salsiccia, gli uccelli, il formaggio e le verdure.[211] Ottimi i vini prodotti tra Almenno San Salvatore e Sarnico.[211]

Brescia

La specialità del bresciano sono simili a quelle bergamasche. Tipiche della provincia di Brescia sono la polenta e osei (polenta con uccelli), lo spiedo bresciano, il Manzo all’Olio di Rovato, la Tinca al forno e le minestre, come la zuppa di mariconde, preparate con farina e mollica di pane, la zuppa con i brofadei, cubetti di farina di frumento e granoturco e la minestra con i casoncelli. Per quanto riguarda i vini, sono noti soprattutto gli spumanti della Franciacorta ed i vini della zona del lago di Garda[211] (in primis Lugana e Chiaretto della Valtenesi). Non si può non ricordare, come aperitivo, il pirlo ed il tipico dolce natalizio, il Bossolà.

Como e Lecco
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina comasca.

La gastronomia delle zone lacustri è basata essenzialmente sui pesci d’acqua dolce come gli agoni essiccati (“missoltini“), anche se non mancano piatti di origine montanara preparati utilizzando selvaggina e polenta. Tipica del comasco è la polenta uncia (polenta con formaggio fuso e burro). In queste zone sono prodotti i vini IGT delle Terre Lariane.[211]

Cremona

È la patria del torrone e della mostarda,[211] ma nella sua tradizione gastronomica compare anche della pasta ripiena, i marubini, che possono essere serviti in brodo o asciutti.[211]

Lodi
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina lodigiana.

Nel lodigiano si produce il vino San Colombano.[211] Frittatezupperisotti e insaccati di maiale rappresentano le specialità della gastronomia lodigiana, che è caratterizzata da numerose ricette tipiche che si basano sull’impiego dei formaggi locali e soprattutto del burro.

Mantova
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina mantovana.

A metà strada tra quella lombarda e quella emiliana, la cucina mantovana è famosa per i tortelli di zucca, il risotto alla pilota (con la salamella di maiale) e la torta sbrisolona.[211] Da non dimenticare, per i vini, il Lambrusco Mantovano.

Monza

Simile alla cucina milanese, la cucina monzese-brianzola è legata alla tradizione contadina della Brianza. La luganega (salsiccia monzese) viene utilizzata soprattutto nel risotto alla monzese (risotto allo zafferano con salsiccia e vino rosso), e la torta paesana o torta di latte (al cioccolato con uvette e pinoli).

Pavia

Il piatto più famoso di questa città è la zuppa alla pavese, che è preparata con brodouovacarne e formaggio.[211] Sono molto apprezzate anche le rane, che vengono preparate nel risotto, in umido o fritte.[211] Altri piatti tipici sono lo stufato alla pavese e gli agnolotti pavesi.

Sondrio

È famosa soprattutto per i pizzoccheri, che sono paste simili a grosse tagliatelle di grano saraceno servite con burroaglioformaggio fuso, patate e verdure varie.[211], e per la bresaola della Valtellina. Ricorre con frequenza l’uso della polenta, con la particolare variante della polenta in fiur, una polenta a base di grano saraceno cotta con la panna e insaporita con formaggio magro.[211] Di notevole fattura sono poi i vini rossi coltivati con uva chiavennasca (imparentata col ben più famoso vitigno Nebbiolo).

Varese

In questa zona, grazie alla vicinanza dei laghi, in particolar modo il Lago Maggiore, che è molto pescoso, sono diffusi soprattutto piatti a base di pesce, come il risotto con il pesce persico o con l’anguilla di lago.[211] Un altro piatto tipico sono i bruscitti, a base di carne di manzo, con semi di finocchio e vino rosso, che sono diffusi anche nell’Altomilanese e nel Piemonte orientale (Verbano-Cusio-Ossola).[211]

Tradizioni e folklore[modifica | modifica wikitesto]

Il Carroccio durante la sfilata storica del Palio di Legnano 2015, nella città metropolitana di Milano.

Le feste e gli incontri tradizionali in Lombardia sono molto numerosi: città e paesi propongono infatti calendari ricchi di manifestazioni, alcune delle quali di origine antichissima.[212]

La fiera Oh Bej! Oh Bej!

La fiera degli Oh Bej! Oh Bej! si tiene a Milano il 7 e l’8 dicembre di ogni anno e ricorda la nomina di Sant’Ambrogio a vescovo della città.[212]

Il carnevale ambrosiano

Il carnevale ambrosiano si celebra a Milano, nell’intera arcidiocesi di Milano e nei territori di alcune delle diocesi vicine. Dura fino al primo sabato di quaresima.[212]

Il carnevale di Bagolino

Tipiche maschere del Carnevale di Bagolino, in provincia di Brescia.

Il Carnevale di Bagolino, molto particolare e di antichissima tradizione, si celebra a Bagolino, antico e pittoresco borgo che conserva le caratteristiche architettoniche medievali e che è situato nella Valle del Caffaro, in provincia di Brescia.[213]

La gara delle Bisse

Si celebra a Gargnano, in provincia di Brescia. Durante il carnevale si tiene una gara fra le tradizionali barche del Lago di Garda (le Bisse) alla quale partecipano tutti i paesi che si affacciano sul lago.[212]

Il Palio di Legnano

Si tiene a Legnano, nella città metropolitana di Milano, l’ultima domenica di maggio. Il palio di Legnano è la rievocazione storica con cui si celebra la vittoria del Lega Lombarda sull’imperatore Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano (29 maggio 1176).[212] L’evento prevede un corteo storico tra le vie della città e una corsa ippica tra le otto contrade in cui è divisa Legnano che chiude la manifestazione.

La rievocazione storica del giuramento di Pontida

Si tiene a Pontida, in provincia di Bergamo, il 7 marzo e si ricorda il leggendario giuramento della Lega Lombarda che avrebbe dovuto essere il preludio della vittoriosa guerra dei comuni lombardi contro il Barbarossa.[212]

La tenzone di Pandino

Si celebra a Pandino, in provincia di Cremona, l’ultima domenica di agosto. È una gara in costume che prevede il tiro del giavellotto da cavallo, il combattimento con la mazza ferrata e un corteo storico.[212]

Il «vecchio»

Si celebra a Germignaga, in provincia di Varese, il 31 dicembre. La festa consiste nel bruciare un mucchio di stracci e legna per simboleggiare la morte dell’anno appena passato.[212]

La festa della Giubiana

Si tiene l’ultimo giovedì di gennaio; è una festa tradizionale molto popolare in Brianza, nell’Altomilanese, nel Varesotto e nel Comasco. Vengono accesi dei grandi falò nelle piazze e viene bruciata la Giubiana, un grande fantoccio di paglia vestito di stracci. Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui ci si trova, mantenendo sempre uno stretto legame con le tradizioni popolari del luogo.

Religione[modifica | modifica wikitesto]

Giovanni XXIII.
Paolo VI.

Chiesa cattolica[modifica | modifica wikitesto]

La nel corso dei secoli le diocesi lombarde hanno dato i natali a 10 papiGiovanni XIVAlessandro IIUrbano IIICelestino IVPio IVGregorio XIVInnocenzo XIPio XIGiovanni XXIII e Paolo VI.

Le diocesi sono organizzate in un’unica regione ecclesiastica Lombarda.

Le sue parrocchie sono 3.065 e la superficie è di 22.898 km². Le diocesi sono dieci:

La zona di Voghera dipende dalla diocesi di Tortona (Regione ecclesiastica Liguria). Parte del comune di Menconico (Pavia) dipende dalla diocesi di Piacenza-Bobbio (Regione ecclesiastica Emilia-Romagna), la zona di Robbio (Pavia) dipende dall’arcidiocesi di Vercelli (Regione ecclesiastica Piemonte), la parrocchia di Gravellona Lomellina (Pavia) dipende dalla diocesi di Novara (Regione ecclesiastica Piemonte). I comuni del basso Lago di Garda fanno parte della diocesi di Verona (Regione ecclesiastica Triveneto).[214]

In Lombardia sono due i riti liturgici principali: il rito ambrosiano (utilizzato nell’arcidiocesi meneghina, ma usato anche in alcune parrocchie di altre diocesi) e il rito romano.[215] La diocesi milanese, comprendente all’incirca metà dei fedeli della regione, è la sede metropolitana, mentre le altre sono di essa suffraganee.

Altre confessioni[modifica | modifica wikitesto]

In Lombardia sono presenti molte chiese evangeliche metodiste e valdesipentecostalibattisteluterane, dei fratelli di Gesù, dell’Esercito della Salvezza, oltre che confessioni cristiane protestanti italiane e chiese cosiddette “etniche” formate recentemente da immigrati.

Per quanto concerne le confessioni d’Oriente, vi sono comunità ortodosse di varia provenienza e lingue. Sono infine da segnalare alcune comunità ebraiche (la comunità ebraica di Milano è seconda in Italia per dimensioni dopo quella di Roma), islamichebuddhisteinduiste. Sono presenti anche i Testimoni di Geova, i Mormoni e Scientology. Ad arricchire il panorama religioso e non religioso, vi sono anche agnostici e atei.

Editoria[modifica | modifica wikitesto]

La storica sede del Corriere della Sera in via Solferino a Milano

Il primo numero della Gazzetta dello Sport, uscito a Milano venerdì 3 aprile 1896.

In Lombardia, nel 2009, sono stati venduti 945.471 quotidiani (96 copie ogni mille abitanti).[216] Di seguito un elenco dei principali quotidiani e giornali pubblicati nella Regione Lombardia.

Case editrici[modifica | modifica wikitesto]

Antica sede della casa editrice G. Ricordi & C. nell’edificio adiacente al Teatro alla Scala di Milano, che si intravede sulla destra

La Regione Lombardia vanta sul proprio territorio la presenza di diverse case editrici nelle seguenti città e province:

Sport[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Sport in Lombardia e Derby calcistici in Lombardia.

Lo stadio Giuseppe Meazza di Milano, che ospita le partite casalinghe dell’Inter e del Milan.

La Lombardia è una regione molto attiva dal punto di vista sportivo. Alla numerosa e capillare presenza di impianti sportivi sul suo territorio, si accompagna anche la rilevanza a livello nazionale e internazionale delle sue società sportive.

Grande lustro allo sport italiano è stato (e viene ancora) dato da alcune delle squadre più titolate al mondo nel calcio e nella pallacanestro (InterMilan[268]Olimpia MilanoPallacanestro VaresePallacanestro Cantù).

Il rettilineo finale dell’autodromo nazionale di Monza

Importantissimo il contributo della Lombardia in altri sport come il ciclismo (la regione ha ospitato i campionati del mondo di ciclismo su strada 2008 a Varese), il Campionato mondiale di Formula 1 (il Gran Premio d’Italia, che si disputa all’autodromo nazionale di Monza dal 1950, eccetto il 1980, quando si è corso a Imola), il rugby, l’hockey su ghiaccio, la pallavolo e la pallanuoto, seppur con alterne fortune. Inoltre in Lombardia viene anche disputato il Torneo di Milano di tennis. Anche la ginnastica artistica è molto praticata, soprattutto dagli ultimi anni (in Lombardia è presente una palestra federale, che ha partecipato alle Olimpiadi). Nel 2007 la regione ha ospitato i campionati mondiali di handbike a Parabiago (MI).

Diffuso e praticato è lo sci alpino nelle sue numerose e importanti stazioni sciistiche quali BormioLivignoMadesimoPonte di LegnoApricaFoppoloColereSelvinoChiesa ValmalencoSanta Caterina Valfurva, ecc. Ogni anno a Bormio si tiene abitualmente la discesa libera sulla pista Stelvio valida come prova di Coppa del Mondo di Sci alpino.

Da punto di vista ciclistico vi si tiene annualmente il Giro di Lombardia e il Trittico Lombardo e vengono ospitate spesso tappe del Giro d’Italia che tradizionalmente (salvo eccezioni) si chiude con una passerella milanese.

Grattacieli della Lombardia[modifica | modifica wikitesto]

Torre Diamante e altri grattacieli del Progetto Porta Nuova a Milano.

La Lombardia è storicamente la regione italiana che più si è sviluppata in verticale e può vantare alcuni primati. Il primo grattacielo d’Italia, il Torrione INA, è stato inaugurato a Brescia nel 1932 e all’epoca della sua costruzione era il grattacielo in cemento armato più alto d’Europa[269][270]. Nel 1960 fu completato a Milano il Grattacielo Pirelli, divenuto ben presto uno dei simboli dell’architettura italiana del XX secolo e detentore per 35 anni del primato di grattacielo più alto d’Italia.

Grattacielo Altezza Città
Torre Unicredit 231 metri Milano
Torre Isozaki 209 metri Milano
Torre Generali 192 metri Milano
Torre Pwc 175 metri Milano
Palazzo Lombardia 161 metri Milano
Torre Solaria 143 metri Milano
Torre Diamante 140 metri Milano
Grattacielo Pirelli 127 metri Milano
Torre Breda 117 metri Milano
Bosco Verticale Torre E 112 metri Milano
Crystal Palace 110 metri Brescia
Torre Galfa 109 metri Milano
Torre Velasca 106 metri Milano
Torre Hines – Cesar Pelli B 105 metri Milano
Torre Garibaldi A 100 metri Milano
Torre Garibaldi B 100 metri Milano
Torre Unicredit B 100 metri Milano
Torre Aria 100 metri Milano
CAP Tower 82 metri Brescia
Skyline 18 80 metri Brescia

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ La Punta Perrucchetti è una spalla del Pizzo Bernina, che raggiunge i 4051 m ma la cui vetta principale è interamente in territorio elvetico. La più alta montagna lombarda in senso vero e proprio può quindi essere considerata il Pizzo Zupò (3996 m) nel medesimo gruppo montuoso.
  2. ^ Salta a:a b c d Condiviso con il Piemonte.
  3. ^ Salta a:a b Considerando l’intero asse fluviale Sarca/Mincio, condiviso con Trentino-Alto Adige e Veneto.
  4. ^ Condiviso con l’Emilia-Romagna.
  5. ^ Condiviso con la Svizzera.
  6. ^ Considerando l’intero bacino fluviale Sarca/Mincio.
  7. ^ Condiviso con il Trentino-Alto Adige.
  8. ^ Portata misurata a Rho.
  9. ^ Uniche limitate eccezioni sono la Val di Lei e la Val di Livigno, che appartengono ai bacini del Reno la prima e del Danubio la seconda.
  10. ^ Parchi del comprensorio: Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane (Capo di Ponte); Parco archeologico comunale di Seradina-Bedolina (Capo di Ponte); Parco Archeologico Nazionale dei Massi di Cemmo (Capo di Ponte); Riserva naturale Incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo (Capo di Ponte, CetoCimbergo e Paspardo); Parco Comunale di Luine di Darfo-Boario Terme (Darfo Boario Terme); Parco archeologico di Asinino-Anvòia (Ossimo); Parco comunale di Sellero (Sellero); Parco Pluritematico “Coren de le Fate” (Sonico).
  11. ^ Patrimonio composto da sette diverse località, condiviso tra Friuli-Venezia Giulia (Cividale del Friuli), Lombardia (Brescia e Castelseprio), Umbria (Spoleto e Campello sul Clitunno), Campania (Benevento) e Puglia (Monte Sant’Angelo)
  12. ^ Patrimonio composto da 111 diversi siti, sparsi lungo tutto l’arco alpino negli stati di Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia e Svizzera; per quanto riguarda l’Italia i siti si trovano nelle regioni Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto. Insediamenti lombardi del comprensorio: Lavagnone (Desenzano del Garda); San Sivino, Gabbiano (Manerba del Garda); San Sivino, Gabbiano (Manerba del Garda); Lucone(Polpenazze del Garda); Lugana Vecchia (Sirmione); Lagazzi del Vho (Piadena); Bande – Corte Carpani (Cavriana); Castellaro Lagusello (Monzambano); Isolino Virginia-Camilla-Isola di San Biagio (Biandronno); Bodio centrale o delle Monete (Bodio Lomnago); Il Sabbione o settentrionale (Cadrezzate).
  13. ^ Patrimonio composto da 6 diversi siti localizzati in Croazia, Italia e Montenegro; per quanto riguarda l’Italia i siti si trovano nelle regioni Friuli-Venezia Giulia, Lombardia e Veneto
  14. ^ Bisogna comunque sottolineare come in origine il toponimo “Langobardia” indicasse un territorio decisamente più ampio dell’attuale regione: alla fine del periodo longobardo la Langobardia Maior era costituita da gran parte dell’Italia del Nord, escluse la Romagna, Venezia, il Trentino e parte del Piemonte occidentale. Ancora nell’XI secolo il territorio in cui si sviluppò il Romanico Lombardo era costituito dall’attuale Lombardia, dall’Emilia e da porzioni del Veneto e del Piemonte.

Bibliografiche[modifica | modifica wikitesto]

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  270. ^ Il più alto edificio d’Europa sarà elevato a Brescia, in La Stampa, 5 settembre 1931, p. 4. URL consultato l’8 agosto 2016 (archiviato il 4 aprile 2016).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Regione (Italia)

Regione (Italia)

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Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia-Romagna Friuli-Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino-Alto Adige Umbria Valle d'Aosta Veneto

Italia suddivisa per regioni

Le Regioni sono, assieme ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Province e allo Stato, uno dei cinque elementi costitutivi della Repubblica Italiana. Ogni regione è un ente territoriale con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione, come stabilito dall’art. 114, secondo comma del testo. Le regioni non sono considerate enti locali (comuniprovince, ecc…) disciplinate invece dal Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL).

Le regioni, secondo quanto indicato dall’art. 131, sono venti. Cinque di queste sono dotate di uno statuto speciale di autonomia e una di queste (il Trentino-Alto Adige), è costituita dalle uniche due province autonome, dotate cioè di poteri legislativi analoghi a quelli delle regioni a statuto speciale, dell’ordinamento italiano (Trento e Bolzano). Nel rispetto delle minoranze linguistiche, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta sono riportati con le denominazioni bilingui di Trentino-Alto Adige/Südtirol e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste all’art. 116, come modificato nel 2001.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Regionalismo (Italia).

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia l’organizzazione amministrativa venne improntata alla centralizzazione amministrativa e politica;[1] infatti, la legge 20 marzo 1865, n. 2248 disciplinò, tra l’altro, le funzioni di province e comuni. Le province, in particolare, erano la “sede di decentramento dell’amministrazione centrale”, con a capo il prefetto, avente il compito di verificare la rispondenza degli atti provinciali e comunali alle leggi statali. I territori vennero divisi in provincemandamenti e circondari, il successivo Regio decreto 10 febbraio 1889, n. 5921 nonché le leggi 21 maggio 1908 n. 269 e 4 febbraio 1915, n. 148 garantirono un più ampio margine di decentramento amministrativo.[1]

Nel Regno d’Italia vi erano i comuni e le province (nonché due enti intermedi soppressi, i mandamenti e i circondari), ma non esistevano ancora le regioni quali enti territoriali (esse infatti nacquero con la Costituzione della Repubblica italiana del secondo dopoguerra). Già nella seconda metà dell’Ottocento, però, lo statista Pietro Maestri raggruppò, a fini statistici, gruppi di province in “compartimenti”, i quali erano i precursori delle odierne regioni italiane. I compartimenti, però, non erano altro che suddivisioni geografiche a fini statistici, prive di governo o amministrazione. Il termine “regione” come sostituto del termine compartimento si avrà per la prima volta nell’Annuario statistico italiano del 1912. La partizione dei “compartimenti statistici” di Pietro Maestri si mantenne pressoché immutata nelle delimitazione delle “regioni” del Secondo dopoguerra, tanto che risulta difficile notare differenze tra i compartimenti del 1870 e le odierne regioni (fatta eccezione per i territori non ancora annessi).[2]

Essendo previste nella Costituzione della Repubblica Italiana, il 31 gennaio 1947 la seconda sottocommissione della Commissione per la Costituzione, aveva stabilito che le nuove Regioni sarebbero dovute essere 22: PiemonteLombardiaTrentino-Alto AdigeVenetoFriuli-Venezia GiuliaLiguriaEmiliaRomagnaToscanaUmbriaMarcheLazioAbruzzoMoliseCampaniaPugliaSalentoLucaniaCalabriaSiciliaSardegnaValle d’Aosta.

Tuttavia, il testo coordinato dal comitato di redazione prima della votazione finale in Assemblea e distribuito ai deputati il 20 dicembre 1947 all’articolo 31 recitava:

«Sono costituite le seguenti Regioni: PiemonteValle d’AostaLombardiaTrentino-Alto AdigeVenetoFriuli-Venezia GiuliaLiguriaEmilia-RomagnaToscanaUmbriaMarcheLazioAbruzzi e MoliseCampaniaPugliaBasilicataCalabriaSiciliaSardegna»

Rispetto alla bozza il numero delle regioni era sceso a 19: era stato mutato in Basilicata il nome della Lucania, il Salento era stato inglobato nel resto della Puglia, si accorpavano l’Emilia con la Romagna e l’Abruzzo con il Molise.

La costituzione delle stesse ebbe però luogo solo successivamente con la le legge 16 maggio 1970, n. 281 e dal relativo regolamento di attuazione, il DPR 15 gennaio 1972, n. 8, i quali decretarono l’istituzione vera e propria delle regioni italiane come enti territoriali. In particolare, il DPR 8/1972 regolò le modalità operative del trasferimento delle funzioni amministrative statali alle regioni a statuto ordinario. Le regioni quali enti pubblici parzialmente autonomi con la Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948, che, agli articoli 114 e 115, prevedeva[3] infatti:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni.»
(Costituzione italiana, art. 114)
«Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione.»
(Costituzione italiana, art. 115)

Il Friuli e la Venezia Giulia furono accorpati nella regione Friuli-Venezia Giulia, mentre gli Abruzzi e il Molise furono accorpati nella regione Abruzzi e Molise. Nel 1963 con l’approvazione di un’apposita legge di modifica costituzionale in deroga all’art. 132 grazie a una disposizione transitoria che aggirava il limite del milione di abitanti e il referendum tra i cittadini interessati, sarebbe stata concessa l’autonomia al Molise. La regione Abruzzi e Molise venne di nuovo scorporata nelle due regioni Abruzzo e Molise portando così a venti il numero attuale delle regioni.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Simboli delle regioni d’Italia.

Nell’ordinamento giuridico italiano la regione è:

  • un ente di rilievo costituzionale, cioè previsto come necessario dalla costituzione;
  • un ente autonomo, visto che è dotato di autonomia in diversi ambiti;
  • un ente autarchico, dato che opera in regime di diritto amministrativo e dispone di potestà pubbliche;
  • un ente ad appartenenza necessaria, dato che tutti i cittadini residenti ne fanno parte.

Tutte le regioni posseggono stemma e gonfalone ufficiale.

Organizzazione amministrativa[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Legge Tatarella.

Gli organi della regione sono indicati dall’art. 121 della Costituzione e sono:

La regione è rappresentata dal presidente della giunta regionale (anche detto presidente della regione) che dal 2000 viene eletto direttamente e democraticamente tramite elezioni regionali a suffragio universale tra tutti i cittadini dei comuni della regione aventi diritto al voto (età maggiore di 18 anni), a meno che lo statuto regionale non preveda l’elezione da parte del Consiglio regionale. Se il presidente della regione viene sfiduciato o si dimette volontariamente con effetti immediati o muore o è impedito permanentemente il Consiglio regionale viene sciolto e vengono indette al più presto nuove elezioni. Fino a che siano instaurati i nuovi organi della regione sono prorogati i poteri dei precedenti organi per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.

Le funzioni amministrative sono attribuite alla giunta regionale, formata dagli assessori nominati dal presidente della regione in rappresentanza delle forze politiche che lo hanno appoggiato, oltre che allo stesso presidente della regione (equivalente del capo del governo e del consiglio dei ministri a livello statale).

La regione è dotata di un consiglio regionale, eletto dai cittadini maggiorenni residenti nella regione, organo collegiale equivalente del Parlamento a livello statale, composto da consiglieri regionali in rappresentanza di tutte le forze politiche del territorio con funzioni di approvazione del bilancio regionale, delle delibere e provvedimenti emessi dal presidente/giunta. In Sicilia, regione autonoma, prende il nome di parlamento regionale e i suoi membri sono detti deputati e non consiglieri. Il consiglio esercita il potere legislativo per le materie che la Costituzione e gli statuti speciali per le regioni autonome demandano alla potestà legislativa esclusiva o concorrente.

Questi sono organi necessari delle regioni, per cui gli statuti e le leggi regionali non possono disporre diversamente dal dettato costituzionale.

Confini[modifica | modifica wikitesto]

Sin dalla loro definizione geografico-statistica della seconda metà dell’Ottocento nella forma dei compartimenti, le regioni italiane non ebbero una definizione rigorosa dei loro confini basata sulla cartografia, non essendo altro che dei “nomi geografici” privi di propria amministrazione o potere politico. Proprio perché i compartimenti erano dei raggruppamenti di province, la loro delimitazione non poteva che, in ultima analisi, ricondursi a quella delle province ricomprese.

Con il Secondo dopoguerra e l’istituzione delle Regioni come enti territoriali emerse la necessità di definirne i territori con maggior accuratezza. Pur non essendoci state leggi emanate dallo Stato italiano che definissero i confini delle Regioni in senso compiuto, gli statuti regionali di ogni singola regione definiscono il territorio della Regione stessa. Quest’ultimo è definito, però, sempre facendo riferimento alle Province ricomprese da ciascuna regione e, in ultima analisi, ai comuni delle province stesse. A titolo di esempio, l’articolo 7 dello Statuto della Regione Puglia definisce il territorio di competenza come:

«. I comuni i cui territori sono compresi nelle province di Bari, Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto costituiscono la Regione Puglia»
(Statuto della Regione Puglia, art. 7[4])

I confini delle Regioni sono pertanto da ricondursi a quelli delle loro Province, ma resta ferma per lo Stato italiano la possibilità di fondere Regioni o crearne di nuove attraverso leggi costituzionali. Allo Stato è anche consentito, con leggi costituzionali, il passaggio di province o comuni da una regione a un’altra preceduta però da approvazione popolare attraverso referendum nelle province o comuni interessati (modifiche dei confini regionali dall’Unità d’Italia). Le facoltà di cui sopra sono sancite dall’art. 132 della Costituzione. L’art. 133 comma 1, invece, sancisce che con leggi, lo Stato italiano possa modificare l’appartenenza dei comuni da una Provincia a un’altra (modificandone in tal modo i confini), oppure istituire nuove Province.

L’art. 133 comma 2 della Costituzione, inoltre, sancisce che le Regioni possono modificare i confini dei comuni esistenti e le loro denominazioni. Secondo lo stesso comma 2 dell’art. 133, la Regione può anche creare nuovi comuni e ridefinirne i confini. Ulteriori disposizioni in tal senso sono forniti dall’articolo 15 del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali.

Tipologie[modifica | modifica wikitesto]

Le regioni a statuto speciale sono evidenziate in rosso

In base allo statuto, che è per le regioni quello che è per lo stato la sua costituzione, è possibile distinguere due grandi categorie:

Regioni a statuto ordinario[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Regione italiana a statuto ordinario.

Quindici delle venti regioni italiane sono a statuto ordinario. Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate con intervallo non minore di due mesi. Lo statuto è sottoposto a referendum qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.

L’autonomia legislativa di queste regioni è stata notevolmente ampliata dalla riforma costituzionale del 2001, approvata sotto il governo Amato II e confermata dal voto popolare durante il governo Berlusconi II.

Tuttavia l’autonomia finanziaria, il cosiddetto federalismo fiscale, pure prevista dall’art. 119 della costituzione riformata, non è ancora operativa, per cui le regioni dipendono ancora dai trasferimenti dello stato centrale. Le regioni dispongono comunque dell’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), di un’addizionale regionale all’IRPEF, di una compartecipazione all’IVA e di altri tributi minori.

Le regioni a statuto ordinario furono istituite soltanto nel 1970.

Regioni a statuto speciale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Regione italiana a statuto speciale.

Cinque regioni sono a statuto speciale, approvati con legge costituzionale nel 1948 (il Friuli-Venezia Giulia nel 1963), come previsto dall’art. 116 della Costituzione.

Lo statuto speciale garantisce una particolare forma di autonomia, ciò è tangibile nell’autonomia impositiva. Il Friuli-Venezia Giulia trattiene per sé il 60% della maggior parte dei tributi riscossi nel territorio regionale, la Sardegna il 70%, la Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano il 90% e la Sicilia il 100% (il cui diritto sancito dallo Statuto speciale del 1946 non è stato ancora pienamente attuato). Tali regioni dispongono di notevoli poteri legislativi e amministrativi, come nei settori scuola, sanità, infrastrutture e di conseguenza debbono provvedere al relativo finanziamento principalmente con le proprie risorse, mentre nelle regioni a statuto ordinario le spese sono principalmente a carico dello stato.

Di conseguenza, le province autonome di Trento e Bolzano (mezzo milione di abitanti ciascuna) dispongono di un bilancio corrispondente a quello del Veneto, sebbene quest’ultimo abbia 4,8 milioni di abitanti. Anche per questo diversi comuni di confine chiedono il passaggio alle più ricche regioni a statuto speciale, come permesso dalla Costituzione (vedi anche progetti di aggregazione di comuni ad altra regione e progetti di aggregazione di comuni al Trentino-Alto Adige).

La prima regione ad essere istituita fu la Sicilia nel 1946, con il regio decreto del 15 maggio, prima del referendum istituzionale, e confermato con la legge costituzionale n. 2/1948. Tre regioni a statuto speciale furono istituite dalla stessa Assemblea costituente nel 1948: la Sardegna, date le forti spinte autonomistiche, se non indipendentistiche come in Sicilia, la Valle d’Aosta per proteggere la minoranza francofona, il Trentino-Alto Adige, per la tutela dei germanofoni ai sensi dell’accordo di Parigi. Nel 1963 fu costituita la regione a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia.

Nel 1972 entrò in vigore il nuovo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, che trasferì la maggior parte dei poteri regionali alle due province autonome di Trento e Bolzano.

Province autonome[modifica | modifica wikitesto]

La regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle province autonome di Trento e di Bolzano (art 116, secondo comma). Tali province sono dotate di poteri, anche legislativi, corrispondenti a quelli di una regione.

La regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è stata ampiamente esautorata. La presidenza viene assunta a turno dai presidenti delle province di Trento e di Bolzano. Anche il ruolo di Trento come capoluogo è stato ridimensionato, dal momento che la Giunta e il Consiglio si riuniscono anche a Bolzano.

Autonomia ordinaria[modifica | modifica wikitesto]

Statutaria[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Statuto regionale.

L’autonomia statutaria viene riconosciuta alle sole regioni a statuto ordinario. Ciascuna regione ordinaria adotta con legge regionale uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Le regioni a statuto speciale sono prive di tale autonomia (cioè del potere-dovere di darsi uno statuto), visto che gli statuti speciali sono leggi costituzionali dello Stato. Tuttavia la legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, ha modificato gli statuti delle cinque regioni speciali, attribuendo a una legge statutaria la determinazione della forma di governo della regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Solo per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol la forma di governo continua a essere disciplinata dallo statuto regionale.

Legislativa[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Potestà legislativa in Italia.

In seguito alla revisione costituzionale del 2001, la potestà legislativa appartiene allo Stato e alle regioni, posti sullo stesso piano; la competenza è attribuita per materie.

La competenza a legiferare può essere:

  • esclusiva dello Stato;
  • concorrente (o ripartita) tra lo Stato e le regioni;
  • residuale delle regioni (interpretata come esclusiva).

Per l’art. 127 della Costituzione “Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione”. Così come la Regione ” quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale entro 60 giorni dalla pubblicazione di una legge o dell’atto avente valore di legge” (art.127 co.2)

Regolamentare[modifica | modifica wikitesto]

L’autonomia regolamentare della regione è definita dall’art. 117 della Costituzione, 6° comma.

La regione ha potestà regolamentare nelle materie su cui ha competenza esclusiva e su quelle in cui la competenza tra Stato e regione è di tipo concorrente. Ha potestà regolamentare nelle materie di competenza esclusiva dello Stato in quanto sia a essa delegata.

La titolarità della potestà regolamentare della regione non è definita a livello costituzionale. La corte costituzionale, nella sentenza n. 313/2003[5], ha infatti sostenuto la teoria della libertà di scelta degli Statuti delle Regioni, affermando che spetta alla singola Regione, nell’ambito della sua autonomia, decidere quale deve esser l’organo che in concreto svolge la funzione regolamentare.

Il Consiglio Regionale esercita la potestà regolamentare nelle materie di competenza esclusiva statale delegate alle Regioni in base all’art. 117 comma 6 della Costituzione.

Amministrativa[modifica | modifica wikitesto]

L’autonomia amministrativa della regione è stabilita con l’art. 118 della Costituzione.

L’autonomia amministrativa della regione, come di tutte le pubbliche amministrazioni, deve aderire ai principi di sussidiarietàdifferenziazione e adeguatezza.

La regione, con legge regionale, può delegare le funzioni amministrative di cui è titolare ai Comuni, alle Province o alle Città metropolitane.

Prima della modifica costituzionale per opera della legge n. 3/2001 vigeva il principio del parallelismo tra funzione legislativa e funzione amministrativa. Quindi alle regioni spettavano le funzioni amministrative in riferimento alle materie di cui all’art. 117 (anch’esso previgente alla riforma del titolo V).

Inoltre

  1. lo Stato poteva delegare funzione amministrative alle regioni in materie di propria competenza legislativa
  2. lo Stato poteva attribuire direttamente funzioni agli enti locali, qualora si trattasse di funzioni di interesse strettamente locale
  3. lo Stato poteva trattenere funzioni presso di sé, qualora si ravvisasse un interesse nazionale
  4. le regioni avrebbero dovuto utilizzare le proprie funzioni amministrative tramite comuni e province utilizzando lo strumento della delega e dell’avvalimento.

Finanziaria e fiscale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Federalismo fiscale.

L’autonomia finanziaria della regione è stabilita con l’art. 119 della Costituzione, contenente i principi del federalismo fiscale (finora attuati soltanto in parte).

La regione ha autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Stabilisce e applica tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispone di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio.

La regione ha un proprio patrimonio.

Può ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento.

Per disposizione dell’art. 120 della Costituzione la regione non può stabilire dazi sul commercio con le altre regioni.

Autonomia differenziata[modifica | modifica wikitesto]

Successivamente alla revisione della Costituzione del 2001, nell’ambito dell’organizzazione della giustizia di pace, delle norme generali sull’istruzione e della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, nonché di tutte le materie attinenti alla competenza concorrente, le regioni a statuto ordinario possono conseguire – su propria iniziativa, con legge statale approvata a maggioranza assoluta previa intesa con lo Stato – ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia[6].

Controlli[modifica | modifica wikitesto]

Statali[modifica | modifica wikitesto]

La legge costituzionale n. 3/2001 ha abolito il comitato regionale di controllo ed i controlli sugli atti (amministrativi e anche di legge) della regione, esercitati sino ad allora da cosiddetti commissari del governo. Nei capoluoghi delle regioni speciali e nelle Province autonome essi continuano tuttavia a esercitare (almeno in parte) i loro uffici. Nelle altre regioni una parte dei poteri dei commissari viene esercitata dai Prefetti dei capoluoghi regionali, in qualità di rappresentanti dello Stato nei rapporti con il sistema delle autonomie.

Quanto al controllo sugli organi regionali, l’art. 120 II prevede: «Il Governo può sostituirsi a organi delle regioni … nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.»

L’art. 126 stabilisce: «Con decreto motivato del presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del presidente della giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.». Lo scioglimento è deliberato dal Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione Parlamentare sugli affari regionali.

Passando poi alla legislazione regionale, l’art. 127 della Costituzione stabilisce: «Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.»

Quanto allo statuto delle regioni ordinarie, l’art. 123 della Costituzione recita: “Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione”.

Regionali[modifica | modifica wikitesto]

La regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge (art. 127 Cost.).

La regione, oltre a ricorrere alla giustizia amministrativa, può sollevare un conflitto di attribuzioni di fronte alla Corte costituzionale se vengono lese le sue competenze amministrative.

Validità e limiti di statuti, leggi e regolamenti regionali[modifica | modifica wikitesto]

In seguito alla riforma costituzionale del 2001, si è avuta, almeno sulla carta, un’inversione dei ruoli di Stato e Regioni, le quali hanno avuto un rafforzamento della loro potestà legislativa. L’articolo 117 della Costituzione definisce i campi in cui solo lo Stato può legiferare (la cosiddetta “potestà legislativa esclusiva”, ad esempio nel campo penale). Al secondo comma, invece. sono definiti i campi di “potestà legislativa concorrente”, il che significa che le Regioni legiferano nei campi in questione, fatta salva la possibilità per lo Stato di definire con leggi i principi generali da seguire. Per i campi non menzionati nell’art. 117, la competenza legislativa è (o dovrebbe essere) solo delle Regioni (la cosiddetta “potestà legislativa residuale”).

Ciò detto, ci sono buoni motivi per ritenere che la ripartizione di cui sopra sia rimasta sostanzialmente disapplicata e che poco o nulla sia cambiato dal 2001. Le ragioni sono almeno due; la prima è che spesso non è possibile attribuire a ciascuna disposizione di legge una categoria univocamente determinata, essendoci spesso delle sovrapposizioni tra le categorie o semplicemente dei dubbi interpretativi.[7] In secondo luogo, resta ferma per lo Stato la possibilità di sostituirsi alle Regioni anche nei campi di legislazione concorrente e residuale, e questa prerogativa è assicurata dall’articolo 120, comma 2. Questa disposizione, che nella Costituzione sarebbe dovuta essere limitata ai casi eccezionali di lassismo o inconcludenza delle Regioni, ha finito con l’essere applicata regolarmente. Un ulteriore ragione che giustificherebbe la sostituzione dello Stato alle Regioni, deriverebbe dal cosiddetto principio di sussidiarietà contenuto nell’articolo 118 della Cosituzione; la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale ha infatti chiarito che il principio di sussidiarietà autorizza, in caso di necessità, non solo l’attribuzione allo Stato di funzioni amministrative nel campo di competenza delle Regioni, ma anche di quelle più propriamente legislative.[8]

La Corte costituzionale, con le sentenze n. 282/2002 e n. 303/2003 ha in un certo qual senso legittimato l’assunzione di funzioni e l’espansione dei poteri statali, a patto che siano soddisfatti alcuni requisiti quali la non irragionevolezza e il ricorso all’intesa (preventivo esame della Conferenza Stato-Regioni).[9]

Fermo restando quanto detto sopra, per le materie sottoposte a potestà legislativa concorrente (articolo 117 della Costituzione), lo Stato può in teoria, determinare solo i principi fondamentali. Non è però, ben definito che cosa debba intendersi per “principio fondamentale”, non essendoci di norma soluzione di continuità tra norme generali e norme particolari. Questo sarebbe un ulteriore causa di attribuzione allo Stato di prerogative in materie di competenza regionale. Nonostante la riforma costituzionale del 2001, sono ancora oggi utilizzati due criteri dottrinali fondamentali per stabilire se una legge sia di competenza statale o regionale. Questi due criteri sono:[9]

  • il criterio gerarchico;[10]
  • il criterio di competenza.[10]

Statuti regionali[modifica | modifica wikitesto]

Come sancito dall’articolo 123 della Costituzione, uno dei principali compiti attribuiti agli statuti regionali ordinari è definire la “forma di governo regionale”, cioè le funzioni e i limiti degli organi politici regionali, oltreché i “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” nel rispetto del criterio del “numero chiuso delle fonti primarie”, cioè l’impossibilità per lo statuto di definire fonti legislative aggiuntive rispetto a quelle definite nella Costituzione per le Regioni.

Lo statuto regionale ordinario, essendo previsto e definito dalla Costituzione, non può non essere “in armonia con la Costituzione” stessa (art. 123 comma 1 della Costituzione). Prima della riforma della Costituzione del 1999, lo statuto doveva essere in armonia non solo con la Costituzione ma anche “in armonia con le leggi della Repubblica”, e questo ne limitava fortemente l’ambito di azione. La dottrina ha inoltre chiarito che gli statuti ordinari devono rispettare non solo le norme della Costituzione, ma anche i suoi dettami impliciti desumibili da una lettura attenta di essa come ad esempio il principio democratico e quello di unità e indivisibilità della Repubblica, nonché il principio del numero chiuso delle fonti primarie di cui sopra.[11]

Alcune sentenze della Corte costituzionale, come la n. 201/2008 e la n. 188/2007, hanno chiarito che sono incostituzionali, in quanto violano l’art. 123 della Costituzione, le leggi regionali in contrasto con lo statuto regionale.[12]

La dottrina ha anche esaminato la possibilità che uno statuto possa trattare in aggiunta materie di competenza riservata alle leggi regionali (o, eventualmente, anche ai regolamenti regionali); quindi non solo temi come ad esempio la “foma di governo regionale” e i relativi organi. In particolare, c’è chi si è espresso per l’ammissibiiltà di contenuti statutari siffatti, dal momento che lo statuto è, a norma dell’articolo 123 della Costituzione, esso stesso una legge regionale. Altri invece, (con i dovuti distinguo, a seconda che la materia sia di competenza concorrente o residuale) hanno fatto notare che lo statuto viene approvato o modificato con il cosiddetto “procedimento aggravato” (cioè più complesso e con maggiori garanzie) e, per poter modificare le disposizioni statutarie in questione, servirebbe un altro procedimento aggravato; ne deriverebbe pertanto una maggiore difficoltà per le leggi regionali di intervenire su temi di loro stessa competenza (a norma dell’articolo 123 della Costituzione).[12]

Regolamenti regionali[modifica | modifica wikitesto]

L’articolo 117 della Costituzione, ai commi 6 e 7, sancisce che:

«La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.»
(Articolo 117, commi 6 e 7 della Costituzione)

Il comma 6 garantisce allo Stato la facoltà di emanare regolamenti nelle materie di legislazione esclusiva di cui all’articolo 117. Lo Stato, però, attraverso leggi, potrebbe delegare le Regioni a emanare regolamenti anche in un ambito particolare la cui competenza è esclusivamente statale, a patto che non siano materie sotto “riserva di legge”. Materie sotto “riserva di legge” sono materie la cui competenza non può essere delegata dallo Stato sulla base di specifica disposizione costituzionale (si pensi ad esempio alla materia penale, attribuita allo Stato sotto riserva di legge a norma dell’articolo 25, comma 2 della Costituzione).[13]

Nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale, le Regioni mantengono in teoria la potestà regolamentare, ma resta ferma la possibilità per lo Stato di emanare regolamenti “trasversali”, relativi ad ambiti di competenza regionale come accaduto già per l’istruzione (potestà legislativa concorrente) e la cui legittimità è stata avallata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 279/2005).[13]

Amministrazione e costi[modifica | modifica wikitesto]

Bilanci[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2010 il bilancio consuntivo delle regioni italiane è stato di 208 miliardi di euro, di cui 111 per la sanità, 12,4 per l’amministrazione, 12 per i trasporti, 8,9 per lo sviluppo economico, 8,2 per l’istruzione, 7,5 per il territorio, 6 per l’assistenza sociale, 2,6 per l’edilizia abitativa e 39,9 di altre spese[14].

Il costo stimato di consigli e giunte regionali nel 2012 è stato di 1,15 miliardi di euro[15]. Benché la critica alla spesa per servizi pubblici spesso si intrecci con quella al clientelismo con cui essi vengono erogati[16], tecnicamente si deve considerare “costo della politica” regionale la sola spesa dei gabinetti assessoriali, del presidente di regione e dei gruppi consiliari regionali, tra i quali è sorto lo scandalo di rimborsopoli.

Rimborsopoli[modifica | modifica wikitesto]

Dopo lo scandalo, la voce di spesa dei consigli regionali è stata più attentamente monitorata, sia dall’opinione pubblica[17] sia dalla magistratura (anche contabile)[18] che dal Legislatore: quest’ultimo ha convertito il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, con cui il governo Monti aveva emanato una rigorosa disciplina di controlli della Corte dei conti sulle spese dei gruppi all’interno dei consigli e delle assemblee regionali, con sanzioni anche di revoca degli emolumenti pubblici in caso di inadempimento degli obblighi[19].

I princìpi che governano il diritto intertemporale si sono dimostrati sfavorevoli all’applicazione della nuova disciplina ai casi anteriori al decreto del governo Monti, come ha statuito Corte costituzionale nella sentenza n. 130/2014: ciò nondimeno la sentenza n. 235/2015 della medesima Corte ha ribadito che – dopo l’entrata in vigore del decreto – si applicano le nuove e più rigorose discipline sul controllo delle spese dei gruppi consiliari, che non possono ritenersi sottratte alla giurisdizione.

Ciò potrebbe riguardare i nuovi casi, verificatisi o accertati, dopo le vicende del 2012 che innescarono lo scandalo. Più in generale, la tematica dei rimborsi si è presentata anche ad altri livelli istituzionali, sia superiori sia inferiori[20]: essa per certi aspetti va ricondotta alla degenerazione che ha fatto seguito all’abuso nel finanziamento pubblico ai partiti.

Dati geografici e demografici[modifica | modifica wikitesto]

Di seguito si riporta una tabella contenente popolazione[21], superficie, densità abitativa, capoluogo, numero di comuni e province delle 20 regioni italiane. Dati aggiornati al 1º gennaio 2019.

Regione Capoluogo Popolazione (ab.) Superficie (km²) Densità (ab./km²) Province e città metropolitane[22] Comuni
Lombardia Lombardia Milano 10 041 828 23 863 422 BergamoBresciaComoCremonaLeccoLodiMantovaMilanoMonza e BrianzaPaviaSondrioVarese 1 506
Lazio Lazio Roma 5 879 082 17 232 341 FrosinoneLatinaRietiRomaViterbo 378
Campania Campania Napoli 5 801 692 13 671 424 AvellinoBeneventoCasertaNapoliSalerno 550
Sicilia Sicilia Palermo 4 999 891 25 832 197 AgrigentoCaltanissettaCataniaEnnaMessinaPalermoRagusaSiracusaTrapani 390
Veneto Veneto Venezia 4 905 854 18 345 267 BellunoPadovaRovigoTrevisoVeneziaVeronaVicenza 563
Emilia-Romagna Emilia-Romagna Bologna 4 459 477 22 453 199 BolognaFerraraForlì-CesenaModenaParmaPiacenzaRavennaReggio EmiliaRimini 328
Piemonte Piemonte Torino 4 356 406 25 387 172 AlessandriaAstiBiellaCuneoNovaraTorinoVerbano-Cusio-OssolaVercelli 1 181
Puglia Puglia Bari 4 029 053 19 541 206 BariBarletta-Andria-TraniBrindisiLecceFoggiaTaranto 257
Toscana Toscana Firenze 3 729 641 22 987 162 ArezzoFirenzeGrossetoLivornoLuccaMassa e CarraraPisaPistoiaPratoSiena 273
Calabria Calabria Catanzaro 1 947 131 15 221 128 CatanzaroCosenzaCrotoneReggio CalabriaVibo Valentia 404
Sardegna Sardegna Cagliari 1 639 591 24 100 68 CagliariNuoroOristanoSassariSud Sardegna[23] 377
Liguria Liguria Genova 1 550 640 5 416 286 GenovaImperiaLa SpeziaSavona 234
Marche Marche Ancona 1 525 271 9 401 162 AnconaAscoli PicenoFermoMacerataPesaro e Urbino 228
Abruzzo Abruzzo L’Aquila 1 311 580 10 831 121 ChietiL’AquilaPescaraTeramo 305
Friuli-Venezia Giulia Friuli-Venezia Giulia Trieste 1 215 220 7 924 153 GoriziaPordenoneTriesteUdine[24] 215
Trentino-Alto Adige Trentino-Alto Adige Trento 1 072 276 13 605 79 BolzanoTrento 282
Umbria Umbria Perugia 882 015 8 464 104 PerugiaTerni 92
Basilicata Basilicata Potenza 562 869 10 073 56 MateraPotenza 131
Molise Molise Campobasso 305 617 4 460 68 CampobassoIsernia 131
Valle d'Aosta Valle d’Aosta Aosta 125 606 3 261 39 Aosta[25] 74
Italia Italia Roma 60 359 546 302 073 200 107 7914

Dati economici[modifica | modifica wikitesto]

Prodotto interno lordo[modifica | modifica wikitesto]

La tabella sottostante riporta il PIL in milioni di euro e il PIL pro-capite delle regioni e macroregioni italiane nel 2018 secondo i dati territoriali ISTAT.

Regione PIL totale (mln €)[26] PIL pro-capite (€)[27]
Lombardia 390 331 38 840
Lazio 197 742 33 580
Veneto 163 171 33 270
Emilia-Romagna 161 705 36 290
Piemonte 137 488 31 490
Toscana 117 748 31 540
Campania 108 071 18 590
Sicilia 88 626 17 680
Puglia 75 334 18 650
Liguria 50 109 32 250
Marche 42 914 28 080
Friuli-Venezia Giulia 38 139 31 360
Sardegna 34 541 21 010
Abruzzo 33 596 25 580
Calabria 33 143 16 980
Bolzano 24 908 47 040
Umbria 22 338 25 290
Trento 20 606 38 120
Basilicata 12 358 21 870
Molise 6 342 20 650
Valle d’Aosta 4 902 38 940
Italia 1 765 421 29 000

Rating[modifica | modifica wikitesto]

Moody’s[modifica | modifica wikitesto]

Regione Rating Outlook
Piemonte Ba1 Negativo
Valle d’Aosta
Liguria Baa2 Negativo
Lombardia Baa1 Negativo
Trentino-Alto Adige A3
Veneto Baa2 Negativo
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Marche A3 Negativo
Toscana A3 Negativo
Umbria Baa2 Negativo
Lazio Ba2 Negativo
Abruzzo Baa3 Negativo
Molise Baa3 Negativo
Campania Ba1 Negativo
Puglia Baa2 Negativo
Basilicata Baa2 Negativo
Calabria Baa3 Negativo
Sicilia Ba1 Negativo
Sardegna Baa2 Negativo
Italia Baa2 Negativo

Dati politico-istituzionali[modifica | modifica wikitesto]

Mappa delle coalizioni che governano le regioni al febbraio 2020     Coalizione di Centro-sinistra

Coalizione di Centro-destra

Regione Capoluogo Presidente Anno di
insediamento
Partito politico
del presidente
Valle d'Aosta Valle d’Aosta Aosta Aosta Renzo Testolin 2018 Union Valdôtaine
Piemonte Piemonte Torino Torino Alberto Cirio 2019 Forza Italia
Liguria Liguria Genova Genova Giovanni Toti 2015 Cambiamo!
Lombardia Lombardia Milano Milano Attilio Fontana 2018 Lega
Trentino-Alto Adige Trentino-Alto Adige Trento Trento Arno Kompatscher 2016 Südtiroler Volkspartei
Veneto Veneto Venezia Venezia Luca Zaia 2010 Lega
Friuli-Venezia Giulia Friuli-Venezia Giulia Trieste Trieste Massimiliano Fedriga 2018 Lega
Emilia-Romagna Emilia-Romagna Bologna Bologna Stefano Bonaccini 2014 Partito Democratico
Toscana Toscana Firenze Firenze Enrico Rossi 2010 Partito Democratico
Marche Marche Ancona Ancona Luca Ceriscioli 2015 Partito Democratico
Umbria Umbria Perugia Donatella Tesei 2019 Lega
Lazio Lazio Roma Roma Nicola Zingaretti 2013 Partito Democratico
Abruzzo Abruzzo L'Aquila L’Aquila Marco Marsilio 2019 Fratelli d’Italia
Molise Molise Campobasso Donato Toma 2018 Forza Italia
Campania Campania Napoli Napoli Vincenzo De Luca 2015 Partito Democratico
Puglia Puglia Bari Bari Michele Emiliano 2015 Indipendente di centro-sinistra
Basilicata Basilicata Potenza Vito Bardi 2019 Forza Italia
Calabria Calabria Catanzaro Catanzaro Jole Santelli 2020 Forza Italia
Sicilia Sicilia Palermo Palermo Nello Musumeci 2017 #DiventeràBellissima
Sardegna Sardegna Cagliari Christian Solinas 2019 Partito Sardo d’Azione

Rappresentanti in Parlamento per regioni[modifica | modifica wikitesto]

Numero di senatori attualmente assegnati a ciascuna Regione

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Parlamento della Repubblica Italiana.

L’Articolo 57 della Costituzione italiana stabilisce che il Senato della Repubblica è eletto a base regionale (escludendo i senatori eletti all’estero e un piccolo numero di senatori a vita) dai cittadini italiani con più di 25 anni. I 309 senatori sono stabiliti proporzionalmente alla popolazione che compone ciascuna regione. In più, l’Articolo 57 della Costitutione stabilisce che nessuna regione può avere meno di sette senatori, eccetto la Valle d’Aosta (che ne ha uno) e il Molise (due). Per quanto riguarda la Camera dei deputati, essa invece è eletta dai cittadini italiani maggiorenni in base a circoscrizioni in è suddivisa ciascuna regione. I rappresentanti di ciascuna circoscrizione sono stabiliti proporzionalmente alla popolazione residente.

Regione Seggi Senato[28] Seggi Camera Regione Seggi Senato Seggi Camera Regione Seggi Senato Seggi Camera
Abruzzo Abruzzo 7 14 Friuli-Venezia Giulia Friuli-Venezia Giulia 7 13 Sardegna Sardegna 8 17
Puglia Puglia 20 42 Liguria Liguria 8 16 Trentino-Alto Adige Trentino-Alto Adige 7 11
Calabria Calabria 10 20 Marche Marche 8 16 Umbria Umbria 7 9
Campania Campania 29 60 Molise Molise 2 3 Veneto Veneto 24 50
Basilicata Basilicata 7 6 Lombardia Lombardia 49 102 Toscana Toscana 18 38
Valle d'Aosta Valle d’Aosta 1 1 Lazio Lazio 28 58 Sicilia Sicilia 25 52
Emilia-Romagna Emilia-Romagna 22 45 Piemonte Piemonte 22 45 Circoscrizione estero 6 12

Competenza in materia di costruzioni e urbanistica[modifica | modifica wikitesto]

Come noto, le regioni a statuto ordinario furono istituite solo a partire dall’anno 1970, pur essendo state già previste nella Costituzione del 1948. All’atto della loro istituzione vera e propria nell’anno 1970, vennero emanate leggi statali che regolavano il trasferimento di certune funzioni amministrative statali, comunali o provinciali attribuite alle Regioni a statuto ordinario dalla Costituzione, così come il trasferimento dei dipendenti stessi e degli edifici delle amministrazioni statali. Le leggi statali di cui sopra erano previste dall’VIII disposizione transitoria della Cotituzione. Le Disposizioni transitorie VIII e IX della Costituzione prevedevano dei termini stretti per l’entrata in funzione delle Regioni come enti territoriali autonomi che, a quanto pare, non furono rispettati.[29]

Le leggi statali che regolavano le modalità del trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni furono la Legge 16 maggio 1970, n. 281 e il regolamento di attuazione (previsto dall’articolo 17 della Legge 281/1970), il DPR 15 gennaio 1972, n.8. L’articolo 11 della Legge 281/1970 definiva il demanio e il patrimonio regionali; inoltre, sanciva che “gli edifici con i loro arredi e gli altri beni destinati ad uffici e servizi pubblici di spettanza regionale saranno trasferiti ed entreranno a far parte del patrimonio indisponibile delle Regioni con i provvedimenti legislativi di cui al successivo articolo 17.”

Il DPR 8/1972, dal canto suo, definiva sia le modalità di passaggio alle Regioni degli uffici, dei dipendenti e dei beni, sia quali organi centrali e periferici dello Stato sarebbero stati inglobati dalle Regioni. La definizione non era basata su un elenco specifico quanto piuttosto sulle funzioni di ciascuna amministrazione statale. In particolare, gli organi amministrativi in materia di urbanistica, strade, acquedotti che servivano solo il territorio regionale sarebbero entrati nel possesso e nelle facoltà delle Regioni, mentre altre funzioni sarebbero rimaste allo Stato. Tra queste si ricordano le funzioni amministrative di carattere interregionale e nazionale, la costruzione di ferrovie (ad eccezione delle linee metropolitane), l’edilizia demaniale e patrimoniale dello Stato e le grandi opere idrauliche.

La versione dell’articolo 117 della Costituzione precedente alla legge costituzionale del 2001, annoverava, tra le materie “a legislazione concorrente”, l’urbanistica, mentre l’odierna versione dell’articolo 117 ha sosituito la voce urbanistica con il termine generale “governo del territorio”. In generale, con “governo del territorio” si intende inclusa anche l’urbanistica, e la gestione del territorio indipendentemente dal grado di urbanizzazione.[30]

Essendo la materia del “governo del territorio” a legislazione concorrente tra Stato e Regioni, la potestà legislativa spetta a queste ultime tranne che per le linee generali, dettate dallo Stato. A titolo di esempio, sono da intendersi linee generali in materia urbanistica il Decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. Altre attribuzioni particolari delle Regioni sono specificate nel DPR 8/1972, anche se su alcuni punti potrebbe non essere in linea con l’articolo 117 della Costituzione come modificato dalla riforma costituzionale del 2001 (la Costituzione rappresenta la fonte di riferimento principale nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni).

Riferimenti normativi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Salta a:a b istat-struttura, pag. 14.
  2. ^ istat-struttura, pag. 52.
  3. ^ Verranno modificati dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.
  4. ^ Copia archiviata, su regione.puglia.it. URL consultato il 5 maggio 2019 (archiviato il 2 maggio 2019).
  5. ^ Sentenza n. 313 del 2003 della Corte costituzionale
  6. ^ Art. 116, c. 3, della Costituzione.
  7. ^ manbreve2010,  pag. 131.
  8. ^ manbreve2010,  pag. 133.
  9. ^ Salta a:a b manbreve2010,  pag. 134.
  10. ^ Salta a:a b manbreve2010,  pag. 165.
  11. ^ manbreve2010,  pagg. 124-125.
  12. ^ Salta a:a b manbreve2010,  pag. 128.
  13. ^ Salta a:a b manbreve2010,  pag. 142.
  14. ^ Le spese delle Regioni sono cresciute di 89 miliardi (PDF), CGIA Mestre, 22 settembre 2012. URL consultato il 12 marzo 2013 (archiviato il 3 aprile 2015).
  15. ^ 2º rapporto UIL sui costi della politica (PDF), UIL Pensionati, luglio 2012. URL consultato il 12 marzo 2013 (archiviato dall’url originale il 28 febbraio 2013).
  16. ^ Copia archiviata, su ilsussidiario.net. URL consultato il 24 novembre 2015 (archiviato il 24 novembre 2015).
  17. ^ Di Davide, Iandiorio, “Rimborsi alle Regioni: ecco la mappa completa degli sprechi, di ieri e di oggi.” International Business Times: Italian Edition (Italy), April 04, 2014.
  18. ^ Redazione Ibtimes, Italia. “Rimborsopoli Piemonte: 18 fra condanne e patteggiamenti.” International Business Times: Italian Edition (Italy) 14 July 2014.
  19. ^ Giampiero Buonomo, Tra sprechi, ruberie ed equivoci legislativi Archiviato il 21 novembre 2017 in Internet Archive., in L’ago e il filo, dicembre 2012.
  20. ^ Giampiero Buonomo, Tovaglie pulite, Mondoperaio, 10/2015
  21. ^ Regioni italiane per popolazione, su tuttitalia.it. URL consultato il 18 luglio 2019 (archiviato il 24 luglio 2019).
  22. ^ In corsivo.
  23. ^ LR 2/2016 sul riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna, su consiglio.regione.sardegna.it. URL consultato il 7 giugno 2016 (archiviato dall’url originale il 18 ottobre 2019).
  24. ^ Le province di GoriziaPordenone e Trieste sono state abolite il 30 settembre 2017 con L.R. 26/2014
  25. ^ Per la Valle d’Aosta le competenze provinciali vengono espletate dalla regione, per cui non esiste l’amministrazione provinciale.
  26. ^ Altroché Lombardia: le Marche crescono più di tutti, su truenumbers.it, 28 gennaio 2020. URL consultato il 2 giugno 2020.
  27. ^ Altroché Lombardia: le Marche crescono più di tutti, su dati.istat.it, 28 gennaio 2020. URL consultato il 2 giugno 2020.
  28. ^ senato.it – XVII Legislatura – Senatori eletti nella regione Piemonte, su www.senato.it. URL consultato il 2 marzo 2019 (archiviato il 26 febbraio 2019).
  29. ^ Copia archiviata, su governo.it. URL consultato il 17 maggio 2019 (archiviato il 17 maggio 2019).
  30. ^ Copia archiviata, su diritto.it. URL consultato il 17 maggio 2019 (archiviato il 17 maggio 2019).
  31. ^ Copia archiviata, su senato.it. URL consultato il 16 maggio 2019 (archiviato il 22 maggio 2019).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Uncategorized

Capoluogo

Capoluogo

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando la frazione della città bolognese di Sasso Marconi, vedi Capoluogo (Sasso Marconi).

Il capoluogo è la città sede di organi di governo regionali o locali. Informalmente il termine indica anche l’insediamento principale di una qualunque macroarea geografica. In diversi altri paesi i centri sede di istituzioni amministrative, anche minori, assumono la denominazione di capitali (ad es. in Spagna si usa capital per le regioni e le province) o altre denominazioni specifiche.

Nel mondo[modifica | modifica wikitesto]

Italia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Capoluogo (Italia).

In Italia il termine capoluogo viene usualmente utilizzato per designare i comuni che sono sedi di regione, di provincia o di città metropolitana, ma anche le località abitate sedi di comune. Per quel che concerne i comuni, le province e le città metropolitane, nella maggioranza dei casi, ma non sempre, il nome del capoluogo della circoscrizione amministrativa coincide con quello dell’istituzione stessa.

Francia[modifica | modifica wikitesto]

In Francia il termine capoluogo (in francese chef-lieu) viene utilizzato per designare i centri urbani sede di regione (ufficialmente préfecture de région), di dipartimento (detti anche préfectures), di arrondissement (detti anche sous-préfectures), di cantone, e di comune. Gli arrondissement, i cantoni ed i comuni assumono normalmente la denominazione del centro capoluogo mentre le regioni e i dipartimenti hanno tradizionalmente una denominazione geografica.

Svizzera[modifica | modifica wikitesto]

In Svizzera il termine capoluogo (in tedesco Hauptort, in francese chef-lieu) viene utilizzato per designare le sedi dei distretti. A volte viene anche erroneamente utilizzato per i centri urbani sede di cantone, più propriamente definiti capitali[1].

Thailandia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Amphoe mueang.

In Thailandia, la suddivisione amministrativa di primo livello è la provincia, che a sua volta si suddivide in distretti, chiamati in lingua thai amphoe (อำเภอ). Il capoluogo provinciale viene chiamato amphoe mueang (อำเภอเมือง) ed è il distretto dove si trova la città in cui hanno sede gli uffici principali della provincia, detti thi wa kan amphoe (ที่ว่าการอำเภอ). Tale città dà il nome sia alla provincia che al distretto capoluogo ed è, salvo rari casi, il centro abitato più popoloso della provincia. Ogni amphoe e ogni amphoe mueang comprende diversi centri abitati ed aree rurali.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Comune (Italia)

Comune (Italia)

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l’elenco, vedi Comuni d’Italia.

Corona per il titolo di comune.

Un comune, nell’ordinamento giuridico della Repubblica Italiana, è un ente locale territoriale autonomo, che può avere il titolo di città.

Formatosi praeter legem secondo i princìpi consolidatisi nei comuni medievali, è previsto dall’art. 114 della costituzione della Repubblica Italiana. Può essere suddiviso in frazioni, le quali possono a loro volta avere un limitato potere grazie a delle apposite assemblee elettive. La disciplina generale è contenuta nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e ha come organi politici il consiglio comunale, la giunta comunale e il sindaco.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Mappa dei comuni (confini in grigio), e delle regioni italiane (confini in nero)

Ogni comune appartiene a una provincia, ma la provincia non fa da tramite nei rapporti con la regione e questa in quelli con lo Stato a livello gerarchico, poiché esso, essendo dotato di personalità giuridica, può avere rapporti diretti con la regione e con lo Stato. Tutti gli enti locali sopra citati disciplinano, con proprio regolamento, in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo i principi di professionalità e responsabilità.

I comuni devono avere un proprio statuto comunale e possono ripartire il proprio territorio in circoscrizioni al fine di assicurare alla popolazione una più diretta partecipazione all’amministrazione. Alla circoscrizione sono delegati poteri che vanno di là dalla mera funzione consultiva (per la quale possono essere previsti nello statuto del comune, appositi comitati o consulte di quartiere). La legge finanziaria per l’anno 2007 ha modificato i termini per la costituzione delle circoscrizioni, rendendole obbligatorie in comuni con una popolazione superiore a 250 000 abitanti (non più 100 000) e opzionali, invece, ove la popolazione è compresa tra 100 000 e 250 000 abitanti (prima l’intervallo era 30 000 – 100 000 abitanti).

Un comune può avere una, nessuna o più frazioni, essere un comune sparso, essere suddiviso in circoscrizioni o avere un’exclave a livello territoriale. I comuni possiedono inoltre una classificazione climatica e sismica del proprio territorio ai fini di prevenzione e protezione civile. Appartengono al comune e sono da esso gestite tutte le strutture cosiddette comunali ovvero scuole, strutture sportive e culturali quali biblioteche comunali, teatri, ecc.

Organizzazione amministrativa[modifica | modifica wikitesto]

L’organizzazione amministrativa di un comune è fissata dal Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) assieme a quello degli altri enti locali.

A capo del comune vi è il sindaco, democraticamente eletto tramite elezioni comunali a suffragio universale tra tutti i cittadini comunali aventi diritto al voto (età maggiore di 18 anni), con poteri esecutivi assieme alla giunta comunaleorgano collegiale composto da un numero variabile di assessori comunali da lui nominati in rappresentanza delle forze politiche che lo appoggiano (equivalente del consiglio dei ministri e del capo del governo a livello statale). Il sindaco risiede nel municipio durante il suo operato con un mandato che dura 5 anni a meno di dimissioni o decesso.

A supervisione di tutto vi è il consiglio comunale, organo collegiale equivalente del Parlamento a livello statale, composto da consiglieri comunali in rappresentanza di tutte le forze politiche del territorio con funzioni di approvazione del bilancio comunale, delle delibere e provvedimenti emessi dal sindaco/giunta (es. ordinanze). Oltre alla figura di assessore e consigliere, altra figura chiave a livello amministrativo è quella del segretario comunale. L’attività amministrativa si svolge tipicamente nel Palazzo del Municipio che funge anche da luogo con le relazioni dirette con i cittadini.

Spesso i comuni appartengono a Unione di comuni come comunità collinaricomunità montane e comunità isolane oppure rientrano in aree di città metropolitane. Storicamente a livello locale sono nati movimenti politici apartitici dette Liste civiche. Al comune, o in forma associata, fanno capo gli organi di Polizia municipale (vigili) per il controllo del rispetto delle norme del Codice della Strada e le forze addette alla pulizia delle strade e dello smaltimento dei rifiuti. Un comune con i suoi organi di amministrazione può essere commissariato per cattiva amministrazione. La promozione del territorio è affidata invece a enti di promozione e associazioni culturali locali come le Pro Loco.

Funzioni di amministrazione[modifica | modifica wikitesto]

In quanto dotato di autonomia amministrativa e finanziaria nei limiti fissati da Costituzione e TUEL, il comune è responsabile dell’amministrazione del territorio per quanto riguarda:

Qualora alcune di queste funzioni vengano meno per effetto ad esempio di calamità naturali, il sindaco può chiedere l’intervento della prefettura. Per tutte le sue funzioni amministrative ogni comune dispone di un budget finanziario annuale da parte dello Stato. Le modalità di ripartizione dei fondi del bilancio comunale sono oggetto di discussione e approvazione da parte del consiglio comunale dopo le richieste di avanzamento da parte della giunta comunale sotto forma di deliberazione.

Comuni montani[modifica | modifica wikitesto]

In conformità all’art. 44 della costituzione inerente alla salvaguardia delle zone montane, la legge n. 991 del 1952 ha stabilito i criteri in base ai quali un comune è definito montano; nel 2018 i comuni italiani classificati montani erano 3 427[1], distribuiti in tutte le regioni (ma non in tutte le province). Sono considerati invece parzialmente montani quei comuni nei quali tali criteri sono rispettati in una parte soltanto del territorio comunale[2]. In talune regioni è ammesso che gruppi di comuni montani (o, talvolta, parzialmente montani) fra loro vicini possano aggregarsi per dar vita a una comunità montana.

Roma Capitale[modifica | modifica wikitesto]

Dal 3 ottobre 2010 la città di Roma è amministrata da un ente territoriale comunale sui generis, chiamato Roma Capitale. L’ente ha poteri maggiori rispetto a un comune ordinario e ha un proprio statuto che ne determina i principi e l’ordinamento.

Decreto trasparenza[modifica | modifica wikitesto]

Il D. Lgs. n. 33 del 14/03/2013 in tema di “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” definisce la trasparenza come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Le informazioni devono essere pubblicate in formato aperto e sono riutilizzabili, senza ulteriori obblighi diversi da quello di citarne la fonte e rispettarne l’integrità (art. 7). I dati sono pubblicati nel sito istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente” (art. 9-bis), secondo le denominazioni e la struttura prestabilite dal decreto (all. A). Fra i documenti obbligatori:

  • i documenti di programmazione strategico-gestionale e gli atti degli organismi indipendenti di valutazione, bilancio preventivo e consuntivo;
  • curriculum vitae, compensi e spese di servizio degli incarichi politici elettivi e non, dirigenziali e delle consulenze;
  • enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato;
  • scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi;
  • accordi stipulati dall’amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche;
  • documentazione relativa a ciascun procedimento di presentazione e approvazione delle proposte di trasformazione urbanistica d’iniziativa privata o pubblica in variante allo strumento urbanistico generale;
  • concernenti gli interventi straordinari e di emergenza che comportano deroghe alla legislazione vigente.

Il codice sulla privacy prevedeva che i soggetti pubblici non dovessero acquisire il consenso degli interessati per la gestione interna e riservata dei dati (all.3). Dal 25 maggio 2018 è in vigore il Regolamento generale sulla protezione dei dati, che, a differenza della precedente direttiva, si applica anche a imprese ed enti, organizzazioni in generale.

In materia di dati catastali, l’accesso telematico esterno risulta consentito esclusivamente ai tecnici abilitati previa apposita delega scritta del Proprietario. La Corte di Cassazione (Cass. civ., 20 febbraio 1987, n. 1840) ha esteso tale facoltà soltanto ai notai nell’ambito dello svolgimento del loro incarico[3]. La semplificazione ha dato luogo ad una serie di accordi fra distretti notarili e amministrazioni comunali locali, finalizzati ad un accesso alle varie banche dati dell’Anagrafe ed al rilascio informatico dei certificati necessari per gli atti. Al 2014, risultavano “coperti” dal servizio 25 comuni italiani[4], mediante una propria applicazione web realizzata dai singoli comuni a risorse finanziarie invariate[5].

La normativa stabilisce che tutti i documenti contenenti atti soggetti a pubblicazione obbligatoria sono altresì soggetti ad obbligo di comunicazione tempestiva nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni[6], fermo restando l’onere di affissione all’albo pretorio telematico (la tradizionale affissione cartacea era ammessa soltanto fino al 2010).

Il titolo di città[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Titolo di città in Italia.

Corona per il titolo di Città.

Il titolo di città è concesso con apposito decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’interno, a cui il comune interessato invia istanza di concessione.

I comuni dotati del titolo di città solitamente portano al di sopra dello stemma la corona d’oro loro spettante, salvo eccezioni (ovvero diverse disposizioni nel decreto di approvazione dello stemma o in presenza) e con la generale esclusione della provincia di Bolzano: «La corona di Città (…) è formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili) riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero» [7].Gli stemmi sono assegnati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri a cura dell’Ufficio del cerimoniale di Stato e per le onorificenze, Servizio onorificenze e araldica (ripartizione della Presidenza del Consiglio nata dalla trasformazione della Consulta araldica, soppressa ai sensi delle disposizioni finali della Costituzione italiana).

Comuni delle regioni a statuto speciale[modifica | modifica wikitesto]

Valle d’Aosta[modifica | modifica wikitesto]

Nella Valle d’Aosta è in vigore una corposa legislazione in materia comunale concernente sia gli aspetti organizzativi sia quelli elettorali, finanziari e burocratici. La norma principale è la legge regionale n. 54 del 7 dicembre 1998, e successive modificazioni, che regola il sistema delle autonomie della valle.[8] In materia elettorale era invece già intervenuta la legge regionale n. 4 del 9 febbraio 1995, e successive modificazioni, liberamente ispirata alle riforme apportate a livello nazionale.[9] Caratteristica specifica della legislazione valdostana è l’elezione diretta del vicesindaco, che diviene così un organo inamovibile dell’amministrazione comunale.

I toponimi della Valle d’Aosta presentano un’unica forma, in lingua francese, con l’eccezione di Aosta (it. Città di Aosta, fr. Ville d’Aoste), Breuil-Cervinia e dei toponimi dei comuni di Gressoney-Saint-Jean e Gressoney-La-Trinité (in dialetto titsch) e di Issime (in francese e dialetto issimese töitschu). Ai comuni valdostani spetta tuttavia una doppia denominazione, in lingua francese (commune) e in lingua italiana, che si affianca a quella in lingua tedesca per i comuni per i quali è prevista (i già citati Gressoney-Saint-JeanGressoney-La-Trinité e Issime). In questo caso, la traduzione di comune in tedesco è Gemeinde (per Gressoney-Saint-Jean e Gressoney-La-Trinité) e Gemeindeverwaltung (per Issime).

Trentino-Alto Adige[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Comuni mercato della provincia di Bolzano.

Nel Trentino-Alto Adige i comuni sono normati dal Testo unico delle leggi regionali approvato con decreto del presidente della Regione n. 3/L del 1º febbraio 2005.[10] A dispetto del nome, tale fonte legislativa non è un documento esauriente come accade nel corrispondente atto nazionale, ma contiene una serie di rimandi a varie leggi precedenti già in vigore. Il correlato decreto n. 1/L regola l’elezione degli organi municipali stabilendo, caso unico in Italia, il sistema elettorale proporzionale per la composizione dei consigli comunali nella Provincia autonoma di Bolzano, in modo da non alterare i rapporti di forza fra le varie comunità linguistiche.[11]

Ai comuni della provincia autonoma di Bolzano spetta doppia denominazione, in lingua tedesca e in lingua italiana, che si affianca a quella di lingua ladina per i comuni per i quali è prevista. La traduzione di comune in ladino dolomitico è chemun o comun (ufficiale anche per i comuni ladini della provincia autonoma di Trento), mentre in tedesco è:

  • Gemeinde, per i comuni a cui non sia stato conferito il titolo di città;
  • Stadtgemeinde, per i comuni a cui sia stato conferito il titolo di città;
  • Marktgemeinde, riservata ai comuni che già godevano del titolo di Markt (diritto di avere un mercato) nell’Impero austro-ungarico, prima dell’annessione dell’Alto Adige al Regno d’Italia avvenuta a seguito della prima guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra l’attribuzione di questo titolo è stata avocata alla giunta regionale, che lo conferisce ai comuni con almeno 5 000 abitanti. La sua traduzione italiana sarebbe ufficialmente “borgata”.

Sui 116 comuni altoatesini, 16 hanno il titolo di mercato e 8 quello di città.

Friuli-Venezia Giulia[modifica | modifica wikitesto]

Nel Friuli-Venezia Giulia il legislatore regionale ha utilizzato solo parzialmente le facoltà concessegli dalla riforma costituzionale del 1993, lasciando espressamente in vigore le norme nazionali non incompatibili con le deliberazioni locali. Nella normativa si segnala la legge regionale n. 1 del 2006 sulle autonomie locali[12] e, in materia elettorale, la legge regionale n. 14 del 9 marzo 1995 e successive modificazioni.[13] Si noti come questa legge, come per parte statale il decreto legislativo n. 9 del 2 gennaio 1997[14] di attuazione della riforma costituzionale del 1993, fanno in più punti riferimento alla normativa nazionale vigente, che all’epoca era la legge n. 142 dell’8 giugno 1990 così come modificata nel 1993:[15] ciò sottopone i comuni della regione a un incrocio di norme estremamente complesso e atipico, dato che oltre alla legislazione regionale e a quella nazionale non incompatibile, rimangono qui in vigore anche alcune norme nazionali del passato abrogate nel resto d’Italia.

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Diffusione dello sloveno in Italia § Comuni tutelati e Lista di toponimi dei comuni in lingua friulana.

Per quanto concerne il bilinguismo, nelle province di GoriziaUdine e Trieste alcuni comuni hanno un doppio nome e una doppia denominazione, in italiano e sloveno. Il comune è chiamato in questi casi občina. Nelle province di UdineGorizia e Pordenone alcuni comuni al nome italiano affiancano il nome in friulano. La denominazione in questi casi è comun.

In base alla legge regionale 26/2014 “Riordino del sistema Regione – Autonomie locali del Friuli-Venezia Giulia” tesa, fra l’altro, all’abolizione degli enti-provincia, più Comuni si raggruppano in una nuova forma di ente pubblico che prende il nome di Unioni territoriali intercomunali (UTI).

Sicilia[modifica | modifica wikitesto]

La Sicilia, essendo la regione che gode del maggior grado di autonomia, è l’unica ad aver avuto piena potestà sui suoi enti locali fin dall’approvazione della Costituzione nel 1948. L’applicazione della normativa nazionale sull’isola è stata dunque sempre eventuale e soggetta a esplicita autorizzazione da parte delle autorità regionali. La direzione degli enti locali siciliani è affidata all’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica.[16]

La materia elettorale è regolata dal decreto del presidente regionale n. 3 del 20 agosto 1960, profondamente modificato dalla Legge regionale del 26 agosto 1992, n. 7, pioniera in Italia dell’elezione diretta del sindaco, dalla Legge regionale del 15 settembre 1997, n. 35, che avvicinò il meccanismo elettorale maggioritario a quello nazionale, e dai successivi interventi legislativi fino al 2008.[17] Tra le caratteristiche normative tipiche dell’isola, si segnala l’abbassamento a 10 000 abitanti della soglia di differenziazione fra comuni minori e maggiori in materia elettorale, e l’introduzione per i primi di un meccanismo secco che assegna i tre quinti dei seggi ai vincitori e dei due quinti ai primi perdenti, con l’esclusione di ogni altra lista e indipendentemente dalla percentuale ottenuta.

Ancor più atipica è la possibile convivenza fra il commissario regionale, figura che sull’isola è prevista in luogo di quella di nomina prefettizia, e il consiglio comunale: il commissario riceve infatti qui di base solo le funzioni esecutive, e non quelle deliberative, le seconde essendogli attribuite solo in caso di scioglimento del consiglio per dimissioni dei consiglieri o voto di sfiducia al sindaco. Nel caso di dimissioni o qualsiasi decadenza di quest’ultimo invece, la legislatura continua commissariata fino al termine del mandato naturale, elezioni anticipate venendo indette solo nel caso di una crisi consiliare.[18]

Sardegna[modifica | modifica wikitesto]

La Sardegna è l’unica regione ad autonomia speciale a non aver ancora esercitato in maniera organica i suoi poteri in tema di amministrazione comunale; nell’isola si applica quindi il Testo Unico nazionale, con l’eccezione delle deroghe particolari stabilite da alcune specifiche leggi regionali. Le modifiche in materia approvate e proposte a livello centrale hanno tuttavia stimolato anche in Sardegna l’attivismo del legislatore regionale, dapprima sospendendo l’applicazione in loco delle nuove norme nazionali, e quindi con la legge regionale n. 11 del 25 maggio 2012 che ha provveduto ad un riordino delle autonomie locali sarde.[19]

Statistiche[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Primi 100 comuni italiani per superficieUltimi 100 comuni italiani per superficieComuni d’Italia per popolazionePrimi comuni italiani per altitudineFusione di comuni italianiUnione di comuniComuni d’Italia soppressiTerritorio italiano oltre i confini dell’Italia geograficaClassificazione climatica dei comuni italiani e Classificazione sismica dell’Italia.

L’Italia ha 7 904 comuni[20]. Per effetto di aggregazioni spontanee, il loro numero è in calo rispetto al censimento generale del 2011, quando i comuni italiani erano 8 092 e contavano in media 7 345 residenti[21].

Nel 2011 il 70,5% dei comuni aveva meno di 5 000 abitanti e appena il 6,3% più di 20 000. Tra questi, i comuni con più di 50 000 abitanti erano complessivamente 141, e quelli con più di 100 000 abitanti 46.

Nel 1861, anno dell’unità d’Italia, i comuni erano 7 720. In corrispondenza del censimento del 1921 è stato registrato il maggior numero di comuni, ovverosia 9 195, mentre al censimento successivo del 1931, per effetto di numerosi decreti di accorpamento se ne registrarono 7 311, valore minimo raggiunto.[22]

Comuni per fasce demografiche[modifica | modifica wikitesto]

Dati ISTAT aggiornati al 1 gennaio 2019:[23]

Fascia demografica Comuni Popolazione
numero % residenti %
da 500 000 ab. e oltre 6 0,08% 7 311 109 12,11%
da 250 000 a 499 999 ab. 6 0,08% 1 920 434 3,18%
da 100 000 a 249 999 ab. 33 0,42% 4 912 857 8,14%
da 60 000 a 99 999 ab. 61 0,77% 4 668 937 7,74%
da 20 000 a 59 999 ab. 418 5,29% 13 637 496 22,59%
da 10 000 a 19 999 ab. 706 8,93% 9 719 812 16,10%
da 5 000 a 9 999 ab. 1 186 15,01% 8 373 668 13,87%
da 3 000 a 4 999 ab. 1 088 13,77% 4 235 557 7,02%
da 2 000 a 2 999 ab. 942 11,92% 2 316 015 3,84%
da 1 000 a 1 999 ab. 1 518 19,21% 2 210 349 3,66%
da 500 a 999 ab. 1 093 13,83% 805 606 1,33%
meno di 500 ab. 847 10,72% 247 706 0,41%
Totale 7 904 100,00% 60 359 546 100,00%

Fasce demografiche di interesse per i piccoli comuni[modifica | modifica wikitesto]

Fascia demografica Comuni %
numero % residenti %
meno di 5 000 abitanti 5 488 69,69% 9 815 233 16,26%
meno di 4 000 ab. 5 027 63,91% 7 751 218 12,84%
meno di 3 000 ab. 4 400 55,74% 5 579 676 9,24%
meno di 2 000 ab. 3 458 43,56% 3 263 661 5,41%
meno di 1 000 ab. 1 940 24,44% 1 053 312 1,75%

Fasce demografiche per area geografica[modifica | modifica wikitesto]

Comuni del NordCentro e Mezzogiorno d’Italia suddivisi per fasce demografiche.

Il Nord comprende le regioni del Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta) e quelle del Nord-Est (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto).

Il Centro comprende le regioni dell’Italia centrale o Centro Italia (Lazio, Marche, Toscana e Umbria).

Il Mezzogiorno comprende le regioni dell’Italia Meridionale o Sud Italia (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia) e quelle dell’Italia insulare (Sardegna, Sicilia). L’Abruzzo è classificato nell’Italia meridionale per ragioni storiche, in quanto faceva parte del Regno delle Due Sicilie prima dell’unità d’Italia del 1861.

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Giustizierato d’AbruzzoAbruzzo CitraAbruzzo Ulteriore PrimoAbruzzo Ulteriore Secondo e Abruzzo Ultra.
Fascia demografica Numero comuni Popolazione residente
Nord Centro Sud Nord Centro Sud
da 500 000 ab. e oltre 3 1 2 2 823 035 2 864 731 1 648 509
da 250 000 a 499 999 ab. 3 1 2 908 780 382 808 640 899
da 100 000 a 249 999 ab. 17 6 11 2 503 723 854 850 1 658 530
da 60 000 a 99 999 ab. 18 15 25 1 418 738 1 171 351 1 849 081
da 20 000 a 59 999 ab. 155 85 176 4 878 649 2 847 544 5 980 770
da 10 000 a 19 999 ab. 355 114 241 4 890 811 1 609 996 3 322 053
da 5 000 a 9 999 ab. 671 156 361 4 738 919 1 141 585 2 509 449
da 3 000 a 4 999 ab. 630 141 342 2 461 997 554 156 1 322 198
da 2 000 a 2 999 ab. 537 117 318 1 319 023 284 598 785 966
da 1 000 a 1 999 ab. 801 178 546 1 165 452 260 525 800 195
da 500 a 999 ab. 648 103 362 473 548 77 367 272 108
meno di 500 ab. 613 58 166 171 903 18 292 53 412
Totale 4 451 975 2 552 27 754 578 12 067 803 20 843 170

Differenze linguistiche[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Comuni italiani di lingua ladinaComuni italiani di lingua walserComuni italiani di lingua grecaComuni dell’Arberia e Lingue parlate in Italia.

Nei comuni italiani la lingua ufficiale è l’italiano seguita dai vari dialetti e lingue locali. Esistono tuttavia delle differenze linguistiche nei comuni di confine con le nazioni estere (FranciaSvizzeraAustria e Slovenia) dove esiste almeno una seconda lingua quale il francese, il tedesco e lo sloveno (per esempio PiemonteValle d’AostaTrentino-Alto AdigeFriuli-Venezia Giulia).

Esistono inoltre delle minoranze linguistiche come la lingua ladina in Trentino-Alto Adige e in Veneto, la lingua friulana nel Friuli-Venezia Giulia, la lingua sarda in Sardegna, la lingua walser in Piemonte e Valle d’Aosta, la lingua greca in Puglia e in Calabria, l’arbëreshë in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, il francoprovenzale in Puglia.

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Comuni montani, su Comuniverso. URL consultato l’11 giugno 2019.
  2. ^ Comuni montani, su Sì montagna. URL consultato l’11 giugno 2019.
  3. ^ L’amministrazione talora disattende privati in materia di privacy, su senigallianotizie.it. URL consultato il 24 Maggio 2018 (archiviato dall’url originale il 24 Maggio 2018).
  4. ^ Semplifnotariato.itministrativa per cittadini e PA: in 25 città accordi con i Comuni per accesso in via telematica alla banca dati anagrafica, il rilascio dei certificati anagrafici e di stato civile e la trasmissione in formato digitale delle convenzioni, su notariato.it, 19 Novembre 2014 (archiviato dall’url originale il 24 maggio 2018).
  5. ^ Autorità Garante della Privacy, Nota tecnica applicazione da parte dei Comuni della normativa in materia di riservatezza (docweb n.40229)URL consultato il 25 Maggio 2018(archiviato dall’url originale il 20 novembre 2017). , citato nel sito dell’authority con riferimenti ai volumi “Massimario 1997 – 2001. I principi affermati dal Garante nei primi cinque anni di attività” |”Massimario 2002″ | “Massimario 2003” [CATEGORIE E REQUISITI DEI DATI PERSONALI > Dati sensibili > Dati idonei a rivelare l’appartenenza etnica
  6. ^ La tempistica di pubblicazione degli atti sul web, su publika.it, 26 febbraio 2019 (archiviato il 27 marzo 2020).
  7. ^ Caratteristiche tecniche degli emblemi araldici, su presidenza.governo.it.
  8. ^ Sito VDA.
  9. ^ Sito VDA.
  10. ^ Testo unico sull’ordinamento comunale nel TAA.
  11. ^ Testo unico sulle elezioni comunali nel TAA.
  12. ^ Consigli regionale del FVG.
  13. ^ Testo normativo.
  14. ^ Testo normativo.
  15. ^ Testo normativo.
  16. ^ Si ricordi che gli assessorati della Regione Siciliana sono gli unici in Italia a godere della figura legale di ministeri con una propria personalità giuridica distinta da quella della Regione stessa.
  17. ^ Assessorato alla Famiglia della Regione Siciliana
  18. ^ Legge elettorale amministrativa siciliana
  19. ^ Testo, su consiglio.regione.sardegna.it. URL consultato il 14 giugno 2012 (archiviato dall’url originale il 6 ottobre 2012).
  20. ^ Nuovi Comuni 2020
  21. ^ ISTAT – Istituto nazionale di statistica – Dato aggiornato al 1º gennaio 2016.
  22. ^ Studio Cittalia – ANCI (PDF), su cittalia.it. URL consultato il 21 settembre 2010 (archiviato dall’url originale il 23 settembre 2015).
  23. ^ https://www.tuttitalia.it/comuni-per-fasce-demografiche/
  24. ^ Comuni con i nomi più lunghi, su Comuni-Italiani.it. URL consultato il 1º aprile 2020(archiviato il 12 aprile 2019).
  25. ^ Lu, il Comune più «corto» che a tavola la sa lunga
  26. ^ COMUNI ITALIANI .IT – Mappa del Sito, su www.comuniitaliani.it. URL consultato il 28 gennaio 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Comuni d’Italia per popolazione

Comuni d’Italia per popolazione

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

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Elenco dei comuni italiani con più di 50 000 abitanti in ordine decrescente di popolazione, secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) aggiornati al 31 dicembre 2019 [1].

In grassetto le città capoluogo di regione.

1. Roma

2. Milano

3. Napoli

4. Torino

5. Palermo

6. Genova

7. Bologna

8. Firenze

9. Bari

10. Catania

11. Verona

12. Venezia

13. Messina

14. Padova

15. Trieste

16. Brescia

17. Parma

18. Taranto

19. Prato

20. Modena

Comune Regione Provincia / Città metropolitana Abitanti
1 Roma Lazio Roma 2 837 332
2 Milano Lombardia Milano 1 396 059
3 Napoli Campania Napoli 962 589
4 Torino Piemonte Torino 870 952
5 Palermo Sicilia Palermo 657 960
6 Genova Liguria Genova 574 090
7 Bologna Emilia-Romagna Bologna 390 625
8 Firenze Toscana Firenze 372 038
9 Bari Puglia Bari 322 316
10 Catania Sicilia Catania 311 402
11 Verona Veneto Verona 259 608
12 Venezia Veneto Venezia 259 150
13 Messina Sicilia Messina 229 565
14 Padova Veneto Padova 212 395
15 Trieste Friuli-Venezia Giulia Trieste 203 234
16 Brescia Lombardia Brescia 199 579
17 Parma Emilia-Romagna Parma 198 292
18 Taranto Puglia Taranto 195 227
19 Prato Toscana Prato 194 913
20 Modena Emilia-Romagna Modena 187 216
21 Reggio Calabria Calabria Reggio Calabria 178 760
22 Reggio Emilia Emilia-Romagna Reggio Emilia 172 124
23 Perugia Umbria Perugia 166 969
24 Ravenna Emilia-Romagna Ravenna 158 058
25 Livorno Toscana Livorno 157 024
26 Cagliari Sardegna Cagliari 153 231
27 Rimini Emilia-Romagna Rimini 151 200
28 Foggia Puglia Foggia 149 904
29 Salerno Campania Salerno 132 702
30 Ferrara Emilia-Romagna Ferrara 132 195
31 Latina Lazio Latina 129 133
32 Sassari Sardegna Sassari 126 218
33 Giugliano in Campania Campania Napoli 125 058
34 Monza Lombardia Monza e Brianza 124 051
35 Bergamo Lombardia Bergamo 121 781
36 Siracusa Sicilia Siracusa 120 405
37 Pescara Abruzzo Pescara 119 800
38 Trento Trentino-Alto Adige Trento 118 902
39 Forlì Emilia-Romagna Forlì-Cesena 118 000
40 Vicenza Veneto Vicenza 111 764
41 Terni Umbria Terni 110 530
42 Bolzano Trentino-Alto Adige Bolzano 107 407
43 Piacenza Emilia-Romagna Piacenza 104 315
44 Novara Piemonte Novara 103 985
45 Ancona Marche Ancona 100 282
46 Andria Puglia Barletta-Andria-Trani 99 307
47 Arezzo Toscana Arezzo 99 258
48 Udine Friuli-Venezia Giulia Udine 99 051
49 Cesena Emilia-Romagna Forlì-Cesena 97 190
50 Pesaro Marche Pesaro e Urbino 96 832
51 Lecce Puglia Lecce 96 534
52 Barletta Puglia Barletta-Andria-Trani 94 316
53 Alessandria Piemonte Alessandria 93 634
54 La Spezia Liguria La Spezia 93 288
55 Pisa Toscana Pisa 91 393
56 Pistoia Toscana Pistoia 90 677
57 Guidonia Montecelio Lazio Roma 90 457
58 Lucca Toscana Lucca 90 055
59 Catanzaro Calabria Catanzaro 88 313
60 Como Lombardia Como 85 915
61 Brindisi Puglia Brindisi 85 881
62 Treviso Veneto Treviso 85 760
63 Torre del Greco Campania Napoli 83 987
64 Busto Arsizio Lombardia Varese 83 909
65 Marsala Sicilia Trapani 82 456
66 Grosseto Toscana Grosseto 82 378
67 Sesto San Giovanni Lombardia Milano 81 841
68 Fiumicino Lazio Roma 81 718
69 Varese Lombardia Varese 80 645
70 Pozzuoli Campania Napoli 80 074
71 Corigliano-Rossano Calabria Cosenza 77 096
72 Cinisello Balsamo Lombardia Milano 76 264
73 Casoria Campania Napoli 76 205
74 Asti Piemonte Asti 75 528
75 Aprilia Lazio Latina 74 961
76 Caserta Campania Caserta 74 450
77 Gela Sicilia Caltanissetta 74 075
78 Ragusa Sicilia Ragusa 73 409
79 Pavia Lombardia Pavia 73 334
80 Cremona Lombardia Cremona 72 672
81 Carpi Emilia-Romagna Modena 72 627
82 Altamura Puglia Bari 70 563
83 Quartu Sant’Elena Sardegna Cagliari 70 352
84 Lamezia Terme Calabria Catanzaro 70 187
85 Imola Emilia-Romagna Bologna 70 000
86 L’Aquila Abruzzo L’Aquila 69 710
87 Massa Toscana Massa-Carrara 68 514
88 Viterbo Lazio Viterbo 67 384
89 Trapani Sicilia Trapani 67 141
90 Potenza Basilicata Potenza 66 459
91 Cosenza Calabria Cosenza 66 457
92 Castellammare di Stabia Campania Napoli 65 300
93 Pomezia Lazio Roma 64 417
94 Afragola Campania Napoli 64 354
95 Vittoria Sicilia Ragusa 63 740
96 Vigevano Lombardia Pavia 63 623
97 Crotone Calabria Crotone 62 449
98 Carrara Toscana Massa-Carrara 62 146
99 Viareggio Toscana Lucca 61 989
100 Caltanissetta Sicilia Caltanissetta 61 331
101 Olbia Sardegna Sassari 61 323
102 Fano Marche Pesaro e Urbino 60 728
103 Matera Basilicata Matera 60 441
104 Legnano Lombardia Milano 60 336
105 Savona Liguria Savona 59 933
106 Marano di Napoli Campania Napoli 59 576
107 Acerra Campania Napoli 59 525
108 Molfetta Puglia Bari 59 044
109 Faenza Emilia-Romagna Ravenna 58 953
110 Benevento Campania Benevento 58 794
111 Cerignola Puglia Foggia 58 450
112 Agrigento Sicilia Agrigento 58 273
113 Anzio Lazio Roma 57 951
114 Moncalieri Piemonte Torino 57 465
115 Foligno Umbria Perugia 56 939
116 Tivoli Lazio Roma 56 750
117 Cuneo Piemonte Cuneo 56 203
118 Trani Puglia Barletta-Andria-Trani 56 011
119 Manfredonia Puglia Foggia 55 917
120 Sanremo Liguria Imperia 54 850
121 Bisceglie Puglia Barletta-Andria-Trani 54 831
122 Bagheria Sicilia Palermo 54 620
123 Bitonto Puglia Bari 54 443
124 Montesilvano Abruzzo Pescara 54 362
125 Modica Sicilia Ragusa 54 089
126 Gallarate Lombardia Varese 53 964
127 Siena Toscana Siena 53 922
128 Teramo Abruzzo Teramo 53 819
129 Portici Campania Napoli 53 724
130 Avellino Campania Avellino 53 640
131 Velletri Lazio Roma 53 527
132 Civitavecchia Lazio Roma 52 806
133 Cava de’ Tirreni Campania Salerno 52 564
134 Ercolano Campania Napoli 52 273
135 Aversa Campania Caserta 51 925
136 Acireale Sicilia Catania 51 876
137 San Severo Puglia Foggia 51 818
138 Pordenone Friuli-Venezia Giulia Pordenone 51 714
139 Mazara del Vallo Sicilia Trapani 51 573
140 Rho Lombardia Milano 51 323
141 Rovigo Veneto Rovigo 51 049
142 Ardea Lazio Roma 50 953
143 Scandicci Toscana Firenze 50 786
144 Battipaglia Campania Salerno 50 780
145 Chieti Abruzzo Chieti 50 285
146 Misterbianco Sicilia Catania 50 171
147 Nettuno Lazio Roma 50 153

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]